Sarà per snobismo, oppure per diffidenza verso i successi annunciati, in ogni caso quando un musicista è troppo lodato-osannato mi viene automatico prenderne le distanze. Ci provo ad essere più accogliente, ma non ci riesco: in fin dei conti, mi dico, c’è sempre tempo per ricredersi. In ambito strettamente rock la cosa mi è accaduta nell’ultimo decennio con John Mayer, poi con i Kings of Lion e con i Black Keys, tutta gente meritevole di attenzione, ma che in un modo o nell’altro il sovradosaggio dei complimenti mi ha spinto a non amare, non ascoltare e sostanzialmente a sopportare. Non che ai soggetti in questione la cosa debba preoccupare piu di tanto e anche io, in fin dei conti, credo siano meglio Auerbach e Carney di Mengoni o dei Kasabian, però non è lì che punta il mio (sicuramente) pessimo gusto.



Lo stesso ragionamento vale per i White Stripes. Mentre i due ragazzoni di Detroit, Jack e Megan White con soli sei dischi (di cui val la pena sentire il verace De Stijil e il celebre White Blood Cells, anche se è Elephant il loro cd più venduto) si sono conquistati le lodi più sperticate aggiudicandosi Grammy a raffica, chi osserva con disincanto le scalate si è chiesto: sarà vera gloria? C’è davvero qualità, personalità, innovazione o per lo meno buona scrittura?



Così all’uscita in questi giorni di “Blunderbuss”, disco solista di Jack White, che nel frattempo si è separato dalla moglie Meg, il mondo dei commentatori si è sperticato (Billboard: “il disco di uno che di rock se ne intende”) come accade preventivamente per quelli che “fanno tendenza”, distribuendo voti e tripudio su testate autorevoli come Rolling Stone, Mojo e Spin. Con orecchio dubbioso mi son messo all’ascolto e finalmente ho trovato… un disco che in effetti vale la pena ascoltare. Un disco di idee, di soluzioni originali, anche furbe, ma comunque interessanti, realizzato da un musicista che in sala di registrazione sa il fatto suo e che esprime (come in un certo modo aveva fatto Beck nei suoi primissimi album) il tentativo e l’urgenza di riassumere le lezioni imparate dagli ultimi decenni del rock.



Certo alla base della cultura sonora di White ci sono il blues e i Led Zeppelin, ma in questo album registrato a Nashville c’e un curioso frullato di ispirazioni che per fortuna si affranca dal già sentito dei White Stripes, in cui il pianoforte country di Brook Waggoner si mescola al rhytm’n’blues di I’m Shakin’ (cover di un brano di Little Willie John) mentre certe scappatelle Sixties e psichedelic-folk fanno sentire in lontananza le influenze di Jagger, Bolan e Winwood. Certo è bizzarro sentire da questa “nuova star” richiami palpabili alle southern ballad e ai Grateful Dead (Take me with you when you go), ma anche il soul di Trash Tongue Talker, trascinante e sporco, sorprende al punto giusto.

Blunderbuss è quindi un disco che merita di uscire promosso dal “dubbio pregiudiziale” di cui si diceva, ma che comunque non pare essere quel capolavoro che tendenzialmente le testate più in vista hanno già decretato: tante idee dal passato, qualche canzone, confezione pregevole, ma nessuna emozione allo stato brado. 

Chi lo osanna non se lo merita, con tutte le conseguenze del caso: il 36enne Jack, decisamente creativo e irrequieto (ha le mani almeno in tre band contemporaneamente, senza contare che ha già avuto tempo per sposarsi e divorziare una seconda volta, il coraggioso….) saprà resistere al fardello di “maximum rockstar” che gli hanno già depositato alla schiena?

Per inciso: Jack è l’ultimo di dieci figli di una coppia cattolicissima; da ragazzino faceva il chierichetto e aveva pensato di entrare in seminario, ma poi ha scoperto che chitarra elettrica e amplificatore sono piu divertenti di confessionale e acquasanta; Jack – rimasto comunque molto religioso – di cognome fa Gillis ed ha assunto il cognome della moglie, White. Lei faceva la cameriera ed ha imparato a suonare la batteria 10anni fa ed ora ha sposato il figlio di Patti Smith. Jack e Meg vengono da Detroit. Per quello che mi riguarda il simbolo musicale di quella città rimane il leggendario Bob Seger, inesauribile e romantico autore di Against the Wind e di Main Street. Ne ha da mangiare di “pagnotte” il buon Jack per arrivare ai suoi livelli di scrittura, anche se fa tendenza…