Lo scorso anno, durante Umbria Jazz, per la prima volta, in una frequentazione che dura da una vita, lasciammo il concerto sconfortati dalla pochezza dello stesso. Feste di compleanno sul palco, effusioni con la nuova moglie, forma chitarristica abbastanza scadente (vuoi l’età, sessantacinque anni, vuoi la mancanza di studio, vuoi gli oltre cento milioni di dischi venduti). Per chi lo amato da una vita e lo ha considerato un riferimento, una guida spirituale e lo ha seguito sin dagli inizi assistendo agli straordinari tour dai tempi di Lotus (Michael Shrieve alla batteria, Armando Peraza, Richard Kermode, Tom Coster, ecc. ecc.), sembrava arrivato il tramonto, un brutto tramonto.
Ci eravamo quasi dimenticati di lui, fino alla scoperta dell’uscita di un nuovo cd “Shape Shifter”, pubblicato per la sua etichetta personale, la Starfaith Records. Santana al momento non è infatti legato a nessuna casa discografica, probabilmente è in un momento di pausa e di cambiamenti e ha inoltre interrotto i suoi interminabili tour, firmando un contratto per circa due anni con alcuni casinò di Las Vegas.
Il nuovo cd comprende tracce e composizioni nate in studio nel periodo temporale compreso fra il cd “Supernatural” e “Shaman” e riprese di recente per la pubblicazione. Nelle note di copertina vengono accuratamente omessi studi di incisione, date di registrazione, durata dei brani, formazioni.
A parte questo, “Shape Shifter” si pone sulla scia di suoi grandi lavori del passato come “Swing of Delight” (1980) e “Caravanserai” (1972).
Sembra ritornare il Santana dei bei tempi, gran chitarrista, spesso sottovalutato, anche tecnicamente, capace di battagliare con il grande John McLaughlin nel disco “Love, Devotion and Surrender” e in Flame Sky, incredibile brano inserito in “Welcome”.
Era parecchio tempo che la gente mi diceva di lasciar perdere i cantanti “vogliamo sentir suonare la chitarra al messicano!” (Carlos Santana).
Santana serra le fila, lascia da parte alcuni dei comprimari che lo hanno accompagnato di recente, e registra con una formazione compatta e agguerrita capace di mostrare i muscoli e regalare emozioni (tante). Al suo fianco l’organista Chester Thompson, coautore di tanti successi on the road con Santana dal 1983 al 2009, Benny Rietveld al basso, Dennis Chambers (batteria), Raul Rekow (congas), Karl Perazzo (timbales percussioni) oltre al figlio Salvador Santana impegnato al piano in due brani. Presenti i cantanti Tony Lindsay e Andy Vargas nell’unico pezzo vocale del cd.
Personalmente, voglio incoraggiare tutti i Paesi che ancora non l’abbiano fatto, a fare uno sforzo collettivo e riconoscere coloro che per primi hanno abitato le loro terre (Carlos Santana).
L’album, un tributo agli Indiani nativi d’America, vede il ritorno di un Santana vecchia maniera che sembra quasi dissotterrare l’ascia e riprende a galoppare sicuro sulla sua tastiera (chitarre Paul Reed Smith, Stratocaster e acustica a corde di nylon). Ben undici dei tredici brani portano la sua firma, segno evidente di una rinascita, anche compositiva, probabilmente sopita e messa da parte per lasciar posto agli hit dei precedenti cd.
“Shape Shifter” è dedicato alla memoria di John David Crockett morto lo scorso novembre, suo fedele tecnico delle chitarre… Niente quindi a che vedere con le sciocchezze scritte da diversi giornali… (non si tratta del Crockett morto nella battaglia di Alamo!).
È un album che segna una sorta di pacificazione, dopo un travagliato periodo, sfociato nel divorzio con Deborah King Santana.
Nei ringraziamenti Carlos Santana oltre a Clive Davis, il discografico al quale deve le sue fortune (unitamente a Bill Graham), ricorda la madre Josefina, il padre Josè (gran violinista mariachi) e appunto il chitarrista Saunders King (padre di Deborah) “who have walked into the light”.
