Li aveva pre-sentiti questi cicli di “morte e resurrezione”, come ebbe a nominarli la più grande pianista russa del Novecento, Marija Judina. Sono cicli romantici e tardo-romantici, non tecnico-barocchi (e in fondo stupendamente didattici) come i 48 preludi e fughe del Clavicembalo ben temperato di J.S. Bach). Ricordiamo ancora i Quadri per un’esposizione di Musorgskij, le Variazioni sul corale Sant’Antonio di Brahms, i Venti sguardi su Gesù Bambino di Messiaen. I 24 Preludi di Chopin, infatti, sgorgano dalla sua anima come l’ essenza, il succo di tutta la sua produzione.



Dopo aver ascoltato qualche Valzer, qualche Mazurka (Oh i Laghi Masuri e quel sapore di acqua, di feste campagnole, di cacce, di boschi e di nevi, di frenetiche danze per una sposa!…). Dopo aver ascoltato qualche Polacca, qualche Scherzo, se ti apri alla Barcarolle op. 60 alla Polonaise fantasia n. 61, senti che gli orizzonti si aprono all’infinito; che tutto il respiro del Gran Pan (il Grande Tutto, per dirla con Proclo) scuote la tua anima, la quale si smarrisce quasi del tutto della musica-che-anima il mondo e che l’io riesce in particolari momenti a ospitare tutto. 



In chiave cristiana potremmo dire che  l’anima è “capax Dei”, là dove Dio è canto prima del tempo e nel tempo. Il modello remoto era il Clavicembalo ben temperato, ma qui le composizioni sono brevissimi versi ora tristi, ora infiammati, poi brillanti, sognanti vaganti funerei luminosi. È un variare continuo e improvviso, una corsa che non ti dà requie, quasi un correre di adolescente sicuro della vita che intende divorare. A volte senti la tempesta, la guerra, lo schianto dell’abbandono dell’amante o la caduta della tua amatissima Varsavia. E poi senti la campagna rorida di pioggia che si riapre al sole, vedi i laghi Masuri, le cavalcate nei campi di grano maturo, le grandi ville signorili della Polonia schiantata dalla spartizione della Patria con le folle di emigranti.



Utile sarebbe comparare qui la poesia di C.K. Norwid, sradicato perenne e in continua fuga, che sentì e conobbe il grande compositore, ritrovandosi nello stesso soffrire e amare la Patria.
Tutto il mondo interiore, tutto l’immaginario di Chopin, passano in queste brevissime composizioni  (L’esecuzione dei 24 preludi dura meno di un’ora: alcuni di questi durano 37-40 secondi…). Qui il Grande Frederik racconta di sé sussurrando nel vento dei canneti  della Vistola l’amore per le sue donne, i mari caldi, la desolazione di Varsavia.

È come il sussurrare di un adolescente in quei particolari momenti, che tutti ricordiamo, quando a dodici anni basta un ni-ente, un nonnulla di Bello ad aprire ferite dolcissime e inguaribili nella tua anima: sono finestre sul cielo. I tuoi occhi si fanno celeste-cielo e l’anima comincia a pulsare e a dilatarsi.

Quand’ero adolescente, mio padre tutte le mattine faceva risonare nella saletta della casa gli Studi di Chopin eseguiti dal grande Maurizio Pollini. Io preferivo lasciarmi cullare dalla Berceuse (anche questa piaceva moltissimo a papà) o infiammare dallo Scherzo in sib min. Ma ciò che mi prendeva l’anima fino a portarmela al settimo cielo erano la Barcarole op. 60 e la Polonaise fantasia op. 61.

Oggi ho scoperto che, se vuoi sentire tutto Chopin (in questo tempo, ahimè, di multi- tasking) ti bastano 50 minuti: passi in rassegna tutti i Preludi op. 28 e vi puoi sentir vibrare tutte le corde dell’arpa che fu la grande anima di Chopin.

E qui un’osservazione. Non a caso, penso, il preludio più lungo (5  minuti) si trova al centro del giro delle quinte, all’apice del cerchi che ci ricondurrà all’esaurimento della tavola pitagorica, o meglio della tavolozza, di Chopin: Il preludio è infatti in reb ed è stato nominato “la goccia”, una gemma dove il battito continuo e sommesso di una sola nota ride e canta come una goccia d’acqua che umile feconda l’umile terra o scava la pietra. Si insinua dolcemente nel tuo orecchio e ti ricorda la ninna nanna che tua madre ti cantava dicendo che la vita è questo continuo impulso creatore che ti genera e ti rigenera. 

Sopra questo ribatter morbido, che opera la mano sinistra, si eleva un canto bellissimo, che pure è frammentario: da quei frammenti tu ritorni alla goccia: al perpetuo amore che ti ricorda la continuità della vita che è sempre racchiusa nel tuo bambino, cioè nel tuo cuore semplice. Su questo preludio esiste una bellissima meditazione di Mons. Luigi Giussani (Spirto Gentil, BUR Saggi, 2011).

Vuoi dunque sentire tutto Chopin? Ascolta in grande silenzio, chiudendo ogni tanto gli occhi e aprendo le finestre del tuo cuore, tutti i Preludi del Grande Frederik.