Dopo un’ultima nevicata e una nuova ondata di disservizi, Trenitalia viene messa in (s)vendita a una società ferroviaria russa, la Rusky Deraja, guidata da un amministratore delegato in gonnella che non è a quel posto in virtù di “quote rosa” (là non contano) ma del fatto di essere una matriosca tutta di ferro tale da fare impallidire il nostro Ing. Moretti. Naturalmente la (s)vendita è stata tenuta riservatissima. Non ne sono al corrente né l’opinione pubblica né il Parlamento né il sig. Frecciarotta, uomo devoto, nonché ardente patriota, che  fa di professione Capotreno e considera le Ferrovie dello Stato in tutti i suoi aspetti come la Manna dell’Altro. E proprio a lui tocca in sorte di trovarsi in servizio sullo stesso convoglio in cui un manager di Trenilandia sta trattando la (s)vendita della sua società a una manager di Russki Deraja, importante azienda ferroviaria russa, viaggiatori frustrati e rassegnati per i continui ritardi dei loro treni intonano in coro Frecciarossa, Freccia bianca, / Carta oro, Freccia argento, / ma che tragedia arrivare / ad Agrigento.



Questa è la trama della cantata ferroviaria, di Riccardo Panfili, su libretto di Etierre Seicento, Frecciarotta con cui – spiritosi questi abbruzzesi – sabato 25 febbraio viene riaperta la parte agibile del bel Teatro Comunale de L’Aquila. La novità è parte di un dittico, una  produzione che vede collaborare insieme Accademia Filarmonica Romana, Amici della musica di Foligno e Istituzione Sinfonica Abruzzese e presentare due opere da camera (che debutteranno a Roma il 23 febbraio). Un’iniziativa da encomiare in una fase di ristrettezze delle risorse per la musica in generale e per il teatro in musica in particolare.



Non sappiamo se il Vice Ministro Ciaccia e l’Ing. Moretti saranno in sala, a Roma o a L’Aquila. Una loro serata all’opera da camera varrebbe la pena perché l’ironia sferzante del libretto e la partitura sgraffiante sono segnali importanti da percepire anche per il loro significato politico. Pare assicurata, a L’Aquila, la presenta di politici ed autorità ed a Roma di rappresentati dell’azionista di Trenitalia (il Ministero dell’Economia e delle Finanze).

Nella messa in scena si fa economia di costumi e attrezzeria ma non di voci e di musica. Interpreti di prim’ordine con il baritono Carlo Riccioli, il tenore Max René Cosotti, il soprano Daniela Mazzucato e l’attore Marco Zannoni che cura anche l’allestimento scenico; l’Orchestra Sinfonica Abruzzese è diretta da Marcello Bufalini, il Coro Zaccaria da Teramo da Paolo Speca.



La cantata ferroviaria è presentata in tandem con Partita a pugni di Vieri Tosatti che sessanta anni fa mise a soqquadro il teatro d’opera del secondo Novecento prima di sparire dai palcoscenici, costretta all’esilio dal suo creatore. 

È lo stesso Tosatti a raccontare la genesi e la fortuna dell’opera: “… è stato il mio amico Luciano Conosciani, eccitato dal successo del Sistema della dolcezza, a portarmi quel testo. In un primo momento l’ho preso sottogamba, ma poi ha cominciato a interessarmi soprattutto la parte corale, cioè la parte furibonda del pubblico che assiste all’incontro di boxe: lì viene fuori il lato bestiale della gente che assiste a questo spettacolo ignobile, non c’è niente d’ironico o di buffonesco. Il successo fu grandissimo, tanto che nel 1967 ben sei teatri italiani la misero in programma, ma allora pensai: ‘Adesso basta: è troppo!’, e mandai una lettera a tutti i teatri, proibendo di rappresentare ancora Partita a pugni”.

Considerato il più interessante fra i suoi lavori teatrali sia per l’originalità del soggetto, sia per la vivace espressività della partitura sia, infine, per lo sforzo di integrare il più possibile la parola – con un libretto tutto in romanesco – alla musica attraverso una spontanea ricerca di effetti plateali e del paradosso, Partita a pugni ha luogo interamente in una palestra romana, dove si svolge un incontro di pugilato. L’arbitro chiama sul ring i due pugili: Palletta, incitato dal pubblico, e il suo contendente, alto e magro, intimidito dal tifo sugli spalti per il grande Palletta. Quest’ultimo domina l’incontro mentre l’avversario a mala pena riesce a parare i colpi, tanto che alla fine del secondo round rischia di finire definitivamente al tappeto; ma quando al terzo round Palletta si distrae, l’avversario lo colpisce con un pugno che lo fa crollare al tappeto, ko. Tra i fischi della folla, l’arbitro dichiara Palletta sconfitto.