I livornesi Virginiana Miller sono, senza troppi fronzoli, tra i gruppi migliori che abbiamo in Italia. Dall’esordio di “Gelaterie sconsacrate”, nel 1997 (che vedeva la collaborazione artistica di Giorgio Canali), hanno compiuto una serie di passi interessanti, proponendo un rock sofisticato ma mai intellettuale, con un’attitudine a metà strada tra il cinico e lo scanzonato. Una proposta musicale mai troppo facile (se i riscontri della critica non sono mai mancati, la stessa cosa non si può sempre dire di quelli del pubblico) che è andata incontro ad una crescita qualitativa esponenziale nel corso degli anni e che solo recentemente ha in qualche modo aggiustato le coordinate in modo tale da essere in grado, potenzialmente, di raggiungere un numero più vasto di persone. “Venga il regno”, il loro sesto lavoro in studio, prosegue sulla scia del precedente “Il primo lunedì del mondo” ed è semplicemente quello che è: una delle più belle uscite del nostro panorama musicale, per chi scrive già candidato a disco dell’anno. 



Ne abbiamo parlato assieme a Simone Lenzi, voce e paroliere di questa band. Ecco che cosa è venuto fuori… 

Innanzitutto complimenti per il disco, l’ho trovato bellissimo. Mi pare si tratti di un’altra tappa importante della vostra evoluzione artistica. Da questo punto di vista, trovo che a partire da “Fuochi fatui d’artificio” abbiate trovato una formula di songwriting davvero vincente. Che ne pensate? 



Se avessi capito cosa c’era in palio mi piacerebbe risponderti di sì! A parte gli scherzi, credo che soprattutto da “Il Primo lunedì del Mondo” abbiamo trovato una via verso la semplicità, dove la semplicità è il punto di arrivo di una consapevolezza dei proprio mezzi espressivi che invita a eliminare fronzoli e complicazioni inutili. 

Il titolo “Venga il regno” sembra avere suggestioni evangeliche. Poi però, ascoltando “Nel recinto dei cani”, mi è parso che potrebbe anche esserci sotto qualcos’altro, una visione non per forza rassicurante. Che ne dite? 



Credo che tu colga nel segno se vedi un’ambivalenza. Forse si tratta solo della proiezione di un dato anagrafico: alla metà dei quaranta non hai più “tutta la vita davanti”, come dicono i nostri amici Perturbazione. Non hai più tutte le possibilità che avevi a vent’anni. “Venga il Regno” è quindi un segno di accettazione ma anche di auspicio: si accetta che il tempo è passato ma ci si augura di agire sul presente con maggiore efficacia proprio in virtù del fatto che ormai hai regolato i conti con quel che sei diventato.

Mi raccontate qualcosa della scrittura di questo disco? Come avete lavorato? C’è stata qualche differenza nel vostro modus operandi rispetto a “Il primo lunedì del mondo”? 

Forse la vera differenza è che le canzoni sono nate con una spontaneità maggiore, con una certa facilità di scrittura.  Di più non saprei dirti, per la verità… 

Mi hanno colpito soprattutto due pezzi come “Anni di piombo” (che, tra parentesi, credo sia una delle cose più belle che abbiate mai scritto) e “Lettera di San Paolo agli operai”: mi piacerebbe che mi raccontaste qualcosa delle storie che ci stanno dietro… 

A titolo personale posso dirti che sono le mie due preferite. Come scrittore di testi vorrei che di me restasse il ricordo di queste due canzoni. Parlano entrambe della necessità di fare i conti con il passato, ma sono entrambe rivolte al presente.

Ho sempre pensato che non abbiate ancora ottenuto il successo che meritereste. Eppure, i vostri ultimi due dischi sembrano nel complesso più accessibili e mostrano anche una crescita artistica notevolissima. Non è che questa potrebbe essere la volta buona?

