Mi AMi 2012 – Per l’ottavo anno l’Idroscalo di Milano ha ospitato il Mi Ami Festival, organizzato come al solito dalla rivista online Rockit. Il sito che tratta di musica italiana, fu creato 15 anni fa da un paio di studenti di ingegneria di Milano ed è un piccolo miracolo. Ha resistito allo scoppio della bolla Internet dei  primi anni 2000 e, rinnovandosi anche nelle idee (all’inizio trattava solo musica italiana in italiano) e nella forma ha acquisito una importanza centrale per chiunque voglia mettersi in gioco, nel gioco della musica s’intende. Musica indipendente e libera, non legata a nessun livello al mainstream ormai incartapecorito e involuto nei suoi million seller che non hanno più nulla da dire, se mai l’hanno avuto.



La tre giorni musicale del weekend  in realtà è stata preceduta dal  “Mi pensi il Lunedì”. Un torneo di parole: racconti, storie e improvvisazioni a ruota libera. Una piccola premiere che ha dato il via al vero e proprio festival. Come ogni anno tre i palchi: il “Sandro Pertini”, che poi è il principale su cui campeggia la foto del fu Presidente della Repubblica con il fumetto ‘Italiani , brava gente!’, il più piccolo “La Collinetta di Jack” sponsorizzato dalla Jack Daniels e fermata d’obbligo per l’assaggio dei cocktail a base del famoso whisky e il Torcida, destinato ai dj set.
Le circa sessanta band che si sono succedute sono riuscite a coprire uno spettro quasi a 360 gradi del panorama indie italiano. Ovviamente non tutto e tutti ma, al solito, i nomi più caldi’ o futuribili, c’erano tutti. Purtroppo la consolidata usanza di incrociare o sovrapporre  gli orari delle esibizioni è stata al limite del masochismo e ha costretto a fare delle scelte.



Il criterio principe è stato cercare di vedere artisti di cui conoscevo poco e cercare le sicurezze solo quando proprio non c’era altro da fare. Quindi i vari Calibro 35, Bugo, Persiana Jones, Offlaga Disco Pax e Brunori SAS si sono ridotti a una veloce occhiata o al salto totale del loro set. Tutte e tre le giornate per il sottoscritto sono iniziate intorno alle 19.30, perdendomi qualche chicca come la miglior band rock italiana, come me l’ha definita Jonathan Clancy degli A Classic Education, dei Man on Wire o i titolati Bad love experience. 

La prima giornata, sulla carta, è quella meno densa di set da non perdere, ci facciamo quindi guidare dalla curiosità. Partiamo subito con Thony, cantautrice siciliana dalla splendida voce che ricorda tanto Feist. Sarà la prossima protagonista del nuovo film di Paolo Virzì e ne comporrà la colonna sonora. Subito dopo c’è la concomitanza tra un altro siciliano, Nicolò Carnesi, ottimo e ironico cantautore e gli Amor Fou. Vado dai secondi non avendoli mai visti dal vivo.



Il loro nuovo lavoro (“Cento giorni da oggi”) prende le distanze dall’acclamato ma baustelliano disco precedente (“I moralisti”) il che ha spiazzato non poco. L’inserimento in modo molto più evidente di effetti e distorsioni ha fatto storcere il naso ai fan della prima ora. Subito a loro agio con delle divertenti maschere maya che durano qualche brano, il gruppo di Alessandro Raina spazza via ogni dubbio. Impossibile non cantare e ballare tutti i pezzi dal primo all’ultimo: esame ottimamente passato. Di corsa torniamo alla collinetta dove hanno appena iniziato i Saluti da Saturno. Gruppo dallo spirito cantautorale, non mi prendono molto, sono un mondo a parte, forse un po’ troppo complicato e li lascio a metà set per addentrarmi nella foltissima area stand.

Case discografiche, artisti visuali e di design, band ‘mute’ (suonano dando le cuffie al pubblico) e stand dei vari festival lombardi che nei prossimi due mesi riempiranno l’estate del Nord Italia si mischiano alle solite bancarelle di vestiti e braccialetti. E mentre spulcio tra i cd della Foolica e parlo con i ragazzi del banchetto dell’Albizzate Valley Festival (11ma edizione!), mi accorgo che è ora di avviarsi di nuovo alla collinetta per Umberto Palazzo. Senza l’apporto dei Santo Niente il cantautore, divenuto anche agitatore web (qualche mese fa fece una lunga lettera aperta alla SIAE che raggiunse anche i principali quotidiani nazionali), viene aiutato da Sandra Ippoliti che lo supporta nei toni più alti dei brani e dà una impronta minimal percussiva al set molto raccolto. I brani del cantautore di Vasto, ermetici e profondi, non sono molto immediati ma il pubblico ascolta ugualmente rispettoso. 

