Negli ultimi mesi il mercato discografico ha fornito materiale interessante per chi ama la musica dei Pink Floyd. La storica band inglese ha infatti programmato con la EMI una serie di riedizioni rimasterizzate con contenuti speciali pubblicizzate con il nome Why Pink Floyd? Nell’ambito di questa operazione commerciale sono stati pubblicati il box set Discovery (che include i 14 album registrati in studio in versione rimasterizzata), la raccolta A foot in the door – The best of Pink Floyd e le versioni Immersion, Experience e Vynil LP di tre fra gli album più importanti della band.
Le versioni Immersion ed Experience sono sicuramente le pubblicazioni più interessanti, in quanto mettono a disposizione per la prima volta raro materiale audio, video e fotografico inerente alla lavorazione dei singoli album e ai concerti che ne sono seguiti. Dopo le uscite di The dark side of the moon (26 settembre, in coincidenza con l’edizione Discovery) e Wish you were here (7 novembre, in coincidenza con il The best of Pink Floyd), lo scorso 27 febbraio è stata la volta di The wall, una delle incisioni più rappresentative della band, che in appena poche ore dalla pubblicazione è balzata in cima alle classifiche discografiche di iTunes.
Il materiale musicale inedito incluso in The wall riguarda per lo più demo che attestano le prime fasi di realizzazione del disco, dandoci un’idea di come i singoli brani si sono formati e plasmati durante il periodo del cosiddetto work in progress. È affascinante ascoltare le versioni precedenti di brani come Comfortably numb o Another brick in the wall e paragonarle con quelle definitive; in taluni casi si ha la sensazione di vedere queste canzoni crescere e svilupparsi gradualmente in ogni registrazione, con l’aggiunta di riff, effetti sonori, nuove versioni del testo e arrangiamenti vari.
The wall fu realizzato nel 1979, a partire da un’idea di Roger Waters, che propose due demo alla band: una fu scartata (confluirà poi nel lavoro solista The pros and cons of hitchhiking), mentre l’altra (inclusa ora interamente nella versione Immersion) fu accolta dalla band come base di lavoro per un concept album che sarebbe diventato una pietra miliare nella storia della rock.
La nuova uscita discografica è l’occasione giusta per tornare su un disco di grande qualità, in cui i Pink Floyd riescono a esprimere in musica una condizione umana di profonda tristezza e sofferenza generata dalla mancanza di rapporto con la realtà.
The wall è infatti un album in due dischi che parla della vita di Pink, un personaggio immaginario che, afflitto dalle molte sofferenze della vita (la morte del padre, la madre iperprotettiva, le umiliazioni inflitte dagli insegnanti scolastici, il tormentato rapporto con la moglie), decide di “costruirsi un muro” che lo tenga separato dalla realtà evitandone così i risvolti sgradevoli e inattesi. Ogni circostanza dolorosa è come un nuovo mattone che si aggiunge sul muro di Pink; da qui la celebre Another brick in the wall, che a più riprese (part 1, part 2, part 3) sancisce il progressivo allontanamento dalla realtà, realizzato definitivamente nella terza parte con un’illusoria dichiarazione di autosufficienza:
“Non ho bisogno di braccia che mi stringano / Né di droghe che mi calmino / Ho visto la scritta sul muro / Non pensare che io abbia bisogno di qualcosa / No, non pensare che avrò mai bisogno di qualcosa / Dopo tutto era solo un mattone nel muro / Voi tutti eravate solo dei mattoni nel muro”. Alla fine del primo disco il muro è ormai completato e Pink dà il suo ultimo saluto alla realtà con la canzone Goodbye cruel world: “Addio, mondo crudele / Me ne vado oggi / Addio a tutti voi, gente / Non c’è niente che possiate dire / Per farmi cambiare idea / Addio”.
Tuttavia, Pink non riesce a vivere isolato dal mondo e inizia a inviare richieste di aiuto. Ecco un estratto dal brano che apre il secondo disco, Hey you: “Hey tu! […] Puoi sentirmi? […] / Vuoi toccarmi? / Mi aiuteresti a portare questo masso? / Apri il tuo cuore, sto tornando a casa / […] Hey tu! Non dirmi che non c’è più alcuna speranza / Insieme resisteremo, divisi cadremo”.