 

Francamente non mi sono mai posto questo problema. Sappiamo di essere un oggetto comunque difficile di marketing, ovunque tu ci metta. Pensa alle due canzoni di cui abbiamo appena parlato e chiediti ad esempio perché non ci hanno mai invitato al Club Tenco. La risposta è che seppure scriviamo anche canzoni come queste non andiamo in giro con la sciarpina da cantautori.

Del resto non siamo nemmeno il tipico gruppo indie. Insomma, siamo un’altra cosa. E’ normale che ci voglia un po’ di più per arrivare a noi, anche se quel che facciamo in realtà non ha niente che escluda nessuno a priori. Siamo un gruppo pop, nel senso nobile che io ritengo abbia questa parola: popular. E noi pensiamo che il popolo non vada preso per il culo. Che poi il popolo ami a volte farcisi prendere è un’altra questione! 

 

Di recente avete collaborato con Virzì nel suo ultimo film “Tutti i santi giorni”. Che tipo di esperienza è stata? Potrebbe aver contribuito a far crescere l’interesse nei confronti della vostra band

 

E’ stato molto divertente e stimolante. D’altra parte il film era tratto da un mio romanzo (Simone è anche scrittore e l’ultimo suo libro, “Sul lungomai di Livorno” è uscito a maggio per i tipi di Laterza. Il romanzo a cui si riferisce è invece “La generazione”, che ha rappresentato il suo esordio letterario NDA) e avevo contribuito in qualcosa anche alla sceneggiatura. Si è trattato insomma di una collaborazione a tutto tondo. Finita con la vittoria del David di Donatello: curioso che un riconoscimento di questo livello sia venuto dal mondo del cinema e non da quello della musica, non trovi?

 

So che il prof. Simone Marchesi, che insegna Letteratura Italiana a Princeton, ha scritto un libro sui vostri testi (“Traccia Fantasma”, uscito nel 2005). Che effetto fa vedere che i propri testi sono trattati in maniera accademica, alla pari di quelli di gente come Dylan, Cohen e affini? 

 

Posso essere sincero? Credo che lo meritino. Lo dico senza nessuna presunzione. So solo scrivere, e so farlo bene. Per il resto sono un piccolo borghese come milioni, uno che non è niente di che. Conosco i miei limiti e so cosa so e cosa non so fare. Per questo, come autore, ho più simpatia per me che per altri che a vederli sembrano Rimbaud ma poi scrivono come sedicenni innamorati del vocabolario.

 

Qualche battuta sui colleghi: so che siete molto amici dei Perturbazione. Che ne pensate del loro ultimo disco? Qualche settimana fa ho intervistato Emidio Clementi dei Massimo Volume, il quale mi ha parlato molto bene di voi. Ricambiate il favore? 

 

Ma certo che ricambiamo il favore! Mimì è una persona squisita e uno che sa scrivere davvero anche se frequenta un immaginario diverso dal mio. La stessa cosa per i Perturbazione, a cui sono legato da una profonda amicizia. 

 

C’è qualche artista giovane che ami particolarmente? 

 

Potrei dirti i Baustelle, naturalmente. O Pacifico. Ma per ragioni anagrafiche sono tutte figure di artisti che sento più vicine al mio mondo. Della nuova generazione, potrei dirti Vasco Brondi: ha una bella scrittura, con immagini a volte folgoranti.

 

Per finire: se doveste indicare cinque canzoni del vostro repertorio da fare ascoltare a qualcuno che non vi conosce per niente, quali scegliereste? 

 

Mi fido di te. Vorrei davvero che lo facessi tu al posto nostro.

 

E allora facciamolo! In ordine cronologico direi “Tutti al mare”, “La verità sul tennis”, “Dispetto”, “Lunedì” e “Anni di piombo”. Prendete nota e ci si vede in giro per l’Italia per il loro nuovo tour. Anche dal vivo, questa è una band che merita di essere goduta…