Come al solito (a suo dire) chiude con un paio di vecchi cavalli di battaglia dei Santo Niente. Archiviato anche questo set il pubblico, finora seduto e tranquillo inizia ad accalcare sotto le transenne. Incontro Antonio Gramentieri (Pan del Diavolo) preoccupato perché non trova più il resto della band a mezz’ora dall’inizio del concerto e Nicolò Carnesi che, stanco per il viaggio, non vede l’ora di andare in albergo ma è ugualmente curioso di vedere i suoi conterranei  Pan del Diavolo rifare i pezzi dell’ultimo “Piombo, Polvere e Carbone”. I due siciliani, inizialmente due chitarre quasi sempre acustiche sono ora accompagnati dal duo romagnolo chitarra/batteria Gramentieri/Sapignoli (entrambi dei Sacri Cuori, Dan Stuart e mille altri progetti) e sanno infuocare gli animi come pochi.

Loro concorrenti sul palco principale i Calibro 35, la mia scelta, avendo già visto diverse volte il gruppo di Enrico Gabrielli e Massimo Martellotta, cade sui palermitani. Accalcato in mezzo ad eccitatissimi fan i quattro sul palco non si risparmiano neanche un po’. Vanno sempre a velocità altissima e il pubblico risponde nei migliori dei modi. Nei brani più accesi c’e’ pure un tentativo di pogo quasi subito sedato, ma l’eccitazione è massima. Nota di merito ai due nuovi innesti del gruppo è l’aver  saputo portare la ricchezza che mancava al suono facendolo passare da una sfuriata di parole e suoni ad una forma più definita. E dopo questa iniezione di adrenalina è meglio tornare a casa, domani è un altro giorno…

La seconda giornata sulla carta dovrebbe essere più convulsa della prima. Le aspettative per alcuni set sono alte, ma anche la curiosità non è da meno. Appena arrivo corro a vedere i giovanissimi Foxhound, power-punk da Torino. Il gruppo l’avevo già apprezzato sul palco del “Mi Ami Ancora”, analoga manifestazione invernale, in un set breve ma intenso. Ora li rivedo e con piacere confermo le prime impressioni di suono solido e formato: possono solo crescere. Un’occhiata ai Fast animals & slow kids folli, fanfaroni e sguaiati: “Comprate i nostri cd! Vogliamo i vostri soldi! Del resto non me ne frega niente!!!” urla il cantante che sembra James Taylor da giovane con tanto di baffoni.

Corro alla collinetta per non perdermi il gruppo punk del momento: i Soviet soviet. Sono convincenti, ma visto il genere consunto non portano nulla di nuovo, non deludenti ma le aspettative erano altre. Incuriosito dalle tante recensioni positive mi fermo a vedere i Cosmetic. Di musica anni 90 ne hanno sentita tanta: Nirvana, Dinosaur Jr, Stone Temple Pilots e così via e sono tutti dentro i loro brani. Alla fine si cerca di riconoscere quello da cui hanno preso piuttosto che ricercare qualcosa di nuovo in quello che fanno. Prescindibili. Salto gli Hot Gossip, il cui ultimo album ho trovato sottotono e vado al palco Torcida per il set di Boxeur de coeur . Un set, one man band, che veniva descritto come tra “Arcade Fire e Animal Collective”. Sinceramente tra i loop e il martello dance non li ho proprio sentiti ma non è stato spiacevole. Il titolare del progetto, Paolo Iocca, ex Franklin Delano, coinvolge anche il pubblico e ci trucca con la vernice fosforescente colorata che mi segnerà fino al ritorno a casa lasciando perplesso il ragazzo dell’autogrill, che mentre mi serviva il caffè, mi guardava come se fossi un pazzo: sarà stato per le strisce gialle sulla mia faccia? 

Lascio questa esperienza artistica etereo-visiva martellante per andare a sentire un paio di brani dei redivivi Persiana Jones. Evidentemente il loro ska tira ancora, infatti sotto il palco principale ci sono tantissime persone, anche giovanissime, che probabilmente non hanno potuto ascoltare la band piemontese negli anni d’oro. Ma adesso mi aspetta il gruppo rivelazione del Mi Ami.

