Sabato 23 novembre 2013 alle ore 18.00 è stata inaugurata al Teatro La Fenice la Stagione lirica 2013-2014 con una serata di gala fuori abbonamento; parte dell’incasso è stato devoluto agli aiuti alla Sardegna. Opera inaugurale: un nuovo allestimento de L’Africaine, opera in cinque atti di Giacomo Meyerbeer su libretto di Eugène Scribe, ultimo capolavoro del compositore andato in scena postumo, e fortemente rimaneggiato all’Opéra di Parigi nel 1865. La ‘prima’ in abbonamento è il 26 novembre.
E’ molto raro vedere un grand-opéra (il maschile è d’obbligo) sulle scene italiane. Il grand-opéra è indissolubilmente legato al nome di Meyerbeer anche se l’autore, peraltro berlinese non francese, ne compose soltanto quattro, di cui le più note sono Les Huguenots (presentato in versione ridotta alcuni anni fa a Martina Franca) e Le Prophète (grande successo al Metropolitan di New York quando venne ripreso nella seconda metà degli Anni Settanta).
Meyerbeer, prima di approdare a Parigi dove divenne uno dei personaggi più autorevoli della scena musicale, ebbe un fecondo periodo italiano – con sei opere molto modellate sulle ‘opere serie’ di Rossini. A Parigi produsse anche opere comiche di successo e partecipò pure al movimento che portò all’opera nazionale tedesca, Fu una figura di primo piano dell’opera europea ottocento.
La Fenice, uno dei teatri meglio gestiti d’Italia, gli dedicò nel 2007 l’inaugurazione della sua stagione lirica con la prima rappresentazione in tempi moderni del Crociato in Egitto, scritto per il Teatro veneziano nel 1824. Nel 2014 si ricorderanno i 150 anni dalla morte del compositore: occasione per proseguire un impegno di riscoperta e valorizzazione condiviso con alcuni dei massimi teatri d’opera internazionali. Interessante giustappore L’Africaine ai lavori di Verdi e Wagner nell’anno del bicentenario della nascita dei due compositori: mostra come il teatro in musica italiano e tedesco fosse sul solco dell’avvenire mentre quello francese fosse rimasto ancorato al passato , nonostante il ruolo centrale di Parigi nella cultura musicale europea.
Opera, incompiuta, di una vita, lungamente elaborata tra il 1837 e il 1864 e andata in scena postuma il 28 aprile 1865 all’Opéra di Parigi, L’Africaine sembra riunire in sé l’intera storia dell’opera francese sino a metà ’Ottocento la spettacolarità del grand opéra che anticipa il drame lyrique di fine secolo, sulla trama di un soggetto esotico incentrato sull’amore della schiava-regina Sélika per l’esploratore Vasco de Gama e sulla messa in discussione del pregiudizio culturale insito nel colonialismo e nello schiavismo europei. L’Africaine è l’ultimo esempio del ‘grand-opéra’ francese, a cui seguì, senza grande successo, un ‘grand opéra’ padano di cui si rappresenta ancora solamente ‘La Gioconda’ di Amilcare Ponchielli. Completata da un buon mestierante (di cui, però, Giuseppe Verdi aveva molta poca stima) François-Joseph Fétis. che la scorciò e rimaneggiò non poco, l’opera ebbe norme successo nella seconda metà dell’Ottocento (solo a Venezia si contano quasi sessanta repliche tra il 1878 ed il 1993 , seguito da un lungo oblio e da rare riprese dopo la seconda guerra mondiale.
La messa in scena comporta problemi scenici e vocali non semplici: frequenti cambiamenti di ambiente tra Europa, Oceani e Indie, un ruolo scritto per un mezzosoprano che deve giungere ad acuti impervi, un tenore ‘spinto’, ben 13 solisti, coro e corpo di ballo.
La drammaturgia di Leo Muscato mostra che , sotto un ‘polpettone’ storico sentimentali da film Anni Cinquanta, ci sono due temi fondanti (insoliti per l’epoca . 1840-1865 in cui il lavoro vene concepito): femminismo ed anti-razzismo. Le due protagoniste femminili (la portoghese Inès, Jessica Pratt, e l’indiana Sélika, Veronica Simeoni), pur rivali nell’amore dello stesso uomo (Vasco de Gama, Gregory Kunde) annichiliscono il protagonista maschile e sconfiggono sia il Gran Consiglio di Lisbona sia la corte Brahminica. Razzismo e colonialismo vengono poi denunciati senza alcuna remora (nonostante si fosse all’epoca bismarckiana degli Imperi extra-europei ). Le scene di Massimo Cecchetto ed i video di Fabio Massimo Iaquone e Luca Attilii utilizzano una pedana, attrezzeria e molta tecnologia (filmati anche delle ‘guerre d’Africa’ del 1911 e del 1936 e proiezioni su colonialismo ancora ai nostri giorni). Vengono creati effetti speciali da film spettacolare.
La partitura, quale completata dal buon Fétis, è accattivante e di facile presa sul pubblico del Impero (maschilista, razzista e colonialista). E’ un compendio dell’opera francese della prima metà dell’Ottocento al 1865, ossia dai lavori con una forte influenza rossiniana alla ‘tragédie lyrique’, al ‘grand opéra’ ai prolegomeni dell’ ‘opéra lyrique’ di Gounod. A differenza di altri lavori di Meyerbeer che, pur se berlinese, giganteggiava a Parigi (ad esempio, ‘Le Prophète’), però, manca coesione.
Ottimi i 13 interpreti vocali (con applausi a scena aperta ai tre protagonisti, nonostante un’imperfezione della Pratt nell’aria di entrata al primo atto, ed ovazioni finali a tutta la compagnia, specialmente a Kunde che affronta, a 60 anni, un ruolo davvero impervio). La concertazione di Emmanel Villaume, pur specialista di questo tipo di lavori, mi è parsa , il 23 novembre, un po’ esangue e priva dei colori orchestrali che richiederebbe un’intrapresa del genere.