Dopo Wagner, Verdi nella stagione del doppio bicentenario, Falstaff (in scena alla Scala dal 15 gennaio al 12 febbraio) è particolarmente importante per vari motivi: a) è una nuova produzione, non una ripresa come gran parte degli spettacoli verdiani nella programmazione scaligera 2012-2013; b) il partner è la Royal Opera House (RHO) , il Covent Garden, di Londra (dove resterà allestimento resterà in repertorio per diversi)b ); c) il lavoro affidato a Robert Carsen (regia) e Daniel Harding (direzione musicale) soppianta quello di Giorgio Strehler del 1981 (consegnato nel 2001 ad un bel Dvd); d) dà una tinta nuova al capolavoro si un compositore di quasi ottant’anni, l’originalissimo capolavoro di un Verdi divenuto nella tarda maturità un maestro assoluto nell’arte del teatro musicale.
L’azione non è all’epoca elisabettiana, come in Strehler, Zeffirelli ed anche nel mirabile lavoro fatto da Carlo Maria Giulini e Richard Eyer nel 1982 (Los Angeles, Londra , Firenze) e nella tradizione in generale . Non viene portato ad un rave party come fece Luca Ronconi a Firenze una diecina di anni fa od in una stazione ferroviaria britannico all’inizio del Novecento come realizzato da Herbert Wernicke a Aix en Provence ed in una dozzina di teatri europei. Pare prendere parte dell’ispirazione dallo spettacolo di Marco Arturo Marelli, in scena dal 2003 alla Staatsoper di Vienna: la vicenda è portata nella Gran Bretagna pettegola degli Anni Cinquanta. Ma non si tratta di battibecchi e scherzi nella piccola e provinciale Windsor . Carsen vede Falstaff come una commedia sociale, raccontata con uno sguardo molto acuto su una parte della società.
“L’intreccio – dice – non si limita al gioco delle situazioni tragicomiche,ma arricchisce la buffa vicenda con un grande approfondimento dell’animo umano: pensiamo alla gelosia di Ford, alla malizia delle “comari”, all’innocenza dei giovani,ma anche alla loro astuzia. Naturalmente vi si sviluppano temi consueti nella commedia, come la contrapposizione dei giovani contro gli anziani, ma direi che il tratto saliente dell’opera è proprio la sua vitalità, quell’ingordigia della vita, quello stesso appetito che si ha per il buon cibo o per le buone bevande”.
Carsen pone l’accento su una caratteristica poco notata del Falstaff: è un’opera molto sensuale. In effetti, eros e sensualità che nel teatro musicale italiano dell’Ottocento era stato cacciato dalla porta maggiore (salvo a rientrare dalla finestra in La Traviata ed in Un Ballo in Maschera) stava diventando di nuovo proprio diventando centrale sulla scena. La prima di Manon Lescaut di Giacomo Puccini (che trasuda eros da ogni nota) precede di novi giorni quella del Falstaff. “Per interpretare l’opera come una celebrazione dei sensi – sottolinea Carsen , ho voluto spesso inserire situazioni in cui si mangia e si beve: c’è sempre il piacere del pranzare o del cenare insieme. L’opera stessa termina con una festa. Nello spartito ci sono spesso parti in cui ipersonaggi cantano insieme o si parlano quasi addosso: per me anche questa caratteristica riporta all’idea di festa che io vedo nell’opera, in cui spesso si festeggia e ci si intrattiene in allegria”.
Ambientato l’allestimento di Falstaff nel Novecento, nell’Inghilterra degli Anni Cinquanta ha molti significati . Era un periodo in cui esisteva un tipo di scontro di classe molto forte. In quegli anni sorgeva la nuova middle classi. Erail momento in cui si percepisce il problema dell’aristocrazia inglese che,dopo la Seconda Guerra Mondiale, è entrata in una fase di declino. Era anche una fase perbenista (ma con tanta sensualità dietro le tende): la censura costrinse a rappresentare in un club privato A View from the Bridge (“Uno sguardo dal Ponte”) di Arthur Miller, ma i Tabloid imperversavano con particolari piccanti sulla Corte e sulle vicende di letto del Ministro della Difesa John Profumo.