C’è il cuore, e c’è la croce. Ma non c’è la sconfitta. Da sempre Massimo Bubola attraversa la canzone italiana come una sorta di profondo pensatore, quasi un profeta dell’Antico testamento che scandaglia la condizione dell’uomo, inevitabilmente alle prese con una battaglia quotidiana tra la propria miseria e la cattiveria del mondo senza mai rinunciare a questa battaglia, forte della consapevolezza che la redenzione e la speranza sono possibili. 



Attivo discograficamente fin dalla metà degli anni settanta, accolto artisticamente da Fabrizio De André che poco più che ventenne lo chiamò a comporre insieme a lui due tra i dischi più belli dello scomparso cantautore genovese, “Rimini” e “L’indiano”, Bubola porta dentro di sé le radici forti del suo popolo, quello veneto, alle prese con le contraddizioni dell’epoca moderna, un’epoca che ha fatto di tutto per togliere dall’uomo il suo cuore. 



Lo fa ancora in modo straordinariamente riuscito nel nuovo disco che sarà nei negozi a fine mese, dal titolo esemplificativo: “In alto i cuori”. Come si fa a tenere in alto il proprio povero cuore tra l’aridità di un’epoca che celebra la falsità della televisione come modello di vita, che ammazza i bambini per strada, che affossa le famiglie sotto il peso delle tasse? Tutte cose che nel disco vengono raccontate in musica (Hanno sparato a un angelo, dedicata alla bambina cinese uccisa in braccio al proprio padre per le strade di Roma esattamente un anno fa), con un amalgama di sonorità rock come solo Bubola sa fare in Italia. Rock del più vero e sanguinante, quello che guarda dritto a maestri come Bob Dylan, Nick Cave e Leonard Cohen attraverso sonorità costruite da autentico cesellatore di suoni in un’ottica di modernissimo rock alternativo americano. 



“Credo che niente ci possa proteggere come la speranza, che è un dovere verso il futuro non solo per i cristiani, ma anche per i laici” ci ha detto Massimo Bubola in una conversazione sul suo nuovo disco. “La speranza non deve essere una parola vacua e scarica, ma si traduce in impegno a far sì che le nostre mille scelte di un giorno qualunque si convoglino in una direzione utile per i nostri cari e le persone sconosciute, per la nostra casa e il mondo che dobbiamo lasciare a chi verrà.  Stare ai piedi della croce vuol dire soprattutto accettare il lutto e praticare la pietà”.

Sono passati quattro anni dal tuo ultimo disco: quali interessi artistici ti hanno tenuto occupato in questi quattro anni, tu che sei uomo dai mille interessi?

Ho scritto un romanzo “Rapsodia delle terre basse” dedicato al  mio paese  natale, la bassa veronese, la pianura nebbiosa tra i due grandi fiumi l’Adige e il Po, ambientato negli anni cinquanta. Ho realizzato un album con la Barnetti Bros Band a Santa Fe in New Mexico dedicato ai fuorilegge italiani e americani e tre anni fa ho cominciato a scrivere le canzoni per questo album “In alto i cuori”.

“Instant songs” le hai definite queste nuove canzoni, ma anche ritratti di una condizione umana che si ripete nei secoli. Sei d’accordo?

Il nostro lavoro è tra i più antichi. Quando non esistevano i giornali e i libri. La letteratura orale di cui Omero ed Esiodo furono i cantori, non faceva altro che narrare i fatti accaduti e narrati contribuendo a creare l’epica del loro secolo. Sappiamo oggi che i fatti della cronaca giornalistica sono destinati ad affievolirsi nel tempo. Le canzoni, quelle ben riuscite naturalmente, hanno il potere di continuare a parlarci al di là anche dei fatti che le hanno ispirate.

Hanno sparato a un angelo: non è la prima volta che racconti la tragedia di bambini uccisi, forse perché è l’orrore più grande che si possa compiere?

La strage degli innocenti è uno dei temi più strazianti della storia umana. Il dio Moloch dei Cananei esigeva sacrifici di bimbi e sembra che questo dio non si sia mai saziato fino ad oggi. Abbiamo appena chiuso un secolo con due guerre mondiali e con l’olocausto di sei milioni e mezzo di ebrei, per non contare altre minoranze. A Padova a breve distanza, nella Cappella degli Scrovegni e nella chiesa di Santa Giustina, ci sono dipinte due stragi degli innocenti, eseguite alla distanza di un secolo da due grandi pittori: Giotto e Mantegna. I volti delle madri in entrambi i casi esprimono uno strazio indicibile di fronte all’orrore dei carnefici con i bimbi branditi come spade. Chi ha avuto morti infantili nella propria famiglia, sa che è un dolore che non trova risposta alcune e che il tempo non attenua. 

 

“Cantare e portare la croce”, dici in uno dei brani più belli: la croce è condizione essenziale per tutti gli uomini? Cosa vuol dire per te portare la croce? 

