La signora sussurra il blues mentre scopre le radici del soul, ovvero l’anima remota di un popolo che, soffrendo e implorando di essere accolto, si è mischiato attraverso una lunga storia di peregrinazione con quell’altra gente arrivata senza rete dall’Europa. Con quella canzone popolare nata da quella storia di distacco dall’origine e generatrice del folk, del rock e di tutte quelle esperienze che pongono sulla scena del mondo un lungo girovagare come crocevia per ricongiungersi definitivamente e con nuove immagini a quell’origine.
In “Soul to Soul” secondo disco della cantautrice Rita De Cillis viene tradotto in parole e note un momento particolare e decisivo della vita che assomiglia e forse si identifica con quello dell’esodo del cuore e dell’anima. Dove il predecessore “Yes” intendeva perlopiù celebrare con garbato entusiasmo l’immediatezza e la marcata evidenza di certi momenti gioiosi come incontri, nascite e crescite feconde di rapporti sbocciati come dono di grazia, in questo nuovo lavoro viene messa a tema tutta la pazienza e la durezza dell’esilio nel quotidiano e dell’eterno ritorno alla vita.
Incontri, desideri, riflessioni, inganni, spingendosi fino all’inconfessata autocospirazione, quasi a voler sposare il rumore come esorcizzazione per dire meglio qualcosa di sé lasciando tacere l’immensa profondità della propria essenza.
In tutto questo un solo compagno di viaggio musicale, il fido Walter Muto che traduce intenzioni e intuizioni nelle preziose scansioni delle sue corde che da elemento fisico si fanno riverbero e sussulto del cuore dell’autrice, dei suoi battiti, di entusiasmi, debolezze, confessioni e implorazioni d’aiuto. L’album della De Cillis mette a tema in maniera verticale e smisurata questi momenti di vita senza pudori e reticenze.
In apertura una Back Home che sotto l’involucro solare e aperto lascia intravedere come presagio il calice amaro di una rotta di sofferenze e contraddizioni. La title track e il suo imprimatur scanzonato e indulgente segnano la linea di demarcazione di quella che nella vita di chiunque sembra penetrare come una dura e feroce intrusione. L’imprevisto snervante, doloroso che quasi sempre si fa odioso e insopportabile.
Parte di questo è evidente nella riflessione di Free e assume connotati definiti in Every Step, canzoni che mettono a tema il naturale slancio umano alla ricerca di una completezza, quel tentativo tenero e inesorabilmente fragile di arrivarvi con la sola e nuda forza di un desiderio che non può bastare alla stessa sua immensità.
Ecco così un avvicendarsi che appare quasi concettuale nella sua drammaticità. Una Disilussion che canta di una nostalgia ferita che assume una inquietudine compulsiva nella coda solista scandita nota per nota e in maniera esemplare dall’acustica di Muto. E poi Original Sin dove quella stessa nostalgia svenata e sradicata si fa supplica, come una umanità che dopo aver imprecato a lungo si rialza nei minuti di recupero di una vita. Il tutto sottolineato da una voce che reclama bellezza con il cuore in gola senza trattenere un pianto che ha l’audacia di chiedere un nuovo mondo di redenzione in quel vecchio mondo che appare sempre più tremendo e ostile.
Hail Mary – nient’altro che la semplice e tradizionale Ave Maria della tradizione vestita di suggestioni americane – trasforma quel fiducioso affidarsi in una breve epilogo strumentale che riporta a certe sarabande folk del Branduardi d’annata. La danza è qui rinascita scoperta e vissuta nel prezioso e insostituibile sguardo di chi restituisce oggi come nuova quella sola grande maternità che porta in grembo le maternità abbandonate o perdute nel corso della vita.
La conclusiva Au Clair de la Lune è una fine che sembra celebrare un nuovo inizio che è un procedere eterno. Un cuore per sempre giovane che si riempie di luna, stelle e di un desiderio che finalmente respira luce e silenzi. Una ballad che forse rappresenta il frutto più maturo della scrittura dell’autrice. Il suo canto semplice e lineare si approfondisce coniugando schizzi luminosi con sfumature ambrate, folk singer serenade con il playing percussivo di una chitarra che tira giù appunti e armonie sudamericane.
Un lavoro nato dalla preziosa collaborazione della De Cillis con Walter Muto (che si occupa anche delle rare e leggere sottolineature percussive) e il cantautore-produttore Ivano Conti. Gli avventurieri di RD Rock si sono rimessi in marcia. Intorno a loro vite che corrono in parallelo, affetti e un misterioso custode che se ne prende cura generando un mondo che ne chiede l’insostituibile contributo. Quello che si può toccare con mano nell’ascolto di questo bel disco che segna le tappe infinite di una storia di ringraziamento.