Compirebbe 220 anni oggi il compositore pesarese Gioacchino Rossini. Rossini era bisestile (nato a Pesaro il 29 febbraio 1792). Quindi la sua nascita viene commemorata ogni quattro anni. Noi de IlSussidiario.net non vogliamo però, come gli altri, ricordarlo solo per il suo apporto alla musica europea e mondiale, per un lato poco conosciuta, ma per il suo contributo (pur vivendo a Parigi per gran parte della sua vita) al movimento di unità nazionale. Lo ha messo in luce il Rossini Opera Festival (Rof), l’unico festival musicale monografico italiano tale da essere diventato come quello wagneriano di Bayreuth.
Rossini nacque a Pesaro, ma ci visse pochissimo (la sua residenza più lunga e preferita è stata a Passy, sobborgo elegante di Parigi) e non espresse neanche il desiderio di tornarci da morto (pur se, non avendo altri eredi, legò alla città il suo cospicuo patrimonio): dopo avere soggiornato per alcuni lustri nel cimitero di Père Lachaîse a Montmartre a Parigi, i suoi resti sono stati inumati, più per decisione del Governo italiano dell’epoca che per suo volere, a Santa Croce a Firenze nel 1887.
Per i musicologi, il risultato principale del Festival è la riscoperta delle “opere serie” di Rossini in gran misura ignorate o manipolate per tenere conto dei nuovi gusti (romanticismo, verismo) del pubblico dalla seconda metà dell’Ottocento alla seconda metà del secolo scorso. Per chi si interessa anche agli aspetti sociali e politici nel cui contesto questa o quell’opera vengono concepite, c’è una riscoperta almeno ugualmente interessante: quella di un Rossini che, durante i prodromi del movimento di unità nazionale nel corso del Risorgimento pur scegliendo di vivere nella capitale francese, si è sempre sentito fortemente italiano e ha partecipato, nel modo in cui poteva, al movimento di unità nazionale, il Risorgimento.
Lo avevano già notato suoi biografi stranieri come Stendhal (1824) oppure scrittori italiani come Bacchelli (1968) oppure ancora studi di musicologi come Carli Balolla (2009). Lo mostrano, però, in modo eloquente diverse sue opere – da alcune tra le più note (e rimaste nei cartelloni anche nei lunghi decenni in cui, con l’eccezione di qualche titolo Rossini sembrava “passato di moda”), ad alcune virtualmente ignote come “Adelaide di Borgogna”, titolo quasi mai rappresentato in forma scenica dal 1817 – una sola edizione per solamente due sere nel 1984 a Martina Franca, peraltro di un’edizione da non considerarsi critica e che ha inaugurato il 10 agosto, il Rof 2011.
È un lato che merita di essere sottolinato perché nella vulgata corrente, Rossini viene considerato un “bon vivant” interessato alle belle donne e alla buona cucina, timoroso dei moti di piazza (addirittura terrorizzato da quelli bolognesi del 1848 quando vietò alla servitù di avvicinarsi alle finestre chiuse per timore di contagio da parte dei “rivoluzionari” i quali lo contraccambiavano con gli epiteti più coloriti) nonché tanto astuto di poter mettersi in pensione (e con quale trattamento!) ad appena 37 anni (dopo avere, però, composto sino ad allora gran parte della musica a noi rimasta e tutta quella per il teatro).



Non solo, però, nel suo salon parigino era in contatto frequente con con coloro che, in veste ufficiale, lavoravano per l’unità d’Italia (come Costantino Nigra) o con coloro che fuoriusciti erano “ospiti fissi” del suo salon a Passy, un vero e proprio Gotha dell’intellighentsia europea a cui mancò (come nota Carli Balolla) solo Wagner ma molte sue opere trasudano di amor di Patria – da l’”Italiana in Algeri” a “Adelaide di Borgogna”, a “Tancredi” a soprattutto “Guillaume Tell”.

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