Il tour di “Aspettando i barbari”, nuovo disco dei Massimo Volume, arriva finalmente a Milano. Si tratta di un’occasione importante per testare la resa live di un lavoro che (abbiamo già avuto modo di dirlo nell’intervista pubblicata a ottobre) ha sbaragliato la concorrenza in maniera disarmante e si è collocato di prepotenza tra le migliori uscite di questo 2013.
Il Magnolia è un posto dove la band bolognese è di casa (il sottoscritto ricorda soprattutto la splendida esibizione del Miami Festival del 2011) e Milano è una delle città che in assoluto li ama di più, una città dove risiede il grosso dello zoccolo duro che li segue sin dalle origini. Data privilegiata, dunque, anche se l’affluenza, pur consistente, risulterà inferiore a quella che ci si sarebbe potuti attendere. Colpa del giorno infrasettimanale, forse, o della concomitanza coi Virginiana Miller, che proprio quella sera presentavano il loro nuovo disco. Oppure, e sarebbe il caso di prendere in considerazione anche questa ipotesi, gli orari da vampiri che bisogna sopportare per assistere un concerto in Italia stanno finalmente cominciando a far desistere qualcuno.
Sia come sia, quando i quattro salgono sul palco accompagnati da un’intro vagamente psichedelica ed eccezionalmente lunga, il saluto del pubblico è forte e caloroso. Attacco veemente con “Dymaxion Song”, subito seguita da “La notte”, uno dei picchi più alti del nuovo disco. La differenza con gli show del tour precedente balza subito all’occhio e sono ovviamente i pezzi di “Aspettando i barbari” i responsabili principali di questo. Questa sera i Massimo Volume sembrano arrabbiatissimi, tirati allo spasimo, glaciali e concisi come le loro ultime canzoni. Ed è superfluo dire che ci piacciono da morire. I brani si susseguono uno dopo l’altro, in un ordine diverso rispetto alla tracklist originale ma vengono comunque eseguiti tutti. I timori della vigilia riguardo alla difficoltà di riprodurre le numerose sovraincisioni e campionamenti presenti si sono rivelati inutili. Alla fine la band ha optato per la soluzione più semplice: suonare tutto dal vivo e suonare l’essenziale, aiutandosi solo ogni tanto con qualche effetto pre registrato (come nelle battute iniziali di “Dio delle zecche”). Il risultato è straordinario: pezzi che risultano più scarni ma anche più freddi e tirati delle versioni in studio e che in generale acquistano nuova vita, con l’emergere di elementi nuovi che non avevamo avuto modo di sentire in precedenza. Merito di una formazione affiatata, composta da musicisti unici nel loro genere: la batterista Vittoria Burattini è un autentico metronomo e col suo drumming ossessivo e mai banale costituisce l’autentica colonna portante dello show assieme al basso di Emidio Clementi, che non fa mai cose trascendentali ma che si dimostra essenziale nel rinforzare la linea delle chitarre. Chitarre che, è giusto dirlo, in Italia non ha davvero nessuno. Egle Sommacal ha fantasia da vendere e uno stile riconoscibilissimo e i riff delle nuove canzoni sono tra le cose migliori che abbia mai fatto.
Il nuovo innesto Stefano Pillia (anche se in realtà sono già cinque anni che è nella band) costituisce più di un comprimario, andando ad intersecarsi perfettamente negli spazi del compagno e contribuendo a creare tessiture armoniche glaciali e inquietanti. La prima ora di show è tirata allo spasimo, con Clementi che declama i suoi versi in maniera intensa, dando peso ad ogni singola parola. Un recitativo, il suo, che è da sempre il marchio di fabbrica dei Massimo Volume e che nel corso degli anni è andato sempre più crescendo, amalgamandosi con le musiche è arricchendosi di sfumature inedite. Questa sera accade la stessa cosa coi pezzi nuovi: l’esecuzione live dona loro un’altra natura, li fa rivivere nel presente dello show e allora anche certe piccole modificazioni di tono, o la recitazione di certe frasi con maggiore enfasi o semplicemente ad un diverso volume di voce, costituisce un grande valore aggiunto a quanto già ascoltato.
