E’ solo rock’n’roll, ci piace, e fa anche del bene. Da quando George Harrison, nell’agosto 1971, organizzò il primo concerto rock a scopo benefico (era a favore delle vittime dell’alluvione nel Bangladesh) gli eventi analoghi si sono ripetuti a centinaia. L’ultimo in ordine di tempo è quello che ha visto sul palco del Madison Square Garden di New York (lo stesso posto dove Harrison aveva portato il suo concerto) alcune delle più grandi star di ogni tempo per raccogliere fondi per le vittime dell’uragano Sandy che ha colpito la costa est degli Stati Uniti. Tra  biglietti della serata e pay per view varie sono decine e decine i milioni di dollari raccolti, segno che il rock’n’roll è ancora – anzi probabilmente l’unica – macchina da beneficenza in grado di fare il proprio dovere, senza aspettare sponsorizzazioni varie e soprattutto gli interventi governativi. 



La cronaca. Il 12 dicembre 2012 (12 12 12) sul palco si sono succeduti questi giganti: Bruce Springsteen & The E Street Band, Eddie Vedder, Dave Grohl, Roger Waters, The Rolling Stones, Bon Jovi, Eric Clapton, Billy Joel, Alicia Keys, Chris Martin, Who e Paul McCartney. Mica male. Peccato che fosse più o meno la medesima line up che si vide undici anni fa quando sempre al Madison si tenne un concerto a favore delle vittime degli attacchi alle Torri Gemelle: con un po’ di sforzo e di immaginazione si poteva invitare qualche nome giovane, ad esempio i Mumford and Sons e l’evento ne ne avrebbe musicalmente guadagnato. Molti dei presenti hanno infatti dato l’impressione di timbrare il cartellino: certamente sempre momenti di grande musica, ma gli Stones (che in quei giorni si trovavano poco distante da New York per i loro concerti) ad esempio hanno dato il minimo indispensabile: due pezzi, di cui una trascurabile You Got Me Rockin’ e una scontata Jumpin’ Jack Flash, visto che si trattava di un uragano (“I was born in a cross-fire hurricane and I howled at the man of the driving rain”).



Esce adesso un doppio cd col fine di raccogliere altri soldi (ottima idea), ma l’evento stesso viene ampiamente mutilato. Quello che infatti era stato l’evento nell’evento, Paul McCartney che si esibisce con Dave Grohl, Kris Novoselic e Pat Smear, cioè i Nirvana (ovviamente senza Kurt Cobain) in un pezzo scritto per l’occasione viene lasciato fuori. Così è lasciato fuori uno dei brani più importanti per il significato dell’evento stesso, e cioè My City of Ruins di Bruce Springsteen per metterci una trascurabile Wreckin’ Ball. Ci sono invece ben tre pezzi dell’altrettanto e ancor più trascurabile Chris Martin (voce dei Coldplay) che riesce nell’impresa di riportare su di un palco dopo il ritiro dalle scene Michael Stipe. Peccato che l’ex leader dei Rem appaia svogliato e sul punto di stonare (Losing My Religion): che sia Chris Martin a indurre a effetti collaterali di questo tipo? 



Tre i pezzi anche per gli Who – e per fortuna – autori di uno dei set più trascinanti della serata, Who Are You, Baba O’Reilly e Love Reign O’er Me. Tre anche per Roger Waters, troppa grazia per l’ex Pink Floyd sempre perso nel suo mondo, anzi nel suo muro, se non fosse per lo straordinario intervento del sempre bravissimo Eddie Vedder che trasforma una sonnolenta Comfortably Numb in uno dei veri picchi della serata. 

Sorvoliamo su uno degli attori più inutili della Hollywood moderna, Adam Sandler, che ha anche velleità di cantante e che riesce a massacrare uno dei capolavori della canzone di ogni epoca, Hallelujah di Leonard Cohen. Ottimo e travolgente invece da par suo Eric Clapton, in una debordante Got to Get Better in a Little While dei tempi magici di Derek and the Dominos, e nella classica Crossroads. Il resto scorre innocuo (Billy Joel, Alicia Keys, Bon Jovi) fino a una scopiettante Helter Skelter di Paul McCartney. Diciamolo, il Madison Square Garden, senza andare lontano fino ai tempi di George Harrison, ha visto concerti di beneficenza ben più esaltanti.