E’ davvero “osceno” Der König Kandaules “(Il Re Candaule”), opera in tre atti di Alexander von Zemlisnky che venne rifiutata dal Metropolitan di New York con l’accusa di essere “pornografica” nel 1942? La conseguente emarginazione causò la morte prematura dell’autore il quale, esule poverissimo negli Usa, puntava su un successo in terra d’America dopo essere stato il direttore di importanti teatri lirici di Vienna e di Berlino ed un acclamato musicista in mezza Europa. Il Teatro Massimo di Palermo, una delle rare fondazioni liriche che da sette anni chiude i bilanci in attivo, se ne è accaparrato la prima italiana e si può rispondere a questa ed ad altre domande.
In primo luogo, la novella di Erodoto da cui è tratta può essere considerata “osée”. Il Re più ricco e più felice del mondo, nonché sposato alla moglie più bella del mondo (che costringe ad essere velata per non conviverne la vista della bellezza con altri), insiste perché il suo servo favorito la veda nuda. La fine è tragica: la Regina ha con il giovane servo la più bella notte d’amore mai goduta e, offesa per essere stata mostrata nuda, fa uccidere il Re ed acclamare nuovo Signore il ragazzo da una turba di cortigiani sicofanti. Zemlinsky trasse il libretto da un dramma del decadente André Gide; inoltre era cresciuto nella Vienna di Freud e della Secessione. Quindi, tanto il testo quanto la partitura sono intrisi di riferimenti erotici che nel 1942 potevano fare scandalo ma che ora paiono per educande.
Nella edizione in scena a Palermo, la regia e le scene di Manfred Schweigkofler, i costumi di Mateja Benedetti e le luci di Claudio Schmid non lasciano nulla sotto-inteso, anche se l’eros (e la perversione) sono solo parte di una più vasta riflessione sulla felicità, sul potere (sfuggente) e sui tradimenti umani (sempre in agguato). La scena unica, marcatamente espressionista, è di grande efficacia.
Asher Fisch concerta elegantemente la difficile partitura (un eclettismo che incorpora e supera l’avanguardia degli Anni Venti e Trenta, e dà un forte afflato politico e sociale alla scrittura vocale ed orchestrale del lavoro). Anche scenicamente i tre protagonisti (il tenore eroico Peter Svensson, il baritono Kay Stiefermann ed il soprano drammatico Nicole Beller Carbone sono tenuti a distanza dai personaggi minori, i cortigiani che servono loro da contrappunto drammatico oltre che musicale; i secondi si esprimono principalmente in recitativi mentre i personaggi principali scivolano dal declamato all’arioso a sensuali duetti pieni di melodia.
In breve, uno spettacolo affascinante che mi auguro altri teatri riprendano, nonostante Zemlinsky sia poco noto in Italia. Solo dal 1980, quando Der Zwerg (“Il Nano)” ed Eine florentinische Tragödie (‘Una Tragedia Fiorentina”) furono messe in scena dall’Opera di Amburgo, Zemlinsky è stato riconosciuto tra i maggiori autori del teatro musicale della prima metà del Novecento. I suoi drammi in musica sono brevi e molto intensi, in uno stile eclettico e hanno successo soprattutto tra i giovani. Per questo motivo negli ultimi trent’anni anni vengono rappresentati frequentemente non solo in Germania e in Austria ma anche in quell’America che all’esule aveva sbattuto la porta in faccia.
“Alexander Zemlinsky – scriveva Arnold Schönberg nel 1949 – è colui al quale sono debitore di quasi tutto quello che so di tecnica e di problemi del comporre. Ho sempre fermamente creduto che sia stato un grande compositore e ne sono convintissimo ancora oggi: forse il suo tempo verrà prima che ce lo aspettiamo”. Zemlinsky, suo cognato e maestro, era morto sette anni prima poverissimo a Larchmont, vicino a New York. D’altronde, anche un suo estimatore come Theodor W. Adorno, considerava “ineseguibili a causa del loro soggetto” i suoi lavori per la scena. E così, mentre i suoi allievi – oltre a Schönberg, Webern, Korngold – mietevano allori e la prima donna di cui si era innamorato, Alma, sposava Gustav Mahler, Zemlinsky faceva il professore di composizione e il direttore d’orchestra, spesso in teatri secondari.
Der Zwerg, si è visto a Roma e a Firenze, Eine florentinische Tragödie a Spoleto, alla Scala e a Roma.Eine florentinische Tragödie è un atto unico breve (50 minuti) che richiede non solo un grande organico, ma anche tre grandi voci e tratta con estrema crudeltà di adulterio, sesso, tradimento e omicidio in un quadro intriso di decadentismo. È su un testo di Oscar Wilde che lo stesso Puccini aveva pensato di mettere in musica, ma che in Italia venne trasformato in opera da tale Mario Mariotti (di cui poco si sa) ma che venne premiato in un concorso per giovani compositori e rappresentato nella stagione del Teatro dell’Opera del 1914. Di Der Zwerg significativa l’edizione presentata a Firenze nel 1998 dove un nano alto circa un metro e ottanta – il tenore americano, David Kuebler, specializzatosi nel difficile ruolo – solcava l’enorme il palcoscenico del Teatro Comunale di Firenze, manovrando per tutto lo spettacolo una marionetta.