Piaccia o non piaccia il concertone Italia Loves Emilia del Campovolo – manifestazione di musica e solidarietà per 150mila spettatori partito da un’idea di Luciano Ligabue – è stato un vero evento nazionale. C’erano sul palco tredici dei più forti venditori di dischi italiani, ripresi dalle telecamere di Sky e dai microfoni di undici radio unite occasionalmente in network, per uno show che è durato circa quatto ore ed è terminato con un “tutti in scena” a cantare A muso duro, canzone-inno di Pierangelo Bertoli, uno che era nato a pochi chilometri dal Campovolo.



La risposta di pubblico, artisti e la mobilitazione dei media la dice lunga su una cosa che questo grande evento di solidarietà ci consegna: c’è nell’aria un folle bisogno di gesti gratuiti, di cose fatte con il cuore, di partecipazione senza specifici interessi. Anche gli stessi musicisti, presenti non per convenzione, hanno mostrato di aver bisogno di un momento in cui uscire dalle logiche asfittiche del “registro-promuovo-mi esibisco-vendo”. Certo partecipare a Campovolo è stata anche una bella promozione, no problem, ma l’insieme era chiaro: il Paese ha bisogno di ritrovare un senso più autentico anche attraverso una serata di musica. Dal canto suo la musica ha un tremendo bisogno di ritrovarsi, ben oltre i talent-tritacarne e le stelline usa e getta. Le due cose insieme hanno fatto la scintilla.



Insomma: è la gratuità che offre nuova linfa anche alla musica, che le permette forse di ritrovarsi. Questo è confermato da un dato che davvero colpisce ed è – al di là dei gusti personali sulle singole esibizioni – la qualità delle band che sono salite sul palco. Vedere Zucchero con sezione fiati e sezioni archi, più Jeff Beck, oppure Renato Zero con la sua classica formazione infarcita di virtuosi pop-rock, oppure ancora Ligabue (che però giocava in casa) presentarsi in versione power-rock, in un concerto dove nessuno incassava un quattrino, è cosa che fa bene al cuore. Nessuno si è risparmiato, nessuno era in playback, nessuno ha fatto le bizze. Anzi: in conferenza stampa il momento più divertente è stata la battuta di Zucchero: e adesso togliamoci dai c… e andiamo a provare, che tra poco dobbiamo suonare. A dimostrazione del fatto che erano tutti lì a fare sul serio.



Altra cosa bella da registrare è finalmente vedere interpreti italiani scambiarsi i microfoni e i ruoli, uscire da quel certo ingessamento per cui “il palco è mio e lo gestisco io”. Jovanotti che “dubbizza” Amico di Renato Zero, mentre Zucchero e Ligabue si scambiano le strofe di Non è tempo per noi può essere una bella novità. E’ l’inizio della sprovicializzazione? E’ la voglia di uscire dagli schemi e provare a rimescolare le carte da gioco in un momento in cui tutto il sistema musica rischia la noia?

Permettendomi un angolo di personalissimo gusto, direi che le cose più efficaci in scaletta sono state la bella partenza di Zucchero (la caotica Madre dolcissima con Jeff Beck, Elisa e Mannoia è stata uno dei momenti top), la bizzarra compagnia ritmica di Jovanotti e l’intero energetico set di Ligabue. Ho dei dubbi sul set dei Nomadi (grande band, ma pessimo il loro attacco con un paio di canzoni senza grinta), su quello dei Negramaro (che senso ha questa band di inutili canzoni?), su quello dei Litfiba (il buon senso consiglia di evitare qualsiasi commento sulla loro reunion). Ho trovato come sempre straordinaria la presenza scenica e vocale di Renato Zero, molto efficace il bel tris di pezzi del sempre più incanutito Baglioni, buona la grinta di Giorgia e anche quella di Biagio Antonacci, meno preoccupato del solito di fare il piacione  per il mondo delle veline.

Ma registrando le presenze, registriamo anche le assenze. Non c’erano alcuni “grandi” solitamente refrattari a questo genere di eventi (da De Gregori a Guccini, da Venditti a Ramazzotti, da Battiato a Fossati mentre Vasco è in clinica). Non c’era nessuno del filone alternativo (Afterhours e Teatro degli Orrori, Verdena e Luci della Centrale Elettrica) che forse avrebbero movimentato l’ambiente e certi altri autori che avrebbero differenziato la proposta (qualche esempio? PFM e Van de Sfroos per dirne due).

 

La cosa migliore è stata notare l’assenza completa di quella generazione di figuranti, voci scontate e androidi che escono dalle varie trasmissioni televisive che pare – ma non è certo – abbiano un seguito oceanico. Personalmente ignoro se certi nomi siano entrati in contatto con il concerto e con l’organizzazione, ma di sicuro c’è una cosa: la musica del Campovolo era (al di là dei gusti) autentica e in un qualche modo “accreditata”. Quegli altri non fanno parte (almeno per ora) di quel mondo. Un universo nel quale è invece ora ufficialmente entrato anche Tiziano Ferro che, in conferenza stampa, è stato il più semplice e simpatico di tutti: “cosa volete che vi dica della mia partecipazione a Italia Loves Emilia? Sono qui con questi mostri sacri della canzone italiana, sono cresciuto ascoltando tutti i loro dischi e oggi ci canto insieme. Già così per me è un successo”. Viva l’umiltà!

 

Da ultimo ecco uno dei vincitori della nottata: Sky. Si prende la diretta, mette a disposizione la piattaforma di PayTv per i versamenti in favore dei terremotati, lascia indietro Rai e Mediaset (soprattutto perché non hanno un numero importante di utenti registrati su piattaforma) e diventa più di prima l’autentico terzo polo. Mica male, per una serata di tivù-solidarietà.

 

Nessuno lo dice, ma Italia Loves Emilia vorrebbe iscriversi con una certa bonomia emiliana all’elenco dei grandi concerti di solidarietà. Senza fare paragoni più o meno esagerati, il rock che conta negli anni ha infilato gli eventi del Concert for Bangladesh (con George Harrison che riesce a coinvolgere pure Bob Dylan) del Live Aid e del Live 8, del Concert for Kampuchea (con Clash, Who, Pretenders e Paul McCartney), del Farm Aid (quello con Neil Young e Willie Nelson) e dell’Amnesty international tour (anche a Torino con Claudio Baglioni, ma soprattutto con una delle più roventi esibizioni italiane di sua maestà Springsteen).

 

Anche gli italiani hanno già dato del proprio in questo settore, ricordando la recente mobilitazione realizzata dopo il terremoto dell’Aquila con l’incisione di “Domani”, il quarantacinque giri in merito al quale Jovanotti in sede di conferenza stampa ha confermato la consegna di 1,121mila euro alle autorità per la ricostruzione del teatro San Filippo Neri. Da Campovolo, con la vendita di 150.831mila biglietti venduti, potrebbero arrivare alle scuole di una decina di centri colpiti dal terremoto, circa 3,8 milioni di euro. Vasco Errani, presidente della Regione Emilia-Romagna, ha assicurato trasparenza nella gestione degli incassi e visibilità in rete web delle destinazioni. Una volta tanto i musicisti hanno fatto la loro parte, speriamo che pure i politici facciano la loro.