Il desiderio di una persona, scrittore/cantante/musicista, per “qualcosa al di là” può essere trasmesso al cuore di un’altra persona, l’ascoltatore, attraverso una canzone sentita alla radio, superando il tempo e lo spazio? Come avviene e quanto è comune? È qualcosa di eccezionale o accade ogni giorno? E come può essere conservato e comunicato il desiderio dell’artista per qualcosa che è quasi sempre inespresso, attraverso l’armamentario del business più alla moda del mondo? Sono queste le domande al centro della mostra “Tre accordi e il desiderio di Verità: Rock ‘n’ roll come ricerca dell’infinito” al Meeting di Rimini che si aprirà il prossimo 19 agosto.
Nonostante le sue radici siano nella sofferenza, nella pena, nella fatica, nelle sconfitte della umana avventura, la recente cultura del pop è riuscita a “dimenticare” i suoi inizi, creando una bolla commerciale e di superficialità per nascondere le sue verità di fondo. Le radici di gran parte delle forme di musica contemporanea provengono da blues e gospel, forme in cui la nota viene dilatata tra la fangosità della terra abitata dall’uomo e lo scintillio del firmamento al di sopra di essa. Ridotto ora, almeno in apparenza, a “showbusiness” e “intrattenimento”, la spiritualità viene forzata dentro un circuito chiuso, un comunicare e ricevere che può essere equivocato con qualcosa d’altro – diversivo, evasione, divertimento – venendo così negata la sua vera natura.
La mostra cerca di far vedere come questo tentativo di riduzione in molti casi sia vano, come la comunicazione, “da cuore a cuore” tra artista e ascoltatore, continui ad accadere e rappresenti il vero cuore dell’esperienza che ci attrae verso questa musica. L’obiettivo di “Tre accordi e il desiderio di Verità” è mostrare e mettere in rilievo la presenza del desiderio umano come forza trainante di questa musica che continua a catturare i giovani, attraverso esempi di canzoni e artisti che coprono l’intera sua storia, gli artisti che sono ancora tra i più grandi esecutori moderni e i loro eredi, quelli che rappresentano una promessa per portare avanti il compito.
La mostra cerca di illustrare il tacito tragitto che spiega realmente la forza e la popolarità di questa musica, dalle sue origini blues e gospel fino agli esecutori dei nostri giorni, come Coldplay, U2 e Mumford & Sons, che rimangono fedeli all’impulso originale senza cercare di attrarre l’attenzione su ciò che stanno facendo. La domanda centrale che viene posta è: se è vero, come Don Giussani ci ha detto, che il desiderio è sempre buono, cosa significa questo per noi quando prendiamo in esame l’influenza del rock ‘n’ roll sulla cultura moderna?
Perché, se quanto detto da Don Giussani è realmente vero, diventa chiaro che ciò che attira i giovani a questa musica deve avere almeno qualche connessione con la vera sorgente del desiderio umano e con la natura del destino dell’uomo. Il fuoco sarà sugli artisti, ma ancor più sulle canzoni. Una grande canzone contiene sempre un’interpretazione che penetra più profondamente dei tentativi di veicolare la stessa idea o intuizione in semplici parole. Nel suo intreccio di parole e musica, ritmo e personalità, la canzone arriva in un luogo non accessibile con altri mezzi. Una canzone è in grado di essere al contempo sia un grido di impotenza, sia l’espressione di qualcosa che si è compreso a fondo, forse già profondamente condiviso, ma forse non esprimibile in altro modo.
È questa la grande dimensione “democratica” della musica pop: aver posto una simile opportunità alla portata di tutti. Il grande scrittore inglese di rock, Paul Morley, nel suo libro “Parole e Musica: Storia del Pop nella Forma di una Città” (Bloomsbury), scrive che le parole di una canzone pop spariscono in se stesse “come se fossero prosciugate, come se passassero da solido a liquido, dando luogo a una forma di musica sensuale e avvincente che sottintende come tutta la musica inizi con la voce umana. Il suono della voce umana imita i suoni attorno a noi, i suoni della natura, degli animali, perfino il suono del silenzio. il suono della voce umana copia la voce di Dio.
«L’aspirazione della nostra mostra è dare uno sguardo su tutto questo, far vedere che, contrariamente all’impressione data dalla sua immagine stereotipata di “musica del diavolo”, il rock ‘n’ roll cerca di trasmettere tra artista e ascoltatore, spesso riuscendosi, il fondamentale senso dell’umano desiderio, da cuore a cuore, anche se ciò avviene di frequente con l’aiuto di una cultura e di un’industria che, almeno in apparenza, sembra inospitale sotto questo aspetto.
In senso più generale, la mostra cerca di esplorare l’idea chiaramente non plausibile che l’ibrido che è il moderno rock possa offrire una metafora più appropriata dell’interazione del secolare e del sacro nelle società moderne. E cerca di mostrare come, malgrado l’ostilità culturale, il rock ‘n’ roll in alcuni suoi esempi sia diventato nella cultura moderna uno dei più impensati veicoli della dimensione religiosa dell’uomo. Nella parte migliore di questa musica vi è qualcosa che va oltre il contenuto visibile, qualcosa di sproporzionato che si potrebbe definire conforme alla definizione che dell’umana tristezza dà San Tommaso: il “desiderio di un bene assente».