«Se la musica classica non riuscirà ad aumentare il suo pubblico è destinata fatalmente all’estinzione. Impariamo da Giovanni Allevi: spregiudicatezza, massicce dosi di sentimento, gusto del gioco, forme brevi, minime complicazioni, gestualità esibita, luoghi concertistici insoliti; storie, immagini, esperienze di vita che spiegano i brani; code all’ingresso, spettatori di tutte le età». Ama analisi spietate e compromessi, Piero Rattalino, autore di una «Guida alla musica pianistica» di quasi settecento pagine, srotolate con singolare morbidezza e dolce flemma da maestro del tè, punteggiate da lampi, fermenti, furori, percorse da splendore linguistico, energia di stile, gioie e nevrosi.
Centonove compositori e relative opere pianistiche,quattro indici, sistematicità, chiarezza e piacevolezza, organizzati in forma di enciclopedia. «Quindici mesi di lavoro. Molte parti nuove, vecchi saggi, articoli fuori commercio, libretti di cd, e altro ancora», riassume. «Tranne Bach, Scarlatti e Haendel, non ho trattato clavicembalisti, né compositori viventi. L’esposizione segue i generi oppure la cronologia».
Pianista-musicologo con insopprimibile vocazione alla scrittura. Maestro del movimento: come un ciclista, costretto a camminare per non cadere. Raro caso di studioso che mescola l’indolente grazia di un ottantenne, gli ingorghi della maturità, l’ardore della giovinezza.
Il pianoforte è sua ombra e stemma. Vi è entrato con facilità, non ne è più uscito. «Il pianoforte moderno pare aver esaurito il suo ciclo di sviluppo», provoca. Una maniera elegante per celebrarne il funerale? «Se mancano innovazioni meccanico-costruttive diventa difficile dire qualcosa di nuovo. Si può piuttosto reinventare l’antico. Il ruolo della composizione pianistica attuale mi sembra il modernariato. Considero invece stimolanti i casi in cui lo strumento diventa famigliare (penso al nome di Carlos Guastavino). Alcuni artisti di oggi, senza alcuna preoccupazione di linguaggio, scrivono musiche che potrebbero risalire a più di cent’anni fa, che però colpiscono direttamente la sensibilità di un pubblico vastissimo».
Le pagine più insolite e avvincenti sono quelle riservate all’analisi dei brani e alla loro struttura drammaturgica. «Corro consapevolmente il rischio di scivolare nel fantasioso. Per trentacinque anni sono stato Direttore artistico teatrale e mi sono fatto una cultura operistica solida e vasta. Ho capito che determinati “tòpoi” teatrali agiscono anche nella musica strumentale. Ho riferito le mie impressioni di ascoltatore. Una modulazione, un ritmo, un richiamo a un timbro orchestrale, possiedono sempre un valore simbolico.
L’ascoltatore deve lasciarsi andare. L’inizio della “Pastorale” di Beethoven presenta la stessa scansione ritmica della “Quinta”, ma con ben altra valenza; e il Fa maggiore è un mondo diverso rispetto al Do minore. Nello scrivere un brano non si possono ignorare questi dati». Lei parla di una sua «secolare esperienza della materia»: chi sta sbagliando i conti sulla sua età? «Alcuni amano ringiovanire, altri desiderano apparire più saggi. Io appartengo a questa seconda categoria. D’altra parte il maestro Vincenzo Vitale mi diceva spesso:”Rattalino, Lei parla come un vecchio di cent’anni”. Da giovane adoravo leggere riviste del periodo fine Ottocento – primo Novecento, e quel clima culturale è entrato a far parte della mia natura».
(Enrico Raggi)