Bene, ci aspetta un nuovo 11 settembre. No, non un altro attacco terroristico grazie a Dio. Solo un nuovo disco di Bob Dylan, già il terzo (dopo “Under the Red Sky” nel 1990 e “Love and Theft” nel 2001, sì uscito “quell’11 settembre 2001). A Dylan o alla sua casa discografica deve sembrare una buona data per pubblicare dischi. Facciamo allora il punto su cosa ci aspetta, vista la gran mole di news che sono circolate in rete e non avendolo ancora potuto ascoltare. Come sempre con Dylan, si scatenano le più incredibili ridde di ipotesi e anticipazioni, spesos fasulle. L’unico che pare lo abbia potuto ascoltare è il direttore della rivista Uncut, Allan Jones (ma… come… gli inglesi possono ascoltare un disco due mesi prima degli italiani? Ovvio, stupido: noi siamo appunto italiani).



Allan Jones è una leggenda del giornalismo musicale e sebbene tenda a cadere un po’ nel fanatismo soprattutto proprio con Dylan, è uno che ad esempio negli anni 70 si beccò un piatto in testa da Patti Smith durante una conferenza stampa. Il suo humour tipicamente inglese e la possibilità di fregarsene di tutto e di tutti sono straordinari. Nell’articolo in cui fa alcune anticipazioni sul disco di Dylan, ad esempio dice: “Non bisogna mai scrivere di un disco dopo un solo unico ascolto. Ad esempio una volta feci un errore clamoroso scrivendo che The Soul Cages di Sting era un brutto disco dopo averlo ascoltato una volta sola. Dopo diversi ascolti infatti mi resi conto che era peggio che brutto, una autentica schifezza”. Mito: vi immaginate un giornalista italiano dire qualcosa del genere di un chessò Ligabue o Vasco Rossi? No, non ce lo possiamo immaginare, infatti non è mai accaduto o accadrà.



Dunque. Secondo Allan Jones “Tempest”, pur rimanendo dal punto di vista musicale simile agli ultimi dischi di Dylan (d’altro canto come gli ultimi tre anche questo è prodotto da Dylan/Jack Frost) presenta una dose minore di quel blues un po’ statico che era presente in grande spolvero in lavori come “Modern Times”, e meno anche di quel “jazzy riverboat shuffles” presente su “Love and Theft”. Ci sarebbe un ritorno alla melodia dylaniana: attenzione che quando fa paragoni con Desolation Row, Jones lo intende dal punto  di vista della struttura, non certo della melodia. Lo stesso Dylan comunque in una intervista rilasciata a Rolling Stone e che uscirà il 15 agosto, dice di aver preso, anzi copiato, la melodia del brano intitolato Titanic da The Great Titanic, della Carter Family, purissimo folk d’autore di un’epoca antica. Sappiamo poi della presenza massiccia di David Hidalgo dei Los Lobos che però nell’intervista Dylan dice non abbia suonato, come Hidalgo invece aveva detto in precedenza, la classica chitarra messicana smentendo dunque sonorità tex-mex.



Jones dice che ci sono brani che ricordano – BAM! – pezzi come Red River Shore (il sottoscritto la considera una dei cinque capolavori assoluti del cantautore americano). Personalmente con queste indicazioni uno come me potrebbe anche morire dalla felicità. Per Allan Jones le premesse del nuovo disco di Dylan “sono incredibilmente buone”. Tutto alla grande dunque? Non esattamente, visto che il primo singolo del disco, Early Roman Kings, che sarà disponibile per il download il 7 agosto e che è già in giro parzialmente su Internet come brano di una serie tv americana è una solenne delusione. E’ un plagio di un plagio. E’ un plagio di Mannish Boy di Muddy Waters che Dylan aveva già plagiato nell’ultimo disco con My Wife’s Hometown. Orrore e noia, siamo al solito blues di maniera e prevedibile? Si spera sia l’unico caso de genere presente nel cd. 

Dylan, sempre nell’intervista per Rolling Stone, dice che relativamente ai testi delle canzoni aveva intenzione di scrivere versi specificatamente religiosi. Ma è stato troppo difficile, dice, per cui ha optato per qualcosa d’altro. Per uno che quando incise tre dischi di carattere religioso in seguito alla sua conversione al cristianesimo a fine anni 70, devono bruciare ancora le critiche violente che subì in quella occasione. Pazienza, credo comunque di essere l’unico fan di Dylan ad aver avuto interesse per testi “specificatamente religiosi” e comunque l’aspetto religioso nelle canzoni di Dylan è sempre evidente. Conferma invece Dylan che il brano conclusivo Roll On John, nonostante il titolo prenda spunto da un vecchio traditional, è invece un tributo allo scomparso John Lennon. Uno si chiede: come mai 32 anni dopo la sua morte Dylan ha sentito il bisogno di dedicargli una canzone? E chi lo sa. Dei due restano però indimenticabili le immagini a bordo di un taxi londinesi, durante il tour del 1966, quando un Lennon in cerca di rivelazioni mistico-sociali da Dylan, si trovò seduto a fianco un Dylan ubriaco perso che minacciava di vomitargli addosso ogni secondo.

