Mai come stavolta risulta difficile, nello spazio di un semplice articolo, inquadrare una personalità complessa, poliedrica, non incasellabile e sempre stimolante come quella di Lucio Dalla. Innumerevoli articoli, servizi televisivi e ricordi degli amici ne hanno parlato in questi giorni, e noi preferiamo un’analisi forse più tangenziale – evitando il più possibile di ripetere il già detto – per dire che esiste un Dalla quasi per ogni decennio, ma che al contempo alcuni elementi restano costanti.
Il Dalla degli anni Sessanta sboccia dalla vivacissima scena jazz bolognese di quel periodo, in cui egli suona il clarinetto (cui poi aggiungerà il sax alto) nello stile tradizionale, ma già aprendosi al moderno: Franco d’Andrea ricorda che Dalla aveva in repertorio 245, un blues variato di Eric Dolphy, che sicuramente aveva visto a Bologna nel gruppo di Mingus nel 1964. Anche il suo primo disco Lei (non è per me) si rivela essere una versione italiana di un classico del jazz anni Venti, Careless Love, legato al ricordo di gente come Billie Holiday e Dinah Washington, e scusate se è poco, ma pure nella successiva produzione il jazz – anche nella sua variante soul – non scompare mai: pensiamo a Paff…Bum!, presentato a Sanremo 1966 insieme agli Yardbirds, o a Quand’ero soldato.
A fianco di questo filone, però, ne nasce un altro intriso di grande poesia e tenerezza, con capolavori come Il Cielo, La casa in riva al mare o quella Un uomo come me (“aspetta il tuo ritorno/ Liberando nel vento una rondine al giorno”) che apriva uno dei rari film di Dalla, Il Santo Patrono, con Lucio nella parte di un prete di campagna.
Altro seme importante per la futura carriera che sarà gettato in questo periodo è l’attenzione per la tematica del viaggio e dell’avventura, con la poco nota Sulla Rotta di Cristoforo Colombo – che anticipa Guccini di almeno vent’anni – e la popolarissima Itaca, la storia di Ulisse rivista attraverso gli occhi di un suo rematore, nel segno di un’attenzione ai più poveri, ai più piccoli, ai più emarginati che tornerà poi più e più volte (pensate solo al Cucciolo Alfredo: “Se la sua fantasia/Io la prendo per mano/ Ce ne andremo lontano”).
Il Dalla degli anni Settanta apre con la storica 4 marzo 1943, scritta insieme a Paola Pallottino (il titolo originale, Gesù Bambino, fu cambiato per una stupidissima censura, caso non raro nel 1971), centrando un grande successo di vendite, e diventa una presenza familiare per noi ragazzi presentando alla TV un altro pezzo di storia, Gli Eroi di Cartone, primo programma dedicato ai cartoni animati di ogni tempo e nazione, ma poi sterza verso un personalissimo impegno collaborando col poeta Roberto Roversi per tre storici album, Il Giorno Aveva Cinque Teste, Anidride Solforosa e Automobili, coi quali si inserisce a modo suo nel periodo dei “cantautori” affrontando tematiche perfino scabrose, come in Mela da scarto dedicata ai delinquenti giovanili da riformatorio, oppure Intervista con l’Avvocato, beffarda “celebrazione” di Gianni Agnelli: in questo pezzo l’Avvocato non parla ma si esprime in scat jazzistico, lo stesso che Dalla aveva esaltato in un classico brano tratto dal primo dei dischi citati, ossia Pezzo Zero.
Ma è a cavallo fra gli anni Settanta e Ottanta che Dalla spicca il volo per la popolarità non solo nazionale che lo farà entrare nel cuore di tanti, prima con Ma dove vanno i marinai insieme a De Gregori – il retro del singolo, Cosa sarà, è ispirato per espressa confessione di Dalla a Keith Jarrett – poi con L’anno che verrà, Cara, Futura, La settima luna e via discorrendo, infine col successone mondiale di Caruso: non pochi commentatori hanno notato come la parabola conclusiva del tenore napoletano sia stata la stessa dell’autore del pezzo, giacché anche Dalla è morto dopo aver cantato e per giunta in un luogo carico di ricordi, ossia Montreaux in Svizzera, sede di un festival del jazz dalla tradizione pluridecennale, e luogo caro a lui come Napoli lo fu a Caruso.
Da qui ha preso le mosse il Dalla dell’ultimo trentennio, che alternava successi come Attenti al Lupo– di cui, con la consueta disarmante semplicità, si era detto molto contento da quando l’aveva sentita cantare ai semafori! – a progetti molto più ambiziosi, riuscendo sempre ad essere contemporaneamente di culto e di massa, come pochi – in Italia almeno – hanno saputo essere. Non è qui il caso di ripercorrere l’ultimo ricco periodo della sua attività, ma preferiamo concludere con due episodi dai quali traluce la grande umanità di Dalla e la sua generosità verso tutti.
Luciano Ligabue racconta che Dalla gli telefonò dicendo di aver sentito una sua canzone alla radio, prevedendo che la stessa avrebbe venduto almeno settecentomila copie; Ligabue riappese credendoci assai poco a questa profezia, che invece s’avverò in pieno: la canzone era Certe Notti.
Giovanni Tommaso, sommo contrabbassista e compositore jazz, conosceva Dalla fin dagli anni bolognesi, e una volta andò a trovarlo nella sua casa alle Isole Tremiti dove c’era anche uno studio di registrazione. Dalla chiese a Giovanni se voleva suonare in un pezzo del suo nuovo disco, ma questi gli fece notare che era in vacanza e non aveva con sé il contrabbasso; nessun problema, Dalla noleggiò un elicottero per andare a prelevare il contrabbasso di Giovanni – che abita a Mentana, vicino a Roma… – e così registrare UN solo pezzo!
Questo è un episodio davvero emblematico di Dalla, che passa sopra alle convenzioni – anche in materia di look: era così trasandato agli inizi da essere soprannominato “Il brutto addormentato nel basco” – e desidera solo creare ponti fra anime sensibili, come si conviene a un poeta, e da vero poeta è stato abbracciato dalla sua Bologna proprio nel giorno in cui avrebbe compiuto gli anni, con una morte di cui sarebbe andato fiero il Joseph Roth di La leggenda del santo bevitore.