L’eroe di Woodstock apre il nuovo cd con Shape Shifter. Santana imita il canto propiziatorio degli Indiani d’America, l’urlo del coyote. Il sound è quello dei tempi d’oro di album come “Oneness”: Silver Dreams, Golden Reality, il riff della chitarra e il groove ricordano il live con Buddy Miles (Carlos Santana & Buddy Miles! Live!). La sanguigna batteria di Dennis Chambers innerva il suono con il suo incedere. Gran bel solo di Thompson all’Hammond B3.
È un modo di suonare degli anni Sessanta con il quale siamo cresciuti i Procol Harum e Robin Trower, Jimmy Smith e Kenny Burrell… Jack McDuff e George Benson. Per me, è qualcosa di molto naturale – dichiara Santana in una recente intervista -. Tutti loro si completano molto bene così come io e Chester . In futuro, non vedo l’ora di fare qualcosa con Gregg Rolie (il primo organista dei Santana ndr).
Il secondo brano Dom è una cover di un brano di Toure Kunda. Santana ne ha fatto un brano strumentale che “suona come Bob Marley, Yo-Yo Ma e Santana”.
Nomad è il brano più rock del cd nel quale si mette ancora in evidenza Thompson alle tastiere che tiene testa allo scatenato leader. Segue il brano Metatron (che altri non è che l’angelo custode di Santana, Metatron appunto) appena 2’38 che portano in cielo, stupendo solo, la chitarra traccia la melodia e canta come nei suoi anni d’oro. Grandi emozioni.
Angelica Faith (Santana, Thompson) composizione dedicata alla più giovane delle sue figlie è uno dei titoli più d’atmosfera del cd. È il Santana delle ballad, della tecnica per ottave, con le frasi doppiate dalle tastiere, grandi atmosfere, echi lontani (ma non troppo) di grande musica, sul tappeto dei colori delle percussioni di Karl Perazzo e Raul Rekow (allievo del leggendario Armando Peraza).
Never The Same Again (scritta con Eric Bazilian) apre con l’introduzione di Carlos alla acustica a corde di nylon (suonanata con plettro). Melodia accattivante, Santana riprende alcune frasi tratte daWhat’s Goin’ On, di Marvin Gaye oltre ad alcuni stralci dalla sua Song of the Wind. (Caravanserai).
È la volta di In The Light of a New Day, altra toccante ballad composta insieme al batterista e produttore Narada Michael Walden (già nella Mahavishnu Orchestra), molto bella la linea melodica.
Fin da quando ero bambino sono sempre stato molto attratto da melodie, se sento Jeff Beck, un coro, un oceano o il vento, c’è sempre una melodia… C’è una melodia in tutto. E una volta trovata la melodia, questa si collega subito con il cuore, nulla penetra il cuore più veloce della melodia (Carlos Santana).
Spark of the Divine è uno stralcio di 1’02, probabile provino di Novus (presente in Shaman e cantato da Placido Domingo), che si interrompe all’improvviso lasciando il campo a Macumba in Budapest, gran bel tema; il brano nasce da una jam con i due percussionisti Raul Rekow e Karl Perazzo. Alla ribalta le ritmiche centroamericane, tipiche di una parte di repertorio di Santana.
Mr. Szabo è la composizione con la quale Carlos Santana rende omaggio al chitarrista ungherese Gábor Szabó, indimenticato autore di Black Magic Woman uno dei cavalli di battaglia della Santana band.
Dopo la canzone Eres La Luz intervengono i cantanti Tony Lindsay e Andy Vargas. Il finale dell’album è appannaggio dei due pezzi in cui è presente Salvador Santana al piano e alle tastiere, oltre a essere coautore dell’intensa Canela. Salvador regge il confronto con il leggendario genitore mostrando tutto il suo talento in Ah, Sweet Dancer, gran bel tocco e gran senso della melodia al piano acustico. Bravo Salvador!
Shape Shifter è da consigliarsi ai più giovani (musicisti e non) per iniziare la frequentazione con la “chitarra più famosa del mondo”, con colui che ha cavalcato le praterie del rock dipingendo pagine memorabili.
Gran bel ritorno e, come sempre, Viva Santana!