La Settimana Santa è spesso occasione di settimane e festival “di Pasqua”. Sono stati realizzati e si compongono in gran misura di un repertorio conosciuto. Due eventi, però, spiccano su tutti: uno è in programmazione sino al 15 aprile e ci auguriamo che il pubblico più giovane riesce a coglierlo; l’altro è stato in scena per solo due sere, viene rappresentato ormai raramente in Italia (anche se fu un successo negli Anni Cinquanta) e speriamo che venga ripreso. Sono due lavori della seconda metà del Novecento: “Jakob Lenz” di Wolfang Rihm e “Jeanne d’Arc au Bûcher” di Arthur Honneger.
Per i 60 anni di Wolfang Rihm, uno dei compositori tedeschi più noti, il Teatro Comunale di Bologna propone l’opera da camera Jakob Lenz, composta a 25 anni per l’Opera di Amburgo e diventata un grande successo in Europa e negli Usa. In Italia ha debuttato nel 1988 ad Alessandria. Il lavoro si compone di 13 quadri e vede in scena tre solisti (un tenore, un basso e un baritono), un coro madrigalistico di sei voci e un piccolo complesso strumentale.
La produzione (regia e scene di Henning Bockhouse, costumi di Giancarlo Collis, concertazione di Marco Angius) ha debuttato il 30 marzo al Teatro Rossini di Lugo di Romagna ed è in scena a Bologna fino al 15 aprile. Lenz, drammaturgo e poeta tedesco, amico di Goethe, era un artista con un animo entusiasta e cupo al tempo stesso, e morì misteriosamente in una foresta del Baltico. Georg Büchner ne trasse una novella in cui Lenz viene visto come una giovane vita che distrugge se stessa.
Nel lavoro di Rihm, è, invece, la vittima di una società che, non comprendendolo, lo porta alla follia e alla morte. Il linguaggio musicale si riallaccia allo Schönberg espressionista e all’articolazione in scene concentriche di Berg, collegate da interludi strumentali e caratterizzate dal recupero di forme classiche come il corale, il Ländler, la Sarabanda, il Lied.
Buoni i tre interpreti, Thomas Möwes, Markus Hollop e Daniel Kirch, i sei madrigalisti e il piccolo ensemble orchestrale. Un lavoro cupo e triste, ma modernissimo e denso di senso religioso; senza la Fede si va alla follia.
Totalmente differente “Jeanne d’Arc au Bûcher” di Arthur Honneger su testo di Paul Claudel, presentato al Teatro Massimo Bellini di Catania il 5 e 6 Aprile. venne presentato all’Opéra ed al San Carlo e divenne un film di successo. Nel testo si ritrova il Claudel degli anni migliori: i protagonisti sono ispirati più dal dubbio che dal dogma. La partitura fu all’epoca considerata spregiudicata per l’uso di tecniche quasi cinematografiche (come le dissolvenze incrociate) negli 11 quadri (poco meno di un’ora e mezzo complessivamente) nel modulare una scrittura complessa ed un grande organico. Un’ovazione e un caloroso applauso durato 10 minuti hanno accolto il 5 Aprile l’attrice Lina Sastri al termine della rappresentazione.
Applauditissimi anche Will Humburg, che ha diretto l’orchestra stabile del “Bellini” e gli attori Piero Sammataro e Agostino Zumbo, i cantanti Graziella Alessi, Ines Krome, Loredana Megna, Michele Mauro, Maurizio Muscolino, le voci bianche di Sandra Liurno e Samuele Cozzubbo, il maestro del coro Tiziana Carlini ed maestro del coro di voci bianche “Gaudeamus igitur” Concentus, Elisa Poidomani. Il lavoro mancava da Catania del 196° e viene raramente rappresentato in teatri italiani. Negli ultimi anni si è visto al Massimo di Palermo nel 2003 ed all’Accademia di Santa Cecilia nel 2008.
In effetti, i lavori di Paul Claudel (anche quelli puramente teatrali come “L’annonce fait à Marie”, se non il suo capolavoro almeno quello più noto in Francia e nel resto del mondo) sono virtualmente spariti dalle scene italiane dalla fine degli Anni Sessanta, a ragione in gran misura di una vulgata, di origine marxista, secondo cui il poeta e drammaturgo sarebbe stato, oltre che cattolico, anche reazionario.
Claudel non si considerava né un poeta né un drammaturgo: era un diplomatico – nella sua lunga carriera è stato, tra l’altro, Ambasciatore di Francia a Tokio, a Washington ed a Bruxelles (sedi tutte impegnative) che dedicava alla poesia ed alla drammaturgia un giorno la settimana. Veniva da famiglia cattolica.
Diventato agnostico in adolescenza e scettico all’inizio degli anni universitari, racconta di essere tornato alla Fede all’età di venti anni durante una visita a Nôtre-Dame. Si considerava “scrittore religioso e cattolico”. Vedeva la propria missione non solo nella diplomazia a servizio della Francia ma anche e soprattutto nell’obbligo “di portare daccapo, ad un mondo corroso dal dubbio ed abbrutito dal materialismo, l’idea della gioia e dell’amore, nella certezza e nella fede di un Dio personale legato a noi da un rigoroso contratto”.
Veniamo a Honneger, il cui “Pacific 231” (una composizione per orchestra che imita la locomotiva a vapore) è ancora eseguito con una certa frequenza nelle sale da concerto. Era svizzero, anche se nato a Le Havre. Faceva parte del Gruppo dei Sei che, all’inizio del Novecento, si proponevano di rinnovare la musica francese, ma, a differenza degli altri cinque, non viaggiava verso la giocosità, ma si collegava a Debussy e a Schömberg, quindi contrappuntismo rigoroso e stile politonale. Non credeva nell’avvenire del teatro. Era, invece, interessato alla musica da film: è sua la colonna sonora di “Napoléon” di Abel Gance del 1927, un colossal di oltre sei ore in cui per la sequenza del passaggio delle Alpi venivano utilizzati tre schermi simultaneamente. “Jeanne d’Arc au Bûcher”-rappresenta, quindi, l’incontro di due intellettuali di spicco di quello che è chiamato il “Novecento Storico”.
Fu concepito mentre si sentiva già il rullo dei tamburi della seconda guerra mondiale. Ebbe appena un successo di stima alla prima esecuzione (in forma di concerto) a Basilea nel 1938. Esito strepitoso alla prima versione scenica, a Zurigo nel 1942, con la regia di Hans Reinhard. Alla “prima” in Francia un pubblico razzista si mostrò ostile alla protagonista, Ida Rubinstein, ebrea, sulla cui interpretazione era stato, in gran misura, costruito il lavoro. Ciò nonostante, ci fu una tournée in ben 40 città della Francia di Vichy (ossia la parte non occupata) nel 1941. Il lavoro approdò a Parigi il 9 maggio 1943 (in piena occupazione). La sua risonanza mondiale, però, si ebbe alla metà degli Anni Cinquanta quando, con Roberto Rossellini registra ed Ingrid Bergman protagonista, venne presentato all’Opéra ed al San Carlo e divenne un film di successo. Un lavoro da ascoltare e da vedere.