La Sicilia ci sorprende sempre. A Palermo è in corso una campagna elettorale confusa e disorientante. L’Isola è in piena recessione; se ne vedono i segni e pare certo che sarà lunga e profonda; ciò nonostante, c’è l’unica fondazione lirica in Italia (e una delle poche in Europa) che da sei anni chiude i bilanci in attivo e presenta, ogni stagione, accanto a repertorio tradizionale titoli da fare tremare i polsi e che neanche La Scala affronta da anni.



Uno di questi titoli è la versione critica in un prologo, quattro atti e nove scene  del “Boris Godunov” di Modest Mussorgskij . L’allestimento, coprodotto con il Teatro Municipal di Santiago del Cile, è una grande intrapresa intercontinentale. Argentino il regista Hugo de Ana (autore anche delle funzionali scene, che si cambiano a sipario aperto, e dei lussuosi costumi predisposti da Casa Tirelli), la direzione musicale è dell’americano George Pehlivanian, il coro palermitano è rafforzato da elementi della radio di Cracovia. Nel ruolo del protagonista si alternano Ferruccio Furlanetto e Alexei Tanovitski.



Tra i diciotto solisti spiccano alcune note voci italiane come Marco Spotti e Chiara Fracasso ma sono in gran misura slavi: si scopre un grande tenore Mikhail Gubsy (nel ruolo del co-protagonista, il giovane monaco Grigory che pretende di essere lo zarevich Dmitri, figlio di Ivan il Terrible , fatto trucidare da Boris in culla) e con l’apporto di truppe polacche e lituane si lancia alla conquista della Russia). Gubsy ha la vocalità di tenore spinto , ma dal timbro chiaro e trasparente che nel ruolo aveva Nicolia Gedda. In breve uno spettacolo di gran classe che La Scala, il Teatro dell’Opera ed il San Carlo, nonché i maggiori teatri europei, dovrebbero fare a gara a noleggiare. Spettacolo, poi, di grande attualità a ragione delle tensioni sempre più evidenti in Russia: l’opera – ricordiamolo – si chiude non con la morte dello zar usurpatore ed omicida ma con il canto del povero “innocente”, considerato lo scemo del paese ma chiaroveggente nel delineare mille anni di guerre fratricide sul suolo della Grande Madre Russa.



Nella nota a fondo pagina, si riassumono sia le vicende storico-politiche su cui si basa il dramma di Aleksandr Puškin (una delle maggiori fonti di ispirazione di Mussorgskij) sia le caratteristiche delle varie versioni del “dramma popolare in musica”, per utilizzare la dizione dell’autore. Se ne contano, in effetti, almeno otto e sovente il pubblico meno avveduto assiste a “contaminatio” (con spostamenti di scene ed utilizzazione delle differente orchestrazioni) tra le varie versioni pensando che si tratti di parole e musica quali concepite da Modest Musorgskij. In altra sede, mi sono soffermato sugli aspetti più strettamente musicali che distinguono le versioni.

L’allestimento palermitano dell’opera ne coglie l’afflato shakespeariano che spesso non traspare in altre produzioni del lavoro. Si basa su due delitti politici: l’infanticidio di Dmitri perché Boris ascenda al trono e diversi anni dopo il travestimento del giovane monaco nelle vesti proprio di Dmitri per spodestare Boris. Tanto il primo quanto il secondo delitto politico hanno obiettivi che superano il particolarismo: Boris intende unificare la Russia in mano a clan di boiardi in lotta gli uni che gli altri (tentando così di portare a termine l’opera del suo predecessore, e padre dell’erede al trono da lui fatto uccidere, Ivan il Terribile); il falso Dmitri (un giovane monaco nelle vesti del redivivo legittimo pretendente alla corona) vuole avvicinare la Russia all’Occidente (come Pietro il Grande nella successiva opera di Mussorgskij “Khovanschina”) e per questo motivo si allea non solo con i boiardi insoddisfatti del troppo potere di Boris, ma anche con i polacchi e con i lituani in un disegno di vasto respiro costruito con il supporto tecnico (si direbbe oggi) dei gesuiti.

Fallisce Boris e – lo sappiamo dalla “Storia dello Stato Russo” di Nikolaj Karamazin – è destinato al fallimento, dopo pochi anni sul trono, anche il falso Dmitri. Sino all’avvento di una “pacificazione” e “normalizzazione” da parte dei Romanov, che della modernità occidentale seppero cogliere solo gli aspetti più superficiali sino ad essere loro stessi travolti da Lenin e Stalin.
Sorge un interrogativo: è superficiale anche l’occidentalizzazione di Vladimir Putin, che proviene dalle file di quei servizi segreti i quali non dai tempi degli zar ma dall’inizio del Seicento utilizzavano sicari inviati pure all’estero per liberarsi dei loro avversari o anche solamente di chi è troppo informato su argomenti in cui è meglio non ficcare il naso?

Torniamo all’esecuzione. Hugo de Ana e George Pehlivanian hanno lavorato di concerto per offrire uno spettacolo, al tempo stesso, sontuoso, significativo e facilmente trasportabile da un palcoscenico ad un altro. La scena unica è composta da pannelli che, con un minimo di attrezzeria, consentono cambiamenti da vista (dal Kremlino, alle celle dei monasteri più poveri, alla foresta insanguinata da guerra civile). Grande attenzione alla recitazione ed ai movimenti delle masse: il coro – il popolo russo, dai boiardi, ai mercanti, ai monaci, ai servi della gleba) è il terzo co-protagonista, accanto a Boris e a Grigori/Dmitri. L’orchestrazione non è particolarmente difficile ma occorre tenere bene in pugno golfo mistico con palcoscenico e Pehlivanian ci riesce egregiamente. Ferruccio Furlanetto è uno dei più noti Boris viventi, Alexei Tanovitski (che ho ascoltato il 24 marzo) è già un Boris maturo che potrà prenderne il testimone. Di Gubsy si è detto. Tra gli altri spicca Anna Victorova , nel ruolo di Marina che si porta a letto Grigori/Dmitri per perseguire il disegno del Nunzio Apostolico in Polonia Rangoni (il buon tenore Igor Golavatenko) di conquistare Mosca per riportare al cattolicesimo i russi ortodossi.

La campana di questo ‘Boris’ palermitano suona non solo per chi apprezza la grande musica ma per tutti coloro che vogliono meglio comprendere la Russia di ieri, oggi e domani.