L’amore ha molte facce. L’amore non ha età. L’amore può essere per sempre, anche oltre la morte. L’amore può farci sfiorare il sublime diventando riflesso dell’amore divino. L’amore può essere poesia che ci proietta in dimensioni spazio-temporali cosmiche, senza confini, inimmaginabili. L’amore può essere irresistibile e fatale arrivando a trascendere il suo aspetto materico, sentimento puro che eleva l’umano verso un “alto” mistico. Tutto questo è stato messo in scena dai Santasangre che hanno realizzato uno spettacolo bellissimo, tanto originale quanto elegante, pieno di felici invenzioni all’insegna di un grande equilibrio formale. La sfida affidata dalla Sagra Musicale Malatestiana a questo eterogeneo Collettivo artistico romano – costituitosi alla fine del 2001 e in poco tempo affermatosi come una delle realtà più interessanti del nostro teatro di ricerca – non era per nulla facile per una serie di ragioni. Prima fra tutte l’obbligo per la Compagnia a lavorare su una partitura data e magistralmente eseguita da Lucio Perotti – fino ad oggi la parte musicale dei loro spettacoli è sempre stata autoprodotta – e che impone anche un determinato tema. La Sagra Musicale Malatestiana da qualche anno propone la versione scenica di una composizione non concepita espressamente per il teatro musicale un appuntamento, questo, che è diventato, per l’originalità delle scelte e la qualità delle produzioni, momento particolarmente significativo del Festival e che, di anno in anno, va catalizzando sempre crescente attenzione da parte di pubblico e critica.
Per l’edizione 2012 la Sagra ha scelto di teatralizzare un capolavoro di Olivier Messiaen (Avignone 1908 – Parigi 1992): ”Harawi”, del 1945, per soprano e pianoforte. La partitura, della durata di circa un’ora, si sviluppa in 12 canti le cui liriche sono dello stesso Messiaen nelle quali il compositore sviluppa un tema a lui particolarmente caro: l’amore e morte. All’amore che si compie nella morte, alla leggenda di Tristano, Messiaen dedica tre lavori dei quali Harawi è la prima parte di questa trilogia.
Nella musica di Olivier Messiaen l’intonazione mistica convive e si fonde con un linguaggio moderno e personalissimo connotato dall’uso libero della modalità (un determinato sistema organizzato di intervalli) che caratterizza l’invenzione melodica e la costruzione degli accordi. E’ musica travolgente e che seduce e nella quale si alternano suoni sottili e colori armonici, in un susseguirsi di contrasti che oppongono morbide armonie a duri effetti cacofonici, melodie semplici a musica complessa con un senso del tempo flessibile e variabile. Il compositore francese era un appassionato ornitologo e nelle sue composizioni egli spesso inserisce particolari sequenze che rimandano al suono del canto degli uccelli, al loro stridire, schiamazzare, trillare. Tutto questo si ritrova in Harawi dove Messiaen inserisce anche i suoni della lingua quechua (siamo sulle Ande peruviane) e costruisce un percorso poetico surreale nel quale parole, concetti, immagini evocate, si combinano in modo così insolito e del tutto affascinante, tra realtà e sogno, raccontando di una tragica storia d’amore.
I Santasangre – ovvero Diana Arbib, Luca Brinchi, Dario Salvagnini, Roberta Zanardo – hanno saputo interpretare al meglio la musica di Messiaen costruendo uno spettacolo ricco di suggestioni in cui interagiscono diversi linguaggi artistici. In piena coerenza con la loro vocazione di mescolare le esperienze senza preconcetti spostando l’asticella della sperimentazione sempre più in avanti, riescono a dare una veste teatrale alla composizione di Olivier Messiaen senza cadere nel pericoloso e facile didascalico. Attraverso gli efficaci video, con il linguaggio misurato del corpo dei due attori, Maria Teresa Bax e Marcello Sambati, volutamente non giovani per sottolineare sapientemente come per la passione non ci sia età, le perfette figure agli anelli rese da Antonello Compagnoni, la presenza carismatica e straniante di una poiana e di un gufo reale e della loro falconiera, Monica Galli, i Santasangre hanno reso palpabile la straordinaria poesia in musica di Messiaen.
Contributo fondamentale alla riuscita dell’allestimento la qualità dell’esecuzione dal vivo della composizione di Lucio Perotti, al pianoforte, e Matelda Viola, soprano. Non è un caso se Harawi è poco eseguito. E’ una partitura impervia, difficilissima, che richiede una particolare intensità esecutiva al punto che lo stesso Messiaen nel nono canto indica: “Conta solo la passione”. E’ un brano che espone gli esecutori, pianista e soprano, a moltissimi rischi. Sono cinquantasette minuti di musica praticamente ininterrotta e tecnicamente complessa. Lucio Perotti ha dato un’ottima prova, suono cristallino, grande intesintà esecutiva e perfetto controllo della sinergia con la parte vocale e l’azione scenica. Messa a dura prova la voce del soprano, dal suo uso poco tradizionale che Messiaen richiede, con linee di canto molto spinte, che Matelda Viola ha sostenuto con grande dignità.