 

Portare la croce è oggi fare il proprio dovere fino in fondo, anche se pochi se ne accorgono e ti gratificano. Avere il senso degli altri e che tutto quello che facciamo ha un impatto sociale. Oggi impegnarsi a dare il meglio di se anche nella scrittura e nell’arte in generale può essere controproducente, perché il marketing preferisce un’innocua e fragorosa mediocrità. Il marketing finanzia le Tv, i giornali e i siti. Chi pensa troppo e ha delle sue opinioni personali sulle cose, ho ha da ridire, non è un buon consumatore, almeno delle cose che gli vogliono far consumare. Stare ai piedi della croce vuol dire soprattutto accettare il lutto e praticare la pietà.

 

Come sempre nei tuoi dischi le chitarre, i suoni delle chitarre, rivestono un ruolo di primo piano; in questo disco c’è un amalgama di suoni straordinari, come hai costruito queste sonorità questa volta? 

 

Farò una metafora gastronomica. Per fare alta cucina ci vogliono innanzitutto grandi materie prime. Nel tempo ho scelto le mie chitarre, acustiche ed elettriche che sono poi invecchiate con me come i miei libri e i miei gatti. Non è vero che la tecnologia migliora le cose, nel caso delle chitarre, come del vino. Anzi il tempo le migliora.  Le grandi chitarre hanno personalità e un suono che le identifica e vanno usate come il fotografo usa i suoi obiettivi.

 

Analogico digitale è stata scritto insieme a Beppe Grillo, come è nata? Vi conoscete da tanto? 

 

Con Beppe ci conosciamo da tanti anni. Qualche tempo fa mi chiese di scrivere qualche blues per un suo spettacolo, così andai a casa sua a Genova per qualche giorno e parlammo di vari argomenti che ci stavano a cuore, tra cui quello della contrapposizione tra la cultura analogica e quella digitale. Beppe ha sempre avuto una spinta idealistica, la sua comicità si è sempre retta fin dall’inizio sui paradossi legati alla società e ai cattivi esempi. Credo che il suo programma e le sue istanze di giustizia civile sia quello che più sta influenzando il panorama della politica italiana oggi e da molti sia stato preso ad esempio. 

 

Sei un grillino?

 

No, non sono un grillino come si dice, come non sono tante altre cose. Non amo le religioni organizzate, come diceva Woody Allen.

 

 

Il brano Tasse prende spunto musicalmente da Everything is Broken di Bob Dylan, cosa ti ha colpito in particolare di quel brano per riprenderne la struttura? Dylan, anche quello degli ultimi dischi, è ancora un punto di riferimento per te?

 

Dylan è stato uno dei più importanti poeti del novecento, come Shakespeare ha cambiato la lingua dei sentimenti. Tutti gli dobbiamo molto, anche chi non lo sa e usa le sue metafore. Ma lo schema di una parola “chiave” su qui ruota il testo lo ha utilizzato già un certo Cecco Angiolieri, poeta nell’Italia medievale: “S’i fosse fuoco, arderei ‘l mondo;s’i fosse vento, lo tempestarei; s’i fosse acqua, i’ l’annegherei” e certamente non lo ha preso da Dylan. La musica del brano poi è uno standard di rock & roll e Dylan non ha inventato il rock & roll, così come il blues e l’armonica a bocca, ma arricchito queste cose della sua arte.

In alto i cuori è una sorta di gospel rock, un gran messaggio di speranza: il cuore di Bubola verso cosa guarda? 

 

Nella Bibbia il cuore è una sintesi di razionalità, emotività, coraggio, visione. Quindi ragiona col cuore, vuol dire in sostanza: ragiona con tutto te stesso. Le grandi decisioni che prendiamo hanno una leadership razionale, retaggio dell’illuminismo e della dea Ragione, ma in realtà la razionalità è una parte minoritaria di noi e del nostro cervello; minoritaria ma egemone per la nostra cultura, in cui irrazionale è quasi un insulto, ma decidere solo razionalmente porta a degli errori inevitabili, perché sulle scelte esistenziali importanti ci vuole un contributo di tutto le nostre componenti. 

 

La parola “cuore” ritorna in diversi titoli e nei testi: il cuore dell’uomo è la cosa più grande che abbiamo? Cosa lo protegge dai tanti dolori della vita quotidiana?

 

Per l’ultima parte della domanda, credo che niente ci possa proteggere come la speranza, che è un dovere verso il futuro non solo per i cristiani, ma anche per i laici. La speranza non deve essere una parola vacua e scarica, ma si traduce in impegno a far sì, che le nostre mille scelte di un giorno qualunque si convoglino in una direzione utile per i nostri cari e le persone sconosciute, per la nostra casa e il mondo che dobbiamo lasciare a chi verrà.