Ci fu un periodo tra il 1969 e il 1973 all’incirca in cui uscirono nei negozi alcuni dei migliori dischi live di tutti i tempi. Non che dopo e anche in anni recenti non ne siano usciti più, ma sicuramente in quei pochi anni si concentrò un tale numero di dischi straordinari come mai più in seguito. Il motivo era semplice: quegli anni corrispondevano infatti allo strapotere della musica live rispetto a quella in studio. Le logiche dei 45 giri, spariti da tempo, ma anche quelle degli lp, le logiche di mercato insomma, si erano infrante contro una voglia di vivere la musica in presa diretta, in comunione, in piena libertà. Era l’epoca dei festival, certamente, ma non solo: i musicisti stessi godevano di questa dimensione che lasciava aperte le porte a ogni genere di improvvisazione e libertà. Basta dare un’occhiata veloce ad alcuni dei titoli dal vivo usciti in quei quattro anni: “Live/Dead” dei Grateful Dead; “The Turning Point” di John Mayall; “Made in Japan” dei Deep Purple; “At Fillmore East” della Allman Brothers Band; “4 Way Street” di CSNY; “Kick Out the Jam” degli MC5; “Get Yer Ya-Ya’s Out!” degli Stones; “Mad Dogs & Englishmen” di Joe Cocker. Solo alcuni. Altre band, tipo i Led Zeppelin avrebbero goduto di uscite live inerenti a quel periodo solo decenni dopo, ma comunque testimonianza di quell’epoca unica per la musica dal vivo. In seguito, si fu costretti ad assistere a fenomeni imbarazzanti, cioè il ritoccamento in studio delle performance live, come nel tristemente noto caso degli Eagles. Il loro – vendutissimo – live del 1980 infatti venne corretto in studio per cancellare ogni possibile errore, almeno al 50% ponendo di fatto fine al disco dal vivo come pura improvvisazione rendendolo invece riproposizione di grandi successi il più simile possibile ai dischi in studio. 



Tornando a quell’epoca d’oro, tra quella caterva di meraviglie, c’è un altro live, “Rock of Ages” di The Band, uscito nel 1972. Ai tempi un doppio vinile, documentava le quattro serate che il 28, 29, 30 e 31 dicembre 1971 il gruppo che fu accompagnatore di Bob Dylan aveva tenuto all’Academy Of Music di New York. Qualche anno fa era già uscito un doppio cd che conteneva anche i quattro brani allora non pubblicati con lo stesso Bob Dylan, ospite a sorpresa del concerto della sera di capodanno.



Adesso esce un cofanetto di ben quattro cd e un dvd (anche se quest’ultimo contiene solo due pezzi ripresi dalle telecamere e per il resto i brani già noti in formato audio 5.1 surround). Una spesa forse eccessiva in questo periodo di crisi (nel cofanetto anche uno splendido librone con foto inedite e testo di Robbie Robertson, insieme a Garth Hudson l’unico sopravvissuto di The Band) e dunque da meditare bene se si possiede già il doppio cd di qualche anno fa, ma comunque un evento di cui è impossibile non parlarne (in tutto, nei cinque cd, è possibile ascoltare la versione originale disco; una versione tratta dal mixer interno di sala e quella 5.1 sourround. Come dice giustamente Robertson,  come essere catapultati in quelle quattro memorabili serate). 



“Rock of Ages” è infatti la straordinaria testimonianza su palcoscenico della più grande band americana di ogni tempo nel suo momento migliore. Come spiega bene Robbie Robertson, produttore di questo cofanetto, “con The Band, ciò che rese The Band quello che fu, è che fu una autentica band”. Sembra un gioco di parole, ma invece sottolinea la caratteristica di un gruppo composto da cinque musicisti ognuno straordinario nella sua parte, di tre vocalist formidabili che si alternavano, si incalzavano e si univano che rendevano realtà il vecchio detto: la somma delle parti è meglio della singola parte.

In queste testimonianze dal vivo tutto ciò si sente con una freschezza che non ha pari. The Band era un caleidoscopio di colori, di tinte che si uniscono e si fondono, di ritmi e di immagini. Nessuno ha saputo cogliere l’essenza profonda e immaginifica dell’America e renderla in musica come questo gruppo. Ascoltare il brano Life is a Carnival chiarisce tutto ciò: un’esplosione irrefrenabile di suoni, colori, ritmi, voci che catapultano in una New Orleans dell’anima. Va detto che a rendere anche tutto così unico in queste registrazioni è la presenza sul palco dell’orchestra di fiati di Allen Toussaint, il celebre produttore originario proprio della capitale della Louisiana. Ma basterebbe anche la deflagrante Up On Cripple Creek, con un Levon Helm mai così tonico (e lo era praticamente sempre) e furoreggiante, oppure The Weight, che diventa davvero il canto dei soldati sudisti lacerati e in rotta, ma pur sempre pieni di orgoglio, alla fine della Guerra civile. Ci sono poi pagine “minori” che danno la misura di come in realtà non ci sia stato mai nulla di minore per The Band: Smoke Signal, ad esempio, o Time to Kill. O la dolcezza soul di Rick Danko che reinterpreta il classico di Stevie Wonder, Loving You Is Sweeter Than Ever.

Americana prima che il termine fosse inventato, queste registrazioni sono la festa della musica: le tastiere immaginifiche di Garth Hudson, la voce soul e il basso Motown di Rick Danko, il canto addolarato, alla Ray Charles di Richard Manuel, e la chitarra mai così scatenata di Robbie Robertson.

A suggello di tutto Bob Dylan, incapace di resistere al richiamo di questi musicisti: con loro, scatta una magia che Dylan ha inseguito e raramente recuperato per tutto il resto della sua carriera. Down in the Flood è quasi hard rock, mentre When I Paint my Masterpiece è America. Quella che Bruce Springsteen sta ancora cercando. Concludendo il tutto con l’inevitabile, e immortale, Like a Rolling Stone. 

Play fuckin’ loud diceva una volta un giovane Dylan agli ancor più giovani membri di The Hawks poi diventati The Band. Insieme fecero la storia del rock, e “Rock of Ages” li coglie in una istantanea dove  furono capaci di esprimere i vertici della loro epicità. E così facendo resero immortale l’anima musicale dell’America. Alla fine, quello che resta è il monito reso leggenda nella irresistibile ripresa di Little Richard: (I Don’t Want to) Hang Up My Rock’n’Roll Shoes, non voglio appendere le mie scarpe del rock’n’roll. Ogni volta che ascolteremo queste registrazioni sarà così, impossibile appendere le scarpe al chiodo.