“Just a perfect day, you made me forget myself. I thought I was someone else, someone good” (“Una giornata perfetta, mi hai fatto dimenticare di me stesso. Ho creduto di essere qualcun altro, qualcuno che è buono”). Chi non vorrebbe essere buono, almeno per un giorno? Forse nessuno in realtà, convinti che siamo già tutti buoni. Abbiamo ragione, sappiamo che fare, sappiamo come agire e distinguere il male dal bene. Almeno fino a quando la vita non chiede il conto e ci sbatte in faccia la realtà: che no, non è vero che siamo buoni, magari un po’, ma non lo siamo veramente.
Poi ci sono quelli che hanno rinunciato completamente a porsi la domanda. Ma poi: chi non vorrebbe passare una giornata perfetta, dove ogni cosa ha senso e ci dà quella pienezza che in tutti gli altri giorni non riusciamo mai a toccare con mano? In Perfect Day, uno dei brani più celebri della lunga carriera di Lou Reed, la domanda si pone perché Lou Reed sa bene di non essere buono.
Un tempo si diceva “peccatore”, ma oggi questa parola ha perso il vero significato di una condizione esistenziale che è comune all’uomo per la sua stessa natura fatta di fragilità estrema e incapacità a fare il bene. A meno di essere così presuntuosi da pretendere di esserne capaci.
Lou Reed sa una cosa o due a proposito di bene e male, quando scrive Perfect Day, inclusa nel suo secondo, straordinario e tutt’oggi bellissimo album “Transformer”, uscito nel 1972. Nonostante la giovane età ha scandagliato a fondo il buio dell’anima e del cuore dell’uomo. Ha visto e toccato il male. Lo ha fatto nei dischi incisi con i Vevet Underground dove ha cantato ogni abisso e ogni fragilità dell’uomo, dall’eroina alle perversioni sessuali. Lo farà ancora nello stesso “Transformer” dove canterà, nella sua passeggiata nel “lato selvaggio della vita”, Walk on the Wild Side, di anime perse tra i marciapiedi e i locali notturni che si travestono per nascondere la propria faccia, sfuggire a una realtà insopportabile.
Perfect Day, una ballata carica di tensione e di una dolcezza che appaiono a tratti insostenibili per quanto Lou Reed è capace di esprimerne il desiderio, è diventata nei decenni talmente popolare da essere usata anche per un famoso spot televisivo di beneficenza della tv inglese, dove una parata di star la interpretava alternandosi nelle strofe.
In quelle immagini, appariva davvero tutta la condizione universale, comune a tutti, di fragilità e di desiderio del bene. Solo le persone oneste con se stesse possono ammettere di non essere buone e chi vive nel lato selvaggio della vita, sulla corsia di sorpasso, è spesso più onesto di molti altri: Raccoglierai quello che hai seminato” dice Lou Reed al termine del brano.
È un giorno perfetto, pausa nel caos della vita che corre impazzita. C’è chi ha interpretato questa canzone come la storia di un eroinomane che è riuscito a farsi la dose quotidiana e finalmente è in pace. A trarre in inganno forse i verso “You just keep me hangin’ on” che appare anche nel gergo dei tossici: mi lasci “appeso”, cioè fino alla prossima dose sto in astinenza. Ma questo è invece un giorno perfetto perché speso nella semplicità di piccoli gesti: bere sangria al parco, dare da mangiare agli animali dello zoo, poi più tardi un film da vedere. E poi si va a casa.
La voce di Lou Reed, abituata a esprimere sensazioni ben più aspre e sofferenti, non è mai apparsa e mai lo sarà tanto dolce e invitante. Una giornata perfetta perché passata insieme a te. I problemi sono lasciati da parte, un weekend tutto per noi, è talmente divertente. È un giorno perfetto. Tu sei in grado di farmi dimenticare di me stesso tanto da farmi sentire un’altra persona: qualcuno che è buono.
Nella canzone, nel modo pieno di malinconia con cui Lou Reed la canta, c’è anche una struggente sensazione di incapacità a far sì che tutti i giorni siano perfetti allo stesso modo. L’impossibilità a fermare il tempo, il senso di una sconfitta, umanissima e per questo tollerabile nonostante tutto. “Che giornata perfetta: sono felice di averla passata con te”: è solo la presenza di un altro, nello sguardo di un altro che possiamo sentirci consapevoli di essere qualcuno di diverso. Di essere buoni, per un giorno solo, perché è lì che tendiamo, consapevoli o meno: a una bontà che non abbia più fine.