Pink, che nel frattempo è diventato una rockstar, è riuscito a ripararsi dalle delusioni della vita rifugiandosi in una vita comoda, in cui ha tutto, ma in cui permane una snervante insoddisfazione (“Sento una forte urgenza di volare / Ma non so dove”). Ciò è evidente nel testo di Nobody home: “Ho tredici canali di merda da cui posso scegliere alla TV / Ho la luce elettrica / Ho una seconda vista / Una sorprendente capacità di osservazione / E tutto quello che so / è che quando cerco di telefonarti / Non trovo mai nessuno in casa”.
È lo stesso Pink a definire la propria condizione esistenziale come “comodamente insensibile” in una delle canzoni più belle e struggenti dell’intero lavoro, la celebre Comfortably numb. Il brano descrive un dialogo fra il protagonista, colto da un malore poco prima di un concerto, e un dottore, incaricato di rimetterlo in piedi e riportarlo sul palco. Il medico, magistralmente interpretato dai sussurri di Waters, ci appare preoccupato di riportare Pink sul palco (gli farà un’iniezione per rimetterlo in piedi), ma non di capire qual è il suo vero disagio. Ecco le sue parole:
“C’è qualcuno là dentro? (la canzone precedente si era chiusa con il grido di Pink, che da dietro il proprio muro urlava: “C’è qualcuno là fuori?”) / Vedo che ti senti giù / Io posso allievare le tue sofferenze / E rimetterti in piedi / Puoi mostrarmi dove ti fa male?”.
La musica su cui il dottore incalza Pink è lugubre e, con il supporto di alcuni effetti come il glissando iniziale e l’eco sulle parole pronunciate da Waters, sembra voler rendere il punto di vista del protagonista che, impedito dal malessere fisico, vede la realtà in maniera deformata, come non distinguendone i contorni. Emblematiche in questo senso sono le prime parole che Pink stesso rivolge al dottore: “Non c’è dolore [che tu possa guarire, nda], ti stai allontanando / Un fumo di una nave lontana all’orizzonte / Mi stai arrivando solo a ondate / Le tue labbra si muovono ma non riesco a sentire cosa dicono”.
Quando Pink prende la parola, la musica cambia improvvisamente registro, sembra finalmente suggerire un orizzonte grande, quasi epico, sottolineato dal passaggio alla tonalità maggiore, dai suggestivi arpeggi di sottofondo e dall’accompagnamento orchestrale. La voce di David Gilmour (il chitarrista che interpreta in questo brano il ruolo di Pink) è particolarmente espressiva, un lamento amaro che sembra rimpiangere una bellezza perduta per sempre. Pink sta guardando chiaramente alla sua giovinezza, che usa nel primo ritornello per descrivere la propria condizione presente:
“Quando ero bambino ho avuto la febbre / Le mie mani sembravano grandi come due palloni / Ora sto provando ancora una volta la stessa sensazione / Non riesco a spiegarmi, non mi capiresti / Questo non sono io / Sono diventato comodamente insensibile”
Il dramma di Pink è comunicato ancora più chiaramente nel secondo ritornello, che palesa come il disagio sia ben più profondo di quello provocato dal malore fisico, ed è espresso con una bellissima immagine poetica:
“Da bambino ebbi una fugace visione / Con la coda dell’occhio / Mi girai a guardare, ma era sparita / Adesso non riesco ad afferrarla / Il bambino è cresciuto / Il sogno è svanito / Ed io sono diventato / Comodamente insensibile”.
Il momento in cui questi versi si intersecano con la musica del ritornello (e in particolare con la bellissima voce di Gilmour) è il più commovente della canzone, il punto in cui il protagonista si rende conto amaramente di come il sogno, la promessa di felicità che la giovinezza aveva manifestato anche solo per un fuggente istante, sia svanito; quel bambino ormai è cresciuto ed è diventato intorpidito, insensibile a tutto ciò che la realtà ha da proporgli. L’assolo conclusivo di Gilmour esprime il dolore e la sofferenza generati da questa amara perdita, la consapevolezza della mancata realizzazione di sé.
Si tratta di uno degli assoli più celebri della storia del rock, una delle poche parti di The wall su cui era concesso a Gilmour di improvvisare durante le esibizioni live. Le versioni dell’assolo sono molte e hanno generato da parte dei fan una vera e propria disputa sulla versione migliore. Qui si suggerisce la performance del Live 8 (luglio 2005), un concerto organizzato da Bob Geldof per scopi umanitari per cui i Pink Floyd tornarono a esibirsi nella loro formazione storica (dedicando la performance al compianto Syd Barrett). L’esibizione colpisce non solo per l’assolo, ma per l’interpretazione di tutti i membri della band; è una di quelle performance in cui accade qualcosa e a cui è difficile rimanere “comodamente insensibili”.