Infine il titolo: Dylan escluda ci sia alcun riferimento all’ultima opera scritta da Shakespeare: “Quella si chiamava The Tempest, il disco si intitola Tempest” dice. “C’è differenza”. E’ vero: c’è un “the” di differenza. In ogni caso la domanda era tenndenziosa, in quanto “The Tempest” fu l’ultima opera conosciuta del grande bardo inglese: un po’ come a dire, sarà questo il tuo ultimo disco, il canto del cigno? Giammai. Per alcuni, il riferimento potrebbe invece essere a Il corvo di Edgar A. Poe, da sempre amatissimo da Dylan, nei cui versi appare la parola “tempest”, ma d’altro canto chissà quanti altri poemi usano questa parola. E’ anche vero che qualche genietto ha scoperto che le password usate dal sito ufficiale di Dylan per comprare i biglietti della prossima tournée americana con Mark Knopfler sono tutte parole che compaiono nel Corvo di Poe. L’ultimo bootleg series, “Tell Tale Signs” si intitolava anch’esso prendendo ispirazione dal poema di Poe Tell Tale Heart, mentre “Time out of Mind”, il disco del 1997, citava un verso della poesia di Poe The Devil in the Belfry. La grafica usata per scrivere Tempest in copertina, invece, è la stessa che usava il logo di una vecchio modello della Pontiac, la Tempest appunto. Insomma: tra Poe, Shakespeare e una macchina americana degli anni 60. Tipicamente dylaniano.

 

La copertina sembra piacere a pochi, a chi scrive piace molto. Piace quel volto scolpito che ricorda un Michelangelo, piace l’effetto rosso sangue scarlatto, piace insomma. Qualcuno ha detto che è la più brutta copertina di Dylan, ma forse non ha mai visto quella di “Saved”. A proposito del personaggio raffigurato in copertina, si era detto fosse la dea greca Pallas: in realtà fa parte del complesso scultoreo dedicato a Pallas che si trova a Vienna, ma quella scelta per la foto del disco è una delle dee che appaiono nel complesso la dea del fiume Vltava/Moldau. Si tratta ovviamente della Moldava il più lungo fiume della repubblica Ceca a cui è stata dedicata la famosissima composizione di musica classica. Perché mai è stata scelta? E chi lo sa. 

In conclusione, meritano citazione alcune parole che Dylan ha rilasciato nell’intervista di Rolling Stone, apparentemente bizarre ma rivelatrici come sempre soon le parole di quest’uomo. Le ha dette a proposition di Titanic, il brano della durata di 14 minuti che rischia di essere un nuovo classico di Dylan dove oltre alla storia del transatlantico affondato esattamente cento anni fa sembra ci sia dentro di tutto, pure Leonardo Di Caprio: “La gente dirà: “Be’, non è che questa sia proprio la verità”. Ma un autore di canzoni non si preoccupa della verità, si preoccupa di quel che poteva, o doveva, accadere. È un tipo particolare di verità. Come quelli che leggono le tragedie di Shakespeare, ma non vedono mai una tragedia di Shakespeare. Penso che usino il nome di Shakespeare e basta”. 

Parole che fanno subito venire in mente per qualche ragione queste altre sempredi Dylan: “Il mistero è antico. E’ l’essenza di tutto. Esso viola tutte le convenzioni di bellezza e di comprensione. Era lì prima dell’inizio, e ci sarà oltre la fine. Siamo stati creati in esso. I Mississippi Sheiks hanno registrato una canzone intitolata “Stop and Listen”. Per la maggior parte degli appassionati di musica, non è altro cheun blues ragtime. Ma per me, soon parole di saggezza. San Paolo diceva che vediamo attraverso il vetro scuro. C’è un sacco di mistero nella natura e nella ita contemporanea. Per alcune persone, è troppo duro da affrontare. Ma io non la vedo in questo modo”.

Diciamoci la verità: l’ultimo grande disco di Dylan può essere che sia stato “Time out of Mind” del 1997; gli anni 60 e anche i 70 sono finiti da un pezzo; ma non esiste nessun altro artista rock ancora oggi che all’annuncio dell’uscita di un suo nuovo disco susciti tanta aspettativa. In fondo è come ancora ai tempi dei Beatles, quando i Fab Four dicevano: Dylan ci mostra la via. Magari non è più così, ma noi desideriamo ardentemente che sia così, perché nessun altro ci ha fatto intravedere grazie a delle canzoni cosa c’è dietro al mistero della vita come ha fatto lui.