Simone Cristicchi porta in teatro “Magazzino 18” un’opera profonda – una sorta di musical civile – che racconta il dramma dell’esodo istriano, giuliano e dalmata: migranti costretti ad abbandonare la propria terra per andare incontro a miseria e morte. In un’intervista che il cantante romano ha rilasciato al Fatto Quotidiano (alla giornalista Elisabetta Reguitti) racconto cosa lo ha spinto a scrivere e a portare in scena “Magazzino 18”, raccontando di come non capisca l’etichetta che gli è stata appioppata di artista-schierato, sostenendo come non si sia chiesto cosa sia di destra e cosa di sinistra: voleva semplicemente ripercorrere la tragedia delle vite spezzate delle famiglie “rosse” e “nere”.
Lo spettacolo è partito con il botto: tutto esaurito alla prima al teatro Rossetti di Trieste. Ecco come l’artista rivive gli attimi prima di calcare il palcoscenico: “all’inizio si respirava tanta tensione che poi si è sciolta con qualche risata”. Ma le critiche per il contenuto si sono sprecate, soprattutto per la lettera di una bambina slovena che ricorda la morte del padre in un campo di concentramento, pretesto per accusarlo di giustificazionismo verso gli eccidi slavo-comunisti. “Personalmente non mi era mai capitato di andare in scena in un teatro all’esterno del quale c’erano le forze dell’ordine per timore di disordini. È stata la vittoria della gente che non ha voce, visto che con questo musical siamo riusciti a colmare il silenzio di tanti anni. Il lungo e ininterrotto applauso finale ha posto la parola fine su tutte le polemiche”. Cristicchi coglie l’occasione per togliersi qualche sassolino dalla scarpa, o meglio, scrollarsi di dosso la nomea che gli hanno cucito addosso. “Io sono schierato con le storie che racconto, dalle miniere alla seconda guerra mondiale, con tutte quelle vite che hanno fatto la Storia di questo paese indipendentemente dalle etichette di destra o di sinistra”. E la sua opera non è anacronistica, è di stretta attualità: “lo spettacolo si conclude con una frase che richiama l’attualità di tutti i profughi e gli esuli del mondo che fuggono dall’odio razziale, dalla fame e dalle guerre. Ieri come oggi. Di tutte quelle persone che hanno scelto liberamente di mettersi in cammino verso la libertà e la democrazia. Ho solamente voluto allargare la visione di questo fazzoletto di terra estendendola al mondo intero. Un punto di vista molto più ampio che da Trieste arriva fino a Lampedusa”.



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