Inaugurazione in grande stile per la 75sima edizione del Maggio Musicale Fiorentino: dopo una prolusione, alle 11 della mattina, di Alberto Arbasino nell’Aula Magna dell’Università, alle 18 del 4 maggio il sipario si è aperto su “DerRosenkavalier”, “commedia per musica” di Richard Strauss e Hugo von Hofmannsthal. Alcuni mesi fa, in occasione della presentazione alla Scala di una coproduzione con Madrid e Parigi, ci siamo soffermati sul significato del lavoro. Questa volta, invece, ci concentriamo sulla esecuzione del nuovo allestimento.



In primo luogo, il “Der Rosenkavalier”, visto il 4 maggio e che speriamo venga ripreso da altri teatri e italiani e stranieri, segna tre debutti. E’ la quarta volta che la “commedia per musica” si vede nella città del Giglio, ma le edizioni precedenti erano state noleggiate da Dresda, Francoforte e Colonia, mentre questo allestimento è stato prodotto unicamente dal Teatro del Maggio Musicale e dalle sue maestranze.



È anche il debutto a 76 anni di Zubin Mehta nella concertazione della splendida partitura – cosa che ha sorpreso molti critici in quanto Mehta, per quanto indiano di nascita, non ha inteso sino ad ora (quasi per riverenza) affrontare quella che è senza dubbio la più importante “commedia per musica” del XX Secolo. In terzo luogo, la regia e la drammaturgia sono firmate da EikeGramms, professore al Mozarteum e noto principalmente per le sue regie di prosa e di cinema (anche se, proprio a Firenze, ha presentato anni fa un delizioso e originale “Ratto dal Serraglio”) – anche lui per la prima volte alle prese con “DerRosenkavalier”. A fianco dei tre debutti una sperimentatissima compagnia: i protagonisti (Angela Denoke, CaitlinHulcup, KristinnSigmundsson, SylviaSchwartz) hanno grande esperienza nei rispettivi ruoli e sono bravissimi sia vocalmente sia drammaturgicamente.



È doveroso iniziare dal debutto più atteso: quello di Mehta. La sua è una lettura della partitura che ricorda l’ultima edizione dello stesso lavoro fatta da Carlos Kleiber (quella , per essere precisi, del 1994). Lontani sia dalla cesellature di Solti e dalla tinta di Karajan, Mehta vede in “DerRosenkavalier”,  un apologo non solo sulla fine di un’epoca (la “Austria Felix” – oggi “Europa Felix”) ma sul significato del grande mistero il cui fine è noto, come dice la protagonista al termine del primo atto, è noto solo “a Colui che tutto sa”.  

La concertazione di Mehta è intrisa di nostalgia e melanconia, anche nei momenti più apertamente comici come il finale del secondo atto e l’inizio del terzo per un mondo bellissimo ma ormai finito. In questa prospettiva, Mehta dilata i tempi, contiene il ritmo dei valzer e accentua i diminuendo dei tre magnifici finali.
Inclusi i due intervalli, “la commedia per musica” dura circa cinque ore, che il 4 maggio sono stati salutati da venti minuti di ovazioni. È ingeneroso fare confronti, ma l’orchestra del Maggio si è mostrata più adatta di quella della Scala (l’autunno scorso) a mettere in luce, accanto al sinfonismo, i numerosi momenti cameristici e solistici della partitura.

Mehta è stato anche assecondato da un cast di grande livello. Difficile da assemblare perché l’opera richiede ben 27 solisti. CaitlinHulcup ha anche il fisico di un adolescente spavaldo che in pochi giorni matura e diventa un vero giovane uomo: in scena per tutta la durata dell’opera passa da duetti sensuali a voli acrobatici e a partite di scherma da vero spadaccino.

Angela Denoke ha la bellezza di una trentatreenne che – lo comprendiamo – dopo l’avventura con il giovane cavaliere e la comprensione del passaggio di una stagione, avrà tanti altri uomini. SylviaSchwatrtz è un’adorabile quindicenne appena uscita da pensionato in convento che si conquista il proprio cavaliere con le unghie e con i denti. Kristin Sigmundsson è finalmente un “Barone Ochs” maleducato e volgare, ma non buffonesco. Impossibile menzionare, in una recensione, tutti gli altri.
Oltre ai protagonisti spicca il giovane Celso Albelo nella breve ma difficile parte de “un tenore italiano”, un vero e proprio cammeo.

Veniamo alla drammaturgia. Nell’Impero austriaco, il cambiamento sociale – la decadenza dell’aristocrazia di provincia e il sorgere in particolare di una borghesia mercantile arricchita – si verifica in un’epoca distinta e distante da quella della metà del XVIII secolo in cui si svolge la “commedia in musica”. Infine, il valzer il cui tempo – si è già ricordato – scandisce momenti salienti della “commedia” (ed è entrato prepotentemente nella “vulgata” sul “DerRosenkavalier”) è stato inventato diversi decenni dopo il periodo in cui si svolge la vicenda raccontata da Hofmannsthal e messa in musica da Strauss.

La “rievocazione in musica” sceglie il valzer, piuttosto che la “gavotta”, la danza tipica degli anni in cui Maria Teresa era Imperatrice, proprio per accentuare l’irrealismo della stessa musica con cui si dà vita a una “commedia” il cui testo e note di accompagnamento sono puntualissimi nell’indicare i dettagli (come i colori dei broccati dei costumi dei protagonisti e i fiori della messa in scena), purché l’insieme non abbia nulla di realistico.

Ancora più marcato verso un irrealismo eclettico e, quindi, atemporale, il cammino di Hofmannsthal e Strauss nel percorso musicale dell’opera. In “DerRosenkavalier”, la grande orchestra e il sinfonismo wagneriano vengono impiegati per fondere Mozart, l’operetta francese e austriaca, il polifonismo e la vocalità italiana in unità ancora oggi singolarissima e nuovissima. Il “DerRosenkavalier” richiede una Vienna piena di lustrini, camere nuziali (e letti) smisurati, palazzi di “nouveaxriches” caricatissimi di stucchi rococò, taverne troppo palesemente equivoche per essere prese sul serio (e scoraggiarne l’accesso a bambolette ingenue come Sophie).

EikeGramms (con Hans Schavernoch, scene, e Catherine Voeffray, costumi), risolve questi nodi con un unico impianto scenico e giochi di specchi e proiezioni in un quadro atemporale che spazia dal Settecento all’inizio del Novecento. Modo intelligente ed elegante per mettere in luce la nostalgia non solo per l’”Austria Felix” ma anche per l’”Europa Felix”. Poco dopo, infatti, sarebbe iniziato il suicidio di un continente.