Non capita spesso di intervistare una band che ha appena pubblicato il suo nuovo disco e nel frattempo si è sciolta. Al sottoscritto non era mai successo, almeno. E’ quello che invece è successo ai Civil Wars, un nome che visto come sono andate le cose, è tutto un programma, come si suol dire. Una guerra civile, una guerra interna che ha portato alla disintegrazione di una delle più interessanti realtà del neo-folk americano, fenomeno che in questi ultimi anni grazie al successo mondiale di gruppi come Mumford and Sons, Fleet Foxes o Avett Brothers ha riportato alla ribalta la grande tradizione musicale americana e anglo sassone. Anche i Civil Wars, benché ancora sconosciuti in Italia, hanno goduto di questo successo con il loro disco di esordio, “Barton Hollow“, premiato con ben due Grammy come miglior disco folk e miglior disco country. L’omonima pubblicazione che esce in questi giorni avrebbe dunque dovuto essere la consacrazione del duo, composto dalla bella e brava Joy Willliams e da John Paul White, seconda voce e straordinario chitarrista acustico. Magari avrà successo comunque, sta di fatto che a disco non ancora uscito i due hanno annunciato pubblicamente un momento di stasi e di ritiro dalle scene: non ci saranno concerti a promuovere l’uscita e nessuno sa se i due torneranno insieme.
Una storia tormentata, che ricorda frizioni interne tra membri dello stesso gruppo, ad esempio quella dei Fleetwood Mac che in mezzo a dissapori e storie d’amore andate male producevano il loro capolavoro “Rumours”. Nessuno sa il perché questa crisi: Joy e John Paul sono sposati con altre persone, ma è ovvio che le speculazioni siano dietro l’angolo. Nonostante tutto, la Williams ha accettato di promuovere il disco con interviste-verità che danno un’impronta ancor più drammatica e onesta alla musica di un gruppo che si eleva nel panorama mondiale musicale attuale. Ecco cosa ci ha detto Joy.
E’ una domanda che ti hanno fatto in tantissimi, ma ovviamente non posso esimermi dal chiederti come ci si senta a promuovere un disco nuovo sapendo che la band di cui fai parte e con cui l’hai registrato non esiste più.
Già, purtroppo è così, ma sto cercando di venire a termini con questo fatto. Nonostante tutto sono così orgogliosa e felice di quanto abbiamo prodotto che non posso tirarmi fuori. Sono ovviamente anche molto triste che John Paul abbia deciso di fermare la band, sono triste che non siamo qua a fare interviste assieme per promuovere il disco, ma sono comunque felice della musica che abbiamo fatto assieme.
Dato che è la prima volta che la vostra musica arriva in Italia, ci puoi dire qualcosa della tua vita, se prima dei Civil Wars hai fatto qualcos’altro, insomma le tue radici.
Sia io che John Paul ancor prima che nascessero i Civil Wars siamo stati nel mondo della musica per una decina di anni. Personalmente ho cominciato molto giovane, cantando in chiesa e incidendo dischi di musica religiosa e anche scrivendo per altri artisti.
Poi l’incontro con John Paul come è avvenuto?
Frequentavamo le stesse persone nell’ambiente musicale di Nashville, anche lui scriveva per altri e aveva molti progetti. Ci siamo incontrati nel momento giusto, quando tutti e due avevamo il desiderio di fare la musica che amavamo dentro di noi.
Cioè? Voi avete vinto un Grammy come miglior disco folk e uno come miglior disco country. Quale senti che sia la tua vera musica?
Folk è ok, anche Americana è ok. Va bene qualunque cosa possa mettere in contatto le persone secondo i loro gusti, anche se non mi piace chiudere la musica in una scatola e attaccarci sopra una etichetta. Tutti e due abbiamo fatto la musica che amavamo fare, quella con cui siamo cresciuti, una musica che esprimeva una comunità, un ambiente di persone unite. Personalmente sono cresciuta ascoltando la radio Top 40: musica jazz, musica classica, rock’n’roll.
In questi ultimi anni si assiste a un fenomeno affascinante, tanti giovani artisti guardano al passato, alla musica della tradizione popolare e hanno anche un notevole successo commerciale. Come te lo spieghi?
Non so dire esattamente perché questo succeda, ma è un dato di fatto. Credo che uno dei motivi perché la gente della mia età vada a recuperare la tradizione sia perché è musica fresca, viva, senza troppe produzioni sintetiche attaccate sopra per sfondare alla tv o in radio. Un altro motivo credo che siano i testi di questo tipo di canzoni: è di nuovo importante ascoltare testi che dicano cose vere, la vita di tutti i giorni, la sofferenza e la bellezza delle nostre vite. Che ci siano cioè delle melodie sostenute da liriche forti.
Parlando del nuovo disco, hai detto che è più onesto ed emozionale del precedente. Cosa volevi dire?
Il primo disco lo abbiamo scritto a Nashville, incontrandoci appositamente per scrivere le canzoni, oppure in Alabama, dove vive John Paul. Questo invece è stato scritto mentre eravamo in tour. Quando sei in giro per fare concerti la vita diventa un’esperienza della sopravvivenza, devi adattarti a tante cose, sei lontano da casa, ogni sera suoni in una città diversa. E’ allora che anche scrivere canzoni diventa qualcosa di più urgente, di più vero, qualcosa che arriva allo stesso tempo dal cuore e dallo stomaco. Insomma: più onesto ed emozionale, senza trucchi. Qualcosa con cui l’ascoltatore si può connettere in modo diretto, qualcosa di più provocativo e vero sula condizione umana.
Nel disco c’è un brano, Sacred Heart, cantato in francese: come mai?
Ho frequentato una scuola francese da ragazza e ancora adesso amo questa lingua, così romantica. Non voglio dirti che sia più romantica dell’italiano che è una lingua altrettanto meravigliosa, ma amo il francese. Nel nostro primo disco c’era un brano con il titolo in francese ma cantato in inglese, qui abbiamo fatto l’opposto. L’abbiamo scritta in una sera: c ‘era anche mio marito che era il nostro road manager, avevamo una buona bottiglia di vino rosso ed è venuto fuori tutto naturale. John Paul improvvisò una melodia su cui mi misi a cantare. Spero di aver fatto giustizia alla lingua francese… Mi piace mischiare mondi diversi.
Dust to Dust è un’altra splendida canzone.
L’abbiamo scritta in Inghilterra, anche questa di notte. Il testo ha a che fare con il senso di solitudine che tutti sperimentano nella loro vita. Quando ci sentiamo soli in realtà non lo siamo, c’è un posto dentro di noi dove la solitudine può essere qualcosa di meraviglioso e anche farti male. La solitudine è una grande insegnante nel corso della vita. Alla fine della canzone senti il suono di piedi che si allontano: ti riportano alla realtà che devi affrontare.
Che cosa succederà se non tornerete più insieme? Continuerai a fare musica anche da sola?
Credo ancora che tutto sia possibile con i Civil Wars, spero che non sia un capitolo che mi precluda la mia vita. Sono piena di amore, di passione per la musica e anche di ambizioni: ho intenzione di mantenere viva la mia passione per la musica, in qualunque modo sia possibile. E di essere più forte e gentile di quanto sia stata prima. Per cui sì, continuerò comunque a fare musica.