Molti conoscono la splendida sede romana dell’Académie de France: Villa Medici sulle pendici del Pincio con un panorama mozzafiato sul centro storico della capitale. Essa ospita borsisti (una quindicina per volta) della varie discipline artistiche (musica, scultura, pittura, letteratura, archeologia, storia e via discorrendo) per periodi tra i 12 ed i 18 mesi. Sono spesso destinati a diventare eccellenze nei loro campi. Pochi sanno che Villa Medici ospita, oltre a mostre, anche importanti Festival di musica classica e contemporanea. E’ appena terminato il Festival “Autunno in Musica”, che ha consentito di ascoltare opere note nelle rivisitazioni dei migliori musicisti ed ensemble, ma anche di scoprire tesori nascosti del patrimonio musicale, spesso legati alla storia del Prix de Rome.
La terza edizione di “Autunno in Musica” ha ripercorso, attraverso un programma originale e ricercato, una parte importante della storia della musica, dal Barocco al tardo romanticismo, un periodo fondamentale per i rapporti artistici tra la Francia e l’Italia. Il Festival è iniziato mercoledì 16 ottobre con un trio composto da tre grandi specialisti del repertorio barocco, Atsushi Sakai (viola da gamba), Julien Chauvin (violino) e Olivier Baumont (clavicembalo). Giovedì 17 ottobre è stato di scena uno straordinario quartetto di violoncelli, composto da due solisti di fama internazionale, François Salque e Xavier Phillips, e da due giovani talenti, Héloïse Luzzati e Hermine Horiot. Protagonista del concerto di sabato 19 ottobre è stata una figura prettamente romantica e spesso trascurata: quella di Félicien David, che con le sue Mélodies orientales e Brises d’Orient lanciò in Francia a metà XIX secolo la moda dell’orientalismo in ambito musicale.
La vera chicca per gli appassionati di teatro in musica è stata, venerdì 18 ottobre, l’occasione unica di ascoltare l’opera La Villa Médicis, composta da Jules Mazellier (1879-1959), vincitore del Prix de Rome nel 1909 e borsista dell’Accademia di Francia a Roma dal 1910 al 1913. La Villa Médicis, “commedia lirica” in tre atti dedicata a Villa Medici, in ricordo sempre presente e sempre più caro del suo fascino, narra la storia d’amore tra un pittore in residenza alla Villa e la sua modella. La pièce debuttò al Casinò di Nizza nel 1923, ma non fu mai rappresentata a Roma. Riscoperta l’anno scorso nella biblioteca dell’Accademia da un compositore in residenza, Francesco Filidei, l’opera viene allestita nel luogo stesso in cui si svolge l’azione e permette al pubblico di calarsi nell’atmosfera della Villa Medici dell’epoca. La Villa Médicis, rielaborata da Alexandre Dratwicki, direttore scientifico della Fondazione Palazzetto Bru Zane (anch’egli borsista a Villa Medici), si è tenuta nel Grand Salon in versione da concerto, nell’esecuzione di Virginie Pochon (soprano), Aurore Ugolin (mezzo-soprano), Florian Cafiero (tenore) e Jeff Cohen (pianista).
Non si sa se dopo la prima mondiale a Nizza, l’opera sia stata mai ripresa: non ce ne è traccia nei libri sulla musica francese del “Novecento Storico”. Probabilmente, i teatri sono stati dissuasi dal costo dell’intrapresa: 12 solisti, coro, grande organico orchestrale. In effetti,della partitura nessuna traccia sino a quando Francesco Filidei ne ha trovato, un paio di anni fa, un manoscritto coperto di polvere negli archivi di Villa Medici. Nella versione da concerto, è stato presentato solo il secondo dei due atti (e neanche per intero) per un 70 minuti circa (mentre il lavoro originale comporta tre ore di musica). Di cosa si tratta? Mazellier, autore anche del libretto, costruisce la propria opera su La Bohème –una Bohème che ha luogo interamente nella villa: il bosco, il parco, il “gran salon”, gli appartamenti dei borsisti (per questo motivo l’esigenza di tanti solisti che esprimessero le varie discipline artistiche).
Pur se l’opera è classificata come “commedia lirica”, è un dramma tragico; la modella romana Fiorellina non segue il pittore francese Gilbert a Parigi, quando quest’ultimo, ha terminato il soggiorno romano, ma si suicida avvelenandosi – una morte che dura gli ultimi quindici minuti del lavoro. Anche se ascoltata con solo l’accompagnamento del pianoforte, la partitura è molto interessante: su una base pucciniana (con un’evidente influenza anche di Massenet) si inseriscono richiami a Debussy (come Puccini farà in Turandot) ed anche a Casella. Al pari di quando avviene, ad esempio, in Manon Lescaut, le due scene del secondo atto sono interrotte da un complesso intermezzo sinfonico. Difficile dire quanto Mazellier chieda all’orchestra, è molto esigente, però, con le voci in termini di tessitura e registro. Il ventiquattrenne Florian Cafiero ha sfoderato un registro molto ampio da renderlo un perfetto interprete del repertorio verista e delle opera di Massenet e Verdi che richiedono tenori spinti. Il mezzo-soprano Aurore Ugolini, anche lei giovanissima, gli è stata di pari livello. La non più giovanissima Virginie Pochon sembra avere un timbro più adatto alla vocalità romantica, o anche barocca, che agli impervi ariosi e duetti del Novecento Storico. Uno spettacolo di livello che potrebbe servire a rilanciare Mazellier. E’ possibile che in questa versione da concerto l’opera si veda ed ascolti a Palazzetto Bru Zane a Venezia.