Questa canzone non è una canzone di Natale, ma è anche una canzone di Natale. Qualcuno, su questo giornale, giorni fa scriveva che “ciò che serve al Natale è un desiderio, il desiderio magari lancinante che qualcuno venga, che qualcosa accada”. Se il Natale si attende – perché lo attendono tutti, belli e brutti anche chi non lo vuole ammettere –  questa canzone parla di questo. Nel buio della notte più profonda, nella solitudine dell’abitacolo di una macchina, nell’incertezza che qualcuno ti stia veramente aspettando, con a fianco un regalo banale come un paio di scarpe nuove, un uomo attese qualcosa.



Probabilmente è ancora una attesa insicura e incerta quella che viene cantata, ma d’altro canto la vita stessa è una attesa che aspetta di compiersi tra mille dubbi, attraverso i segni, attraverso il desiderio del cuore, che più di ogni altra cosa grida un desiderio implacabile: che la nostra vita si compia nel suo significato, che cioè il nostro desiderio non sia solo un insieme di apparenze, ma uno incontenibile. Quando questo compiersi potrà accadere definitivamente, non è compito nostro saperlo. Compito nostro è semmai cogliere i segni di questo compimento giorno dopo giorno, e in mezzo ecco il Natale il segno più clamoroso ed evidente del compiersi dell’attesa. 



Quando Bruce Springsteen incide Drive All Night, per alcuni un riempitivo, per altri un capolavoro, per molti una delle canzoni passate maggiormente inosservate su un disco scoppiettante di grandi e maestose canzoni (“The River”, uscito nel 1980) ha appena compiuto trent’anni, sta passando all’età adulta ed è pieno di incertezze e paure. Ha ottenuto un buon successo in madrepatria, ma è in quel punto di svolta dove potrebbe perdere tutto o diventare una star mondiale (succederà la seconda cosa, come tutti sanno). In più si porta dentro fantasmi e angosce di un rapporto mai risolto col padre: potrebbe sprofondare nel buco più nero, e in realtà come ha raccontato lui stesso ci è caduto in questo buco della depressione, ma riuscirà a uscirne. 



Drive All Night in quel disco così pieno di dichiarazioni di intenti è un enigma, una ballata country gotica e notturna, misteriosa e deprimente, apparentemente fuori posto in quel disco. Si porta dentro un urlo e una ferita sanguinante. Col senno di poi si capirà perché. 

Qua c’è un uomo solo che sta guidando nella notte, ai confini delle brutture della civiltà moderna, macchine in affitto e fiamme, fuoco alla periferia della metropoli. Uno scenario da Blade Runner. E’ solo, terribilmente solo in un paesaggio da incubo. Giura, promette a se stesso che guiderà tutta la notte fino a raggiungere il suo amore perduto, che quando ha perso lei, dice, ha perso anche il suo coraggio di essere uomo. Vive come tutti gli altri, come prigionieri nel caldo della notte per tutta la vita. Hanno perso, abbiamo perso il significato del nostro esistere, dei nostri gesti, e adesso tutto quello che desidera e stringerla ancora una volta. E desidera una cosa, desidera che Dio gli mandi una parola – chi non desidera che Dio ci mostri un segno, anzi il Suo volto, ha già perso la propria vita – gli mandi qualcosa che però ha paura di perdere allo stesso tempo. Quest’uomo al volante sa che la nostra fragilità è tale che se anche Dio ci mandasse quel segno saremmo capaci di perderlo o non accorgercene neanche. 

E allora potrebbe anche bastare una piccola cosa, piccola come comprare per lei un regalo, un paio di scarpe, e sentire il suo profumo ancora una volta. Non è la notte di Natale, ma potrebbe esserla. Le condizioni ci sono tutte, anche un regalo. Stanotte, poi, canta, ci sono angeli caduti e ci aspettano per le strade: sono angeli o demoni? Lasciamoli andare. Stanotte ci sono facce sconosciute che ci chiamano: stanno piangendo la loro sconfitta. Lasciali andare, stanotte lasciali andare. Lasciali compiere il loro ballo della morte: tu, ragazza, hai invece tutto il mio amore e la mia anima. Potrebbe essere la notte di Natale, dove tutto si compie. 

 

Così cantava Bruce Springsteen allora, e così oggi canta Glen Hansard, il più credibile erede di quello Springsteen. Cantore di anima e cuore – “heart and soul”, come dice la canzone -, come Van Morrison, come Dylan, come lo stesso Springsteen e Leonard Cohen. Se la notte della vigilia di Natale andrete in Grafton Street nella sua Dublino potrete essere sicuri di trovarlo là a cantare canzoni di Natale come un qualunque busker insieme ai suoi amici: gente come Bono o Sinèad O’Connor per dirne due. In mezzo alla gente, la sua gente, tutti cuori in attesa di qualcosa che stravolga la lor stessa attesa. Santi e peccatori, possono solo cantare questa attesa. E accadrà che canti anche questa Drive All Night, che Hansard canta spesso, incisa recentemente in una versione che supera anche l’originale, diventi una canzone di Natale. In questa incisione il mistero che Springsteen aveva lasciato adagiato in essa, sembra svelarsi. insieme ad alcuni amici. Il cantane non è più solo: con lui ci sono degli amici,  Eddie Vedder dei Pearl Jam e Jake Clemons, nipote di “quel” Clarence Clemons. 

Una versione la sua, lunga quasi dieci minuti, totalmente alla Van Morrison, dove tutto il mistero dell’originale si dispiega in un urlo intrattenibile, dove il mistero si svela e dove guidare nel buio della notte della vita diventa l’attesa di quel compimento.

Questa canzone non è una canzone di Natale, ma è anche una canzone di Natale. 

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