La prima parte, dicevamo, è tutta dedicata al nuovo album, inframmezzata da tre estratti dal precedente “Cattive abitudini”, il disco che ha sancito il loro ritorno sulle scene. Un segnale chiaro, questo: il presente è tanto interessante quanto il passato, i Massimo Volume si sono riformati per suonare musica nuova, nella quale credono tantissimo (e ne hanno ben ragione!), per cui non hanno problemi a darla in pasto al pubblico.
Pubblico che su questo sembra ben in sintonia con loro: cosa strana in un concerto, i pezzi nuovi e quelli più recenti vengono accolti con entusiasmo e sembra non esserci quell’attesa isterica di vecchi classici che normalmente colpisce molti fan della prima ora.
Tra gli highlight di questa prima sezione, oltre alle cose già menzionate, non si può non citare “Le nostre ore contate”, il brano che forse maggiormente simboleggia quello che oggi è il gruppo bolognese, tornato sulle scene per la voglia e la passione di avere qualche cosa da comunicare, ma anche consapevole che gli anni passano e che un individuo non può essere appiattito sulo sulla sua vocazione artistica (“E ci sediamo in un camerino affollato, in un treno che parte, continuamente sospesi tra il nostro corpo e la scena (…) ancora presto per organizzare il nostro sgargiante declino ma non abbastanza da non averne un’idea”). Una versione, quella di stasera, al limite del commovente e che ha costituito anche un utile momento per rifiatare, dopo le bordate del nuovo disco.
Ogni esecuzione da “Aspettando i barbari” è stata memorabile. Sono tre però quelle che mi hanno più colpito: a parte “La notte”, che siamo sicuri col tempo diventerà un classico, sono state impressionanti la title track e “Silvia Camagni”, uno dei ritratti di persone per cui Clementi è famoso, qui particolarmente efficace nel tratteggiare la figura di una persona in fuga che, pian piano, riesce a trovare il suo posto nel mondo.
E poi la conclusiva “Da dove sono stato”, quella dove il frontman omaggia tutte le sue influenze letterarie e che questa volta viene dedicata, con un gioco che non è stato difficile capire, a “tutti voi che siete venuti a sentirci questa sera”. Lenta e pesantissima, molto di più che nella versione originale, è stato un modo bellissimo ma tutt’altro che liberatorio di terminare il set principale.
I bis sono tutti per i vecchi classici: si parte con “Il primo dio”, brano simbolo di questa band, quello che può vantare uno dei più bei riff di tutto il rock italiano. E poi il sorprendente ripescaggio di “Sotto il cielo”, dove i quattro si divertono con gli effetti e la tirano molto per le lunghe. Un gradito momento di atmosfera in un concerto così serrato. Dopo la parentesi sognante di “Coney Island”, ecco una rabbiosa versione di “Senza un posto dove dormire” e un’altra sorpresa: “Altri nomi”, dal controverso “Club Privè”, il disco che sancì lo scioglimento del gruppo. Un lavoro che aveva mille difetti ma che questa sera, almeno in questo estratto, funziona alla grande. Splendida l’interpretazione vocale di Clementi, avvolgenti le chitarre, pazzesco il tiro generale. Si tratta di uno degli episodi migliori della serata e fa venire in mente che si potrebbe pensare prima o poi di riregistrarlo tutto…
Il finale è un omaggio ai fan storici: “Fuoco fatuo” fa letteralmente impazzire le prime file mentre “Ororo” non è mai stata così deflagrante.
C’è poco da dire, arrivati a questo punto: i Massimo Volume stanno attraversando la fase più fortunata della loro carriera. Rimarranno sempre un gruppo di nicchia, probabilmente, ma questo non vuol dire che non si possa fare di tutto perché sempre più gente si innamori di loro. Dal punto di vista puramente musicale, quello del Magnolia è stato un concerto maiuscolo. Praticamente stiamo già aspettando che ripassino quest’estate.