Giunto alla ventitreesima edizione, il Ravenna Festival è una delle manifestazioni più importanti dell’estate e si sta imponendo anche al pubblico internazionale. E’ un festival multidisciplinare a tema che quest’anno ha avuto un prologo a fine aprile (un concerto della Chicago Symphony Orchestra diretto da Riccardo Muti) e avrà un epilogo in novembre quando verranno presentate tre serie della ‘trilogie popolare verdiana in allestimento di giovani per giovani. Il tema del festival è spirituale: la “mirabilisssima visione” che colpì Paul Hindemith quando visitò la Cappella Bardi in Santa Croce a Firenze e vide gli affreschi di Giotto sulla vita di San Francesco.



E’ sul dittico di Hindemith – il balletto “Nobilissima Visione” e l’atto unico “Sancta Susanna” – che voglio porre l’accento per due ragioni: a) rappresenta la realizzazione di un vecchio sogno di Muti (era in programma alla Scala nel 2004-2005, ma venne presentato l’anno dopo a ragione del “divorzio” tra il maestro concertatore e la fondazione lirica milanese) e b) lo spettacolo è coprodotto con il Teatro dell’Opera di Roma dove si vedrà la prossima stagione e ha un allestimento facilmente “trasportabile” (ciò induce a sperare che altri teatri lo riprenderanno).



Il  dittico si apre con la nuova creazione di Micha van Hoecke sulle musiche composte tra il 1937 e il 1938 dal compositore tedesco, la suite per orchestra dal balletto ‘Nobilissima visione’, e ispirate dalle Storie di San Francesco affrescate da Giotto nella Cappella Bardi della Basilica di Santa Croce a Firenze. ‘Nobilissima visione’ è una tappa di un cammino artistico e spirituale orientato verso uno stile squisitamente neobarocco (il ‘neoclassicismo’ imperversava in Europa in quegli anni), votato a un progressivo ascetismo sonoro percorso da intenzioni social pedagogiche.



Un respiro intellettuale che Paul Hindemith aveva maturato sin dal ‘Marienleben’, il ciclo vocale su liriche di Rilke dedicato alla vita della Madonna composto nel 1922,. L’interpretazione coreografica dei cinque quadri che partono dalla meditazione di San Francesco e dal suo matrimonio spirituale con la Povertà, per arrivare al Cantico delle Creature, è affidata a Micha van Hoecke, che si è avvalso del Corpo di ballo del Teatro dell’Opera di Roma. Protagonisti Alessandro Rezza (San Francesco) e Gaia Straccamore (Santa Chiara).

Muti mette in risalto come il neobarocco del 1938 è parte di un percorso verso l’oggettivismo astratto e trasparente dell’ultima fase del compositore tedesco (ad esempio, l’opera “L’armonia del mondo”). Di buon livello solisti e compagnia di ballo.
Di un espressionismo esplosivo  “Sancta Susanna” è del 1921. Hindemith non aveva che 25 anni quando ne concepì l’idea e la compose. Il testo, un atto unico di August Stramm tratto da un racconto del medesimo autore basato su una leggenda dei tempi del confronto tra Riforma e Controriforma; richiede un vasto organico, ma solo tre voci in scena (un soprano drammatico e due mezzo), nonché la brevissima partecipazione di due recitanti e un coro femminile nel finale.

Una giovane suora, in odore di santità per la sua dedicazione incessante alla preghiera che le fa dimenticare anche di nutrirsi, ascolta, per caso, i gemiti di due giovani nel giardino vicino alla cappella del convento. Ciò innesca un crescente turbamento: dal dubbio che “la gioia” può essere non nella preghiera, ma nell’atto sessuale che la porterà sino al denudarsi sull’altare. Ciò sconvolge le consorelle, entrate nella cappella per i Vespri, che reagiscono gridando “Satana!”.

L’opera creò scalpore: nel 1922, data della sua creazione, Fritz Busch si rifiutò di concertarla considerandola oscena e blasfema; nel 1977, la “prima” italiana all’Opera di Roma fu segnata da tumulti in sala, e da una denuncia nei confronti del Sindaco e del Sovrintendente; lo stesso Hindemith in vita la ritirò dalle scene. In effetti, Hindemith era un credente (come appare chiaramente in “Mathis der Maler” in cui la Fede e l’Arte pongono il protagonista al riparo dalle guerre e degli odii).

L’opera nasce, al pari di “Salomé” e “Elektra” di Richard Strauss, in un ambiente e in clima in cui i giovani intellettuali erano fortemente influenzati da Sigmud Freud. A differenza dei lavori straussiani (che si pongono come post-wagneriani), però, il lavoro ha origine anche in un contesto di ribellione anti-romantica e anti-wagneriana da parte della “giovane scuola” tedesca . Quindi, non solo la concisione, ma il virtuosismo di basare la scrittura, e orchestrale e vocale, sulle variazioni di un unico tema musicale. L’opera è stata anche pensata per un allestimento leggero in un teatro non grande – quale la Alte Oper di Francoforte.

Nel 2006 La Scala ne ha prodotto un’edizione grandiosa in cui si metteva l’accento sui dettagli più scabrosi – Chiara Muti pone l’accento sulle difficoltà psicologiche della clausura e sulla ricerca del perdono (e della punizione) dopo il peccato. Mostra, quindi,il nesso con ‘Marienleben’. Di livello le due protagoniste (Csilla Boross e Brigitta Pinter) alle prese con scritture vocali impervie. Muti valorizza il mi bemolle minore (tonalità marcatamente spirituale) con cui, dopo tante dissonanze, si chiude l’opera.

Un allestimento, quindi, che merita di essere visto non solo a Roma anche per meglio comprendere uno dei protagonisti del “Novecento storico” musicale.