La Lauda per la Natività del Signore di Ottorino Respighi (1879-1936) è tra le più suggestive e originali composizioni musicali di ispirazione natalizia; si tratta di un brano per soli, coro e piccolo ensemble strumentale che Respighi compose tra il 1928 e il 1930, utilizzando come testo un’antica lauda umbra (per molto tempo attribuita a Jacopone da Todi) che sviluppa drammaticamente il racconto della nascita di Cristo fatto da Luca nel suo Vangelo.



Respighi è stato uno dei compositori italiani più significativi di inizio Novecento: la sua musica, pur facendo proprie alcune delle novità musicali del suo tempo, in fondo non abbandona mai il linguaggio musicale tradizionale, che viene semmai rivitalizzato da una costante rievocazione e riscrittura della tradizione musicale italiana del passato. Il risultato sonoro è di grande fascino e comunicatività, come  dimostrano le numerose incisioni ed esecuzioni, ancora oggi, delle sue composizioni (tra le più celebri la cosiddetta Trilogia romana, che comprende tre poemi sinfonici – Le fontane di Roma, I pini di Roma, Feste romane – e alcune affascinanti orchestrazioni di musiche italiane del 500-600, le tre serie di Antiche arie e danze per liuto).



Nella Lauda per la Natività del Signore ritroviamo i tratti principali dello stile compositivo di Respighi, ma anche qualcosa di più: un’intimità e un respiro quasi arcano che non si spiegano soltanto con i continui richiami a modalità espressive di mondi musicali lontani. Si nota invece, fin dall’inizio, come ogni elemento musicale vada ad aderire, senza sfarzi o compiacimenti sonori, al racconto di quella misteriosa notte e ai sentimenti che via via animano i protagonisti dell’evento narrato (i pastori, gli Angeli, Maria).

Ma andiamo con ordine. Innanzitutto esaminiamo l’organico strumentale scelto da Respighi, particolarmente sobrio ma allo stesso tempo incisivo: due flauti, un oboe, un corno inglese, due fagotti, un pianoforte suonato a quattro mani e un triangolo. A dominare sono i fiati (tutti della famiglia dei legