E’ morto Lucio Dalla stamattina. Avrebbe compiuto 69 anni fra tre giorni, esattamente il 4 marzo. Quel giorno che lui aveva cantato nella autobiografica e bellissima 4 marzo 1943, uno dei suoi primissimi successi. Una canzone scomoda, che aveva infastidito quell’Italia ancora un po’ piccolo borghese dei primissimi anni 70. Eppure una canzone dolcissima, come dolcissimo nonostante le apparenze burbere era Lucio Dalla. E anche un grandissimo musicista, uno dei pochi a cui l’etichetta di cantautore andava stretta perché in realtà grande compositore, che aveva cominciato dal jazz passando allo sperimentalismo progressive degli anni 70, fino al recupero della miglior tradizione melodica con l’immortale Caruso di qualche anno fa. Un protagonista. Riscoperto recentemente dalla nuova leva di giovanissimi musicisti italiani ad esempio Pierdavide Carone con il quale Lucio Dalla era andato all’ultimissimo festival di Sanremo. Insieme avevano scritto la bella Nini, e dalle impietose immagini televisive si vedeva un Lucio Dalla affaticato e tremolante, segni di una malattia che un infarto ha portato al definitivo addio. “Che grande mistero è la musica”: queste parole pronunciate da Lucio Dalla si possono sentire in uno dei suoi ultimissimi dischi, la testimonianza dal vivo del tour con Francesco De Gregori di un paio di anni fa, parole dette prima di introdurre un brano. Lucio Dalla aveva benissimo chiara questa consapevolezza: che la musica, come tutte le cose belle, è un mistero che apre a un mistero più grande.
Chi scrive queste righe lo ricorda in un paio di incontri molto brevi. Nel gennaio 2010 nel piccolo club di Nonantola in provincia di Modena dove aveva presentato insieme a De Gregori con un concerto esclusivo per pochi intimi in anteprima il tour che sarebbe seguito di lì a poco. Nel backstage un incontro con al stampa: lui era apparso all’improvviso, piccolo, appoggiato a un bastone, vestito come una rock star degli anni 70 con una improbabile pelliccia, sprigionava carisma a tonnellate nonostante l’età e gli acciacchi. A lui piaceva apparire esagerato. Poi alla Feltrinelli di Milano dove sempre con De Gregori stava per presentare il disco dal vivo di quella tournée. Mi trovavo nel camerino a salutare De Gregori, quando comparve anche lui, che con un estremo senso dell’educazione, con grande eleganza, vedendomi lì senza sapere chi fossi mi porse ugualmente la mano per presentarsi. Eleganza di altri tempi, la sua. Qualche battuta e poi via sul palco. Nei giorni di Sanremo avevo avuto l’occasione di parlare con Pierdavide Carone che così aveva raccontato della sua collaborazione con Dalla: “Un’esperienza formativa a dir poco. Quello che lui ha potuto dare a uno come me che sta cercando di percorrere un sentiero che è ultimamente a dir poco lasciato andare. Io credo che il movimento cantautoriale abbia dato tanto all’Italia e al mondo, se pensiamo a Dalla anche solo con Caruso, o se pensiamo a De Gregori. È un movimento un po’ in disarmo, e io sto cercando di riprenderlo, e lavorare con uno che ha fatto sì che questo movimento diventasse così importante non può che inorgoglirmi ed essere funzionale a quello che è il mio progetto musicale”. Parlando con Francesco De Gregori invece ai tempi del tour con Dalla, mi aveva detto: “Lucio è sempre stato un signor musicista, sin da giovanissimo quando suonava il clarino in gruppi jazz. Ha suonato anche con Chet Baker, figurati. Ha partecipato ai Cantagiro… Dalla ha fatto di tutto ed è sopravvissuto a tutto. Io invece ero senz’altro inseribile in quella che era l’iconografia del cantautore tipico”. 



In quei concerti Dalla e De Gregori si scambiavano le strofe delle reciproche canzoni. Alla domanda quale canzone di Dalla gli piaceva cantare, rispose: “Direi tutte. All’inizio era Come è profondo il mare, che mi era sempre piaciuta da ascoltatore.  Altre mi sembrava impossibile poterle cantare, dicevo, questa la faccio solo per far piacere a Dalla, invece poi mi sono divertito moltissimo”.
Mistero e divertimento: ecco cosa ci lascia Lucio Dalla, che aveva capito tutto quando negli anni 70 sempre con De Gregori cantava:
“Cosa sarà
che fa crescere gli alberi la felicità
che fa morire a vent’anni
anche se vivi fino a cento
cosa sarà a far muovere il vento
a fermare un poeta ubriaco
a dare la morte per un pezzo di pane
o un bacio non dato
oh cosa saraà
che ti svegli al mattino e sei serio
che ti fa morire ridendo di notte
all’ombra di un desiderio”

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