Sulla Collinetta hanno appena cominciato i Movie star junkies. Vengono da Torino e sono uno di quei gruppi che ti prendono, ti masticano e ti sputano fuori. La stessa sensazione che si prova quando si ascoltano le cose più estreme e violente di Nick Cave. Perfetti nel loro genere, totalmente a loro agio sul palco, fanno scorrere i brani di “Son of the dust” uno dietro l’altro assestando colpi su colpi  senza mai fermarsi. I Birthday party sono tornati! Il set è tanto devastante da far sembrare due “scacciacani” i Mojomatics, duo chitarra e batteria rock-blues, anche piacevoli, ma dopo l’uragano con le orecchie che fischiano e la testa stordita, non mi interessano più di tanto.

Mi sposto a vedere la fine del set di Bugo , sempre un capo-popolo e molto bravo a gestire le assurdità che dice e suona. E’ l’ultimo set della giornata e quello di domenica, il giorno qualitativamente più alto, mi aspetta tra neanche una quindicina di ore. Il primo concerto  che vedo è quello de Il Triangolo. La band è composta da tre giovanissimi ragazzi lunensi che riescono a catapultare negli anni 60 l’intera collinetta gremita inaspettitamente. Sono loro i primi a non crederci e si vede. Sguardi attoniti e un po’ di nervosismo per tre quarti dell’esibizione capibile, alla loro prima uscita seria sentirsi cantare le canzoni del loro primo album “Tutte le canzoni” a menadito lascerebbe stordito chiunque. Se aprissero i paventati concerti di Celentano a Verona non starebbero male.

Altro concerto carico di attese è sul palco Pertini, poco dopo,  de Lo Stato Sociale. Band ironica e sguaiata, attacca tutto e tutti: da chi si spaccia per indie, all’Erasmus a Marchionne. Populismo a piene mani per far divertire ed essere talmente assurdi da risultare poco credibili. Ovviamente tantissima gente assiste alla loro esibizione.  A metà set torno alla Collinetta per vedere i Grimoon. Un gruppo che mi è stato caldamente consigliato e capisco subito il perché. La cantante (scopro dopo quando vado a prendere il loro cd) è bretone e quindi la maggior parte delle canzoni sono in francese. Canzoni cupe e molto profonde, parlano di diserzione e di sconfitta, io e le 30 persone che stanno assistendo siamo attenti e non possiamo fare altro che arrenderci e seguire il flusso dei suoni e della splendida voce di Solenn Le Marchand accompagnata dalle animazioni che scorrono dietro le spalle. 

Con il pensiero dritto a quelli che si sono persi un simile gioiello per sentire dei buffoni dire stupidaggini torno al palco principale dove i Ronin, trio solo musica e niente parole, hanno già iniziato. Atmosfere vagamente messicane, ma per niente evocative, mischiate con una buona tecnica fanno di questo gruppo uno dei più sopravvalutati del parco indie. Avuta la conferma live mi sposto ancora sul colle per assistere ad un altro ottimo set: Fabrizio Cammarata & The second Grace. Il talentuoso siciliano mischia folk americano con il cantautorato con naturalezza, meriterebbe piu’ attenzione non fosse che canta in inglese e anche uscendo dal belpaese troverebbe sicuramente chi lo fa meglio la stesse cose ed è madrelingua.

Il penultimo set della giornata richiede una scelta: VadoinMessico o Offlaga disco pax? Avendo già visto la band di Reggio Emilia diverse volte rimango in Collina e mi guardo l’infuocato set dei primi. Band dal respiro(e mire) internazionali  sono composti da due ragazzi italiani residenti a Londra (Alessandro e Giorgio), Salvador (messicano), Stefan (austriaco) e il batterista inglese Joe sono stati accostati ai titolati Vampire Weekend e ai Local natives. Il live è molto potente e conferma la forza di questa band ad ampio respiro, il pubblico è folto ma mentre montano il palco per quello che sarà l’ultimo set, quello degli A Classic education , molti vanno a vedersi l’headliner della serata(o del festival): Brunori SAS. Io rimango fedele agli ACE, Brunori è simpatico ed ironico ma ho voglia di vedere come suonano i brani del bellissimo ‘Call it blazing’ in una situazione open air.

Jonathan e compagni tirano i volumi al massimo e fanno decollare i brani fino al cielo, scuotendo anche i più scettici. Alla fine con le orecchie fumanti, le gambe doloranti e la testa che gira sono passati tre giorni di “cultura contemporanea, intrattenimento e dancefloor”.  A corredo del festival musicale c’era anche il ‘Mi Fai’ dove giovani fumettisti disegnavano , improvvisando, sui brani che venivano suonati sul palco principale e dal ‘Mi mangi’ con piadine a km zero e ottima birra. L’anno prossimo sarà il numero nove, il “Festival della Musica Bella e dei Baci” riuscirà a tenersi ai livelli di eccellenza di quest’anno? 

(Raffaele Concollato)