Il Ministro Ornaghi ricorda certamente quando Piero Bargellini, allora Sindaco di Firenze, con il fango sino alle ginocchia nella Galleria degli Uffici, disse, con voce stentorea : Non è tempo di piagnistei! Con quella frase, infervorò tutta Firenze che, come una sola persona, si mise all’opera per risollevare la città dopo l’alluvione.
Qualcosa di analogo lo ha fatto la Fondazione Ravenna Manifestazioni, il cui Teatro Alighieri, ha presentato, mentre fondazioni liriche e teatri di tradizioni si rotolavano per terra e intonavano geremiadi sugli effetti della recessione e dell’austerity sui loro bilanci, ha realizzato una stagione di opera e balletto di dieci titoli, sempre condividendo le spese con altri enti e tenendo alta la qualità.
Ultimo spettacolo “Rinaldo” di Händel che Pier Luigi Pizzi firmò nel 1985 per il Teatro Valli di Reggio Emilia e poi ripreso nei teatri più prestigiosi del mondo. Da allora è stato visto a Parigi, a Seul, a Milano, a Venezia, a Madrid, a Lisbona, nel circuito toscano e nel circuito emiliano. In breve in 18 teatri.
“Rinaldo” si riposava dal 2007. E’ tornato in scena il 20 aprile a Ravenna e sino al 6 maggio si vedrà pure a Reggio Emilia e Ferrara. Non è escluso che il nuovo viaggio lo porti a Catanzaro ed ad alcuni tra i maggiori festival estivi.
Non è una semplice “ripresa” di uno spettacolo del 1985. Curata personalmente da Pizzi per quanto riguarda il riallestimento di scene e costume, è affidata a Ottavio Dantone che con l’Accademia Bizantina da lui creata e diretta, propone, per la prima volta, un “Rinaldo” con strumenti più simili a quelli d’epoca e con un cast internazionale di specialisti in vocalità barocca. Il confronto con il “Rinaldo” presentato alla Scala nel 2005 lo mostra a tutto tondo, specialmente negli ottoni che, a Milano, suonavano Händel come se fosse Mascagni mentre all’Alighieri di Ravenna lo mostravano in tutto il suo splendore. In sala, poi, c’era un pubblico nuovo, giovane, attirato dalla grande fantasia del barocco.
Facciamo parlare Pizzi “Nella concezione dello spettacolo l’asso nella manica fu di inserire macchine sceniche umanizzate. L’utilizzo di queste macchine era comune nella scenografia barocca, così pensai di affidare all’uomo il compito di dare mobilità al dispositivo scenico, decisi che fossero dei figuranti a movimentare l’impianto e a far circuitare i personaggi su appositi carri. Questi mimi interamente vestiti di nero e mascherati come nel teatro giapponese kabuki, sono diventati i veri protagonisti dello spettacolo perché proprio a loro era affidato il compito di animare l’intera regia”.
Oggi, a differenza del settecento, il pubblico non ha familiarità con gli eroi cavallereschi messi in scena da Händel, per questo, secondo il regista, è opportuno rappresentare i personaggi come se fossero delle icone, delle statue su piedistalli, in grado di evocare la maestosità dell’arte barocca, ma con quella sottile ironia che caratterizza un sapiente uso della citazione visiva. Quello che viene dunque messo in scena in questo “Rinaldo” è Il “rituale del teatro”, il cui motore, afferma il regista, è la musica: “Il libretto dell’opera è solo un pretesto, come spesso accadeva nel teatro barocco. Fortunatamente la musica è un formidabile motore e la successione delle arie non genera monotonia, ma anzi spinge l’azione in modo vivo ed energico”.
Il capolavoro handeliano segnò il debutto del compositore a Londra e la prima rappresentazione, al Teatro di Haymarket il 24 febbraio 1711, fu un successo abilmente orchestrato dal drammaturgo e impresario Aaron Hill. Il Rinaldo fu anche la prima opera totalmente in italiano ad andare in scena nella capitale britannica. Il giovane Händel la compose in soli quindici giorni, riadattando in parte partiture scritte durante gli anni trascorsi in Italia e che lo avevano reso famoso. Rinaldo fu un successo di lunga durata, tant’è che fu più volte ripreso per vent’anni e oggetto di due rifacimenti: il primo nel 1717, il secondo, più incisivo, nel 1731.
Proprio il riutilizzo di arie precedenti e le modifiche apportate nel tempo dallo stesso Händel hanno suggerito a Pizzi e a Dantone di rivedere in parte la struttura dell’opera con lo spostamento di alcune arie e tagli di recitativi funzionali alla drammaturgia inscritta nel libretto. La vicenda è collocata a Gerusalemme nel 1099. Negli gli ultimi giorni dell’assedio che mise fine alla prima crociata, i cristiani, capeggiati da Goffredo di Buglione, sono opposti ai saraceni guidati dal re Argante. Il libretto di Aaron Hill, tradotto da Giacomo Rossi, è tratto dalla Gerusalemme liberata di Tasso e dall’Orlando furioso di Ariosto. L’abile Hill vi introdusse il personaggio di Almirena, figlia di Goffredo e promessa sposa di Rinaldo, arricchendo di significati la vicenda di Rinaldo e Armida, l’incantatrice, regina di Damasco.
Tra tagli e interpolazioni, questo nuovo “Rinaldo” dura due ore e mezzo, intervallo compreso, timing perfetto per uno spettacolo del nostro tempo, mentre nella Londra di Händel (che compose tre versioni dell’opera) si stava a teatro per circa 5-6 ore banchettando ed amoreggiando tra un’aria e l’altra.
Delle meraviglie dell’orchestra si è detto. Le voci sono tutte ben calibrate. Il tenore polacco Krystian Adam (Goffredo) mette in luce un’agilità virtuosistica. Maria Grazia Schiavo (Almirena) strappa lunghi applausi dopo l’aria Lascia che io pianga. Roberta Invernizzi è un’Armida sensuale (nella seduzione di Rinaldo, Marina de Liso) e gelosa nei confronti di Argante (Riccardo Novaro). Antonio Vincenzo Serra un pastoso Mago Cristiano (il Deus ex Machina che risolve l’intrigo). William Corrò e Savinia Bini completano l’affiatato cast.
La sera della prima, quindici minuti di ovazioni al calar del sipario.