“Mi dici che voi 30 anni fa fermaste un po’ il mondo,  mi dicono che 20 anni fa era tutto diverso”. Venti anni sono passati anche dalla pubblicazione di questo verso di Senza Vento dei Timoria. Nell’ottobre 1993 veniva immesso sul mercato discografico, senza clamori e particolari battage pubblicitari, Viaggio Senza Vento. Ed era tutto diverso. A distanza di venti anni Viaggio Senza Vento rimane  il principale capolavoro della band nonché un album fondamentale del rock italiano.



Viaggio senza Vento è un concept album incentrato sulla figura di Joe, un ragazzo che non si riconosce nella società in cui vive e che, una volta ucciso il guardiano della prigione/canile, scappa e  compie un viaggio alla ricerca della libertà, della bellezza e di se stesso. La sonorità dell’album segna un ritorno al Progressive Rock anche se i brani svariano dall’hard rock al rock acustico, dal folk rock al jazz.



Nell’anno di uscita del disco  frequentavo la scuola superiore. Il Web, ancora in fase sperimentale, era usato solo dalla comunità scientifica e i budget delle major discografiche  facevano  ancora la differenza per indirizzare a piacimento gli acquisti musicali. Fondamentale era il passaparola a scuola. Gli acquisti musicali della classe venivano prontamente condivisi e la forma di commercio che andava per la maggiore era la mutua registrazione delle cassette. Ricordo ancora il capannello che si era creato intorno a quel nuovo CD di una tal band Bresciana, con la copertina dal disegno confuso e dalle tinte blu e gialle molto accese.  Quando ancora il packaging  dei CD aveva un senso, il libretto di Viaggio Senza Vento si apriva a doppio foglio A4  con al centro, tra i testi delle  ventuno canzoni, un’immagine che sembrava  sospesa nel tempo.  Dei ragazzotti in posa, che potevano essere  dei cappelloni di una comune Hippie, appoggiati su dei sassi a bordo di quello che sembrava essere un ruscello in mezzo al bosco. Sguardi persi, smarriti e fissi nel vuoto. Un immagine “Senza Vento”, immobile,  dai pochi colori sfumati. I Timoria di allora avevano quindi un volto:   quello di Omar Pedrini (chitarra, cori), di Francesco Renga (voce), di Enrico Ghedi  (tastiere, cori), di Diego Galeri (batteria, cori) e di Carlo Alberto Illorca (basso, cori).



Il compagno di classe che si era procacciato questa novità,  con fare profetico,  si rivolse a me dicendo: “questo album piacerà anche te”. Ai tempi appartenevo a quella schiera della classe più tradizionalista, legata ai grandi classici del Rock (AC/DC, Deep Purple, Rolling Stones, Dire Straits…) che tendenzialmente guardava con scetticismo alle nuove contaminazioni musicali, soprattutto se Italiane. 

Infatti dopo il primo ascolto, comunque orecchiabile  e  piacevole,  andava superato il pregiudizio legato al Rock nostrano.  Nel pieno del fenomeno Grunge, dove i Pearl Jam rispondevano con Vs. a In Utero dei Nirvana, andavano ancora  per la maggiore i Guns N’ Roses, che venivano dal successo dei due Use your illusion e gli U2 che portavano in giro il Tour di Zooropa.  Ben presto l’ascolto dei Timoria in classe diventò un ascolto di gruppo, colonna sonora di serate e di gite di classe.  Era figo dire che non solo li conoscevi ma che li ascoltavi anche e che magari li avevi pure visti in concerto.

Certo eravamo nei primi anni novanta e non nella seconda metà degli anni sessanta quando la pubblicazione di capolavori era all’ordine del giorno,  da  Bob Dylan con “Blonde on Blonde” a “The White Album” dei Beatles  passando per “Let it Bleed” dei Rolling Stones.

Il suono hard rock di Senza Vento:  “e son qui e non c’è niente… ma sono pronto per volare senza vento”  e la ballata soft di Sangue impazzito:  “Uomini, Domenica, gente che allegra va, risveglia la città…” sono diventati fin da subito i brani più importanti della band e degli inni di una generazione. Quello che più mi colpiva di questi due brani è che erano così diversi nello stile, rabbiosa Senza Vento e tristemente malinconica Sangue Impazzito, ma nel contempo entrambe così tremendamente drammatiche grazie alla voce struggente ed evocativa di Renga  ed alla musica di Omar Pedrini. E poi i testi, una volta tanto nella nostra lingua, favorivano l’analisi dei contenuti e gli spunti di discussione.  Del resto, tra gli altri italiani del mondo del Rock, i Litfiba scatenavano il loro Terremoto,  Vasco riempiva gli stadi e Ligabue se ne stava ancora al bar Mario. Grazie a Senza Vento, finalmente con orgoglio, nel giro di qualche mese  molte band giovanili avrebbero aggiunto al proprio repertorio,  oltre all’esecuzione  di cover internazionali, anche un po’ di Rock targato Italia. Ma questi non sono gli unici pezzi che vale la pena di ricordare.  Chi ha avuto il coraggio di percorre per intero il Viaggio senza Vento e quindi di proseguire l’ascolto sequenziale dell’album,  oltre alla doppietta magnetica delle tracce 1 e 3, ha fatto delle altre piacevoli scoperte. Ne La cura giusta  spicca il  flauto di Roberto Soggetti e il testo è pungente e amaro:  “qui c’è la cura giusta, per non guarire mai”. E ancora: “Un nome un Dio io non ho per cancellare il buio dentro me…ma il sogno non sparirà mai, è tutto quello che resta della mia dignità”. Joe continua il suo viaggio e dopo la Fuga  inizia il viaggio Verso Oriente, una canzone dolce e armoniosa cantata da Omar Pedrini e impreziosita dalla voce di Eugenio Finardi e dalle percussioni dello scomparso Candelo Cabezas. Mauro Pagani con il suo violino è invece ospite nell’ottimo folk rock Lombardia.  Freedom, piano e voce, è un inno alla libertà riconquistata in cui si può apprezzare l’estensione vocale di Renga ottimamente supportata dai cori della band. Dopo il rock melodico di La città del sole e lo strumentale distorto di La città della guerra si fa apprezzare Piove, violenta  come un temporale estivo. Ancora cori e intrecci vocali caratterizzano l’intensa  La Città di Eva in cui Pedrini trae ispirazione  da Dostoevskij: “ E ora si svelerà la bellezza che là salverà il mondo, tu la inseguirai” e si chiude con l’interrogativo: “Dove vai, dove vai uomo del mondo? Cerco chi è degno di me”.

Viaggio Senza Vento, distribuito dalla Polygram (Universal Music Group) è il quinto album in studio ed è stato il vero  disco della svolta che ha fatto conoscere i Timoria al grande pubblico.  Successo che li avrebbe portati in breve tempo ad esibirsi dal Circolino di Cusano Milanino al Palalido di Milano. Renga avrebbe poi registrato ancora due album con la band prima di dedicarsi interamente  alla carriera solista che l’avrebbe portato anche alla vittoria di Sanremo e al successo commerciale. Pedrini invece  è rimasto in sella alla band  fino al 2002 per poi dedicarsi a sua volta alla carriera solista (il quarto album è in uscita nelle prossime settimane) con alterne fortune. Il viaggio dei Timoria si è quindi interrotto e il rapporto tra i due leader guastato. Solo nel 2009,  dopo oltre  dieci  anni di incomprensioni, Pedrini e Renga si sono ritrovati sullo stesso palco a Brescia  in occasione di una serata benefica dove hanno cantato insieme Sangue Impazzito. Scena che si è ripetuta un paio di anni più tardi in occasione di un concerto di Renga a Bergamo.

Come ogni viaggio, anche quello dei Timoria ha una fine. Nel finale del Viaggio Senza Vento Joe decide di tornare a casa. Ne Il Guerriero,  traccia che chiude l’album, Renga canta: “un guerriero sa imparare ad amare il suo dolore….il guerriero è vivo ed è tornato con lo sguardo fiero e gli occhi lucidi… e sa dare un senso a giorni inutili”. Nel 1993 abbiamo incontrato Joe  sulla strada e  abbiamo fatto un tratto di cammino  insieme. Come riportato nel libretto dell’album:  “Ora un desiderio più forte lo conduce sulla via del ritorno, alla realtà, armato del suo sorriso e della sua esperienza”. 

Grazie ai Timoria abbiamo fatto un viaggio nel tempo  ma per noi il cammino continua,  fino a lassù, dove soffia forte il vento.