Il sipario del Teatro Ariston si è chiuso. Gli artisti sono tornati dal Festival di Sanremo 2012, chi felice, chi deluso. Polemiche poche, quelle erano su altri argomenti, non sulla musica, che spesso è sembrata un’ospite inattesa.
Cristiano Godano, Riccardo Tesio e Luca Bergia, i Marlene Kuntz che al Festival hanno presentato il brano “Canzone per un figlio”, estratto del nuovo lavoro discografico uscito lo scorso 15 febbraio, tirano le somme di questa loro esperienza con IlSussidiario.net.

Qual è il vostro bilancio?

Se avessimo vinto saremmo stati molto contenti, se fossimo arrivati alla Finale anche, ma avevamo messo in conto l’eliminazione: era molto probabile.

La partecipazione di Samuel dei Subsonica nella serata del possibile ripescaggio quando è stata decisa?

Era un Jolly che potevamo giocarci a norma di regolamento e l’abbiamo fatto. Eravamo consapevoli che con il televoto le possibilità di andare avanti erano bassissime. Non abbiamo delle “comunità” di sostenitori così folti come quelle dei nostri avversari.
E così abbiamo voluto consegnare agli archivi Rai (e a Youtube) il duetto con Samuel, che nelle prove ci era piaciuto un sacco.

La vostra canzone “Canzone per un figlio” non era poi così rock come l’avevano presentata.

No, infatti. A differenza di quanto possa pensare qualcuno non ci interessa dimotrare qualcosa a qualcuno, non volevamo andare sul palco a fare i matti. In questi periodo, ad esempio, sto ascoltando l’ultimo disco di Leonard Cohen, sono cose che ti influenzano. Ma anche Sanremo influenzerà la mia scrittura. Dopo quello che ho visto ho abbastanza materiale per fare un nuovo disco…

In positivo o in negativo, Cristiano?

Tutto quello che ho visto, sia di brutto che di bello, qualsiasi cosa può darti uno spunto.

Volevo chiedere a Riccardo se questo brano è nato dalla sostanziale difficoltà di vivere il nostro tempo?

Direi di no. Prima è nata la musica, poi nel comporre il testo Cristiano è stato influenzato da un libro che stava leggendo. È stato lo spunto per parlare di felicità, lo abbiamo riorientato come se fosse il dialogo tra un padre e un figlio. Un suggerimento, una suggestione, un insegnamento.
Ci piaceva l’idea di andare a Sanremo con un messaggio di questo tipo. Negli ultimi 20 anni la nostra società, si è votata alla contingenza, all’utile personale e molto poco al futuro. Facciamo debiti, tanto qualcuno penserà a pagarli, usiamo il petrolio tanto quando finirà saranno problemi di chi verrà dopo.
“Canzone per un figlio” prende spunto da questi pensieri ed è diventato un concept album.

Le grandi collaborazioni per voi non sono mancate, da Skin, a Paolo Conte, fino a Warren Ellis, violinista di Nick Cave. Poi sul palco dell’Ariston il duetto con Patty Smith. Cosa vi è rimasto di quella serata?

Venire a contatto con un’artista come Patty Smith è stato veramente un’emozione stupefacente. Lo dico senza alcuna retorica. Vedere la sua semplicità, la sua umanità, la sua disponibilità, il fatto che fosse venuta lì non per fare Patty Smith ma per essere una dei componenti del progetto.
Lei ha parlato di “unity”, di unità in altre interviste, ha detto di essersi sentita una cosa unica, coerente, con noi e questa è stata la sensazione che abbiam avuto in sala prove. C’era una sintonia sorprendente.

Potrebbe nascere qualcosa in futuro con lei?

Vedremo, ci stiamo ragionando. Ci sono persone lontane dal mondo del rock, che ci fermano e ci dicono di essersi emozionate tantissimo.
D’altronde non c’é stato bisogno di niente, la sua voce s’inseriva così bene. Lei è venuta alle prove, ha sentito la coda strumentale del brano e ha chiesto se poteva aggiungere qualcosa, delle parole. Aveva voglia di fare le cose fatte bene, non come alcuni artisti che chiedono subito quando si va’ a mangiare.

Facciamo un passo indietro. La prima sera siete saliti sul palco dell’Ariston dopo il monologo di Adriano Celentano. Vi ha creato tensione tutta quella attesa?

Ma guarda, era la nostra prima volta a Sanremo e non avevamo nessuna pretesa. Celentano era completamente svincolato dalla gara, noi non lo abbiamo neanche visto. Comunque si sapeva che sarebbe andata così, lamentarsi dopo è un po’ strano. A noi in fondo è andato bene: ci siamo esibiti quando c’era il picco di share.

Ma c’é ancora spazio per il rock in Italia. C’é ancora questa voglia o bisogna andare all’estero per trovarla?

Non è il caso di starsi a fare queste domande. Grazie a internet il senso stesso del rock si stà molto modificando. Sono abituato a pensare al rock come a qualcosa di incarnato in alcune figure, nella loro fisicità tramandata grazie alle foto sulle copertine dei dischi. Un universo immaginifico, ben circostanziato e preciso.
Ho l’impressione che ora si stia andando altrove. Forse la parola rock è un po’ abusata. Siamo stati presentati come gli esponenti della realtà rock italiana. Certo, lo siamo, venite a vederci dal vivo e vi spettiniamo tutti… Però c’interessa fare un sacco di altre cose. Non abbiamo voluto portare il rock a Sanremo, abbiamo voluto portare una bella canzone a Sanremo.

Sono passati 18 anni dalla pubblicazione di “Catartica” e voi siete insiema dal 1989. Come sono cambiati i Marlene Kuntz?

Noi facciamo parte di quegli artisti ai quali piace proiettarsi nel loro mondo speciale, non abbiamo esattamente delle connessioni con la contemporaneità. Detto questo, siamo delle persone che vivono in Italia e i cambiamenti riguardano anche noi. Nei nostri testi però non troverai i fatti del giorno o quella che è l’emotività pubblica del momento, non ci sono citazioni di Berlusconi o del Bunga bunga…

(Angelo Oliva)