Un uomo solo cammina per le strade di notte. Ha un dolore profondo nel cuore, come se avesse ingurgitato ogni sorta di veleno. Lei se ne è andata e non riesce ancora a crederlo possibile. Si spinge fino alla casa di lei, col desiderio di riparare a uno sbaglio fatto, ma quelle finestre è come se gli dicessero “vattene!”. E lui riprende a vagare, in una città illuminata a festa, come un ubriaco che canta stonato.



La festa intorno, il dolore nel cuore. E’ un tema antico, caro alla poesia di sempre, specie a quella d’amore. E non c’è bisogno di scomodare la reverdie dei trovatori, perché lo trovi anche nei versi di una canzone popolare: “Dintra a lu me’ giardinu rosi janchi/ nasciunu ‘nta ‘na festa di culuri…/ ma di li rosi tu rigina manchi,/ sciatu dell’arma mia, sciuri d’amuri…”. L’uomo non è fatto per la solitudine, ha bisogno di una presenza. Senza di quella, gli manca il respiro, il fiato.



L’immagine che ho citato in apertura è tratta dalla bellissima Christmas lights dei Coldplay, scritta per il Natale 2010, una canzone che non finirei mai di ascoltare. Perché qui la senti la tristezza, la malinconia, la sofferenza di un uomo che ha toccato il fondo. E chissà quanti ce ne saranno, di uomini così, in questo Natale. Chissà per quanti Christmas night farà rima con fight (lotta). Chissà quanti piangeranno un diluvio di lacrime (“tears we cried a flood”). Ed è proprio nella notte di Natale che il dolore si farà più forte, in mezzo alle città parate a festa, piene di luci colorate che tremolano e fluttuano nell’aria.



Allora magari qualcuno si troverà a gridare qualcosa di simile a questi versi: “When you’re still waiting for the snow to fall/ doesn’t really feel like Christmas at all”. Che è come dire che di fronte alla serietà della vita, di fronte al suo dramma, al suo dolore, con la spina lancinante di un cuore che cerca e attende, il Natale, questo Natale neopagano odierno, questa festa dei buoni sentimenti, con tutta la sua retorica, le sue immagini stereotipate, il suo moralismo (il Natale del “si può fare di più”, del “fate i buoni!”, del “war is over if you want it”), il suo vago e spettrale “spirito” dickensiano, il suo cocktail di infantilismo e buonismo, questa ricorrenza qui non dice proprio niente. Non riesci nemmeno a sentirla.

Se il Natale è la festa della famiglia, non c’è Natale per chi la famiglia non ce l’ha più. Se il Natale è la festa dei doni da dare e da ricevere, allora non è Natale per chi ha bisogno di un dono grande che non arriva. Se il Natale è la festa della luce, allora non c’è Natale per chi brancola nelle tenebre.

Il nostro Natale, quello consumista e neopagano che viviamo oggi (quello che si scrive XMas, in modo da eliminare anche visivamente Cristo dalle pagine), non regge all’urto della realtà e dell’attesa del cuore. E’ solo una bella favola, una bella illusione, un sentimento irrazionale, una coperta riccamente decorata che si stende su un abisso vuoto: “When you’re still waiting for the snow to fall/ doesn’t really feel like Christmas at all”.

Eppure l’uomo non riesce a rassegnarsi, e allora si alza il grido, la preghiera. A chi? Alle Christmas lights, alla luci di Natale, visto che non si riesce più a pregare Dio. “Che lei torni da me”, che torni la presenza, che nel giardino, nell’aiuola, torni lei, la regina dei fiori, lo “sciatu dell’arma”, questo è il desiderio. E le luci natalizie si trasformano in “chandeliers of hope”, candelabri di speranza, che recano in sé qualcosa del mistero divino (splendono “laggiù dove s’incontrano la città e il mare”), che possono, forse, allontanare presto i dolori dell’anima,  riaccendere la luce nel cuore. Forse. Magari. E, allora, “Oh Christmas lights keep shining on”!

Viene quasi da piangere, di pietà e di tenerezza, su questo uomo che brancola nel buio e che cerca la luce, nella notte di Natale. Viene da piangere a pensare che la notte di Natale è la commemorazione del più grande evento della storia umana, la notte della luce, della luce vera, la notte di Colui che ha detto: “Io sono la luce del mondo”, una luce che ancora oggi le tenebre non riescono ad accogliere. E però la canzone dei Coldplay ha il merito, se non altro, di tenere vivo il grido e il desiderio. Perché è un uomo vero, autentico, quello che grida e domanda. E perché, come qualcuno ha osservato molto giustamente, sarebbe del tutto inutile la risposta ad una domanda che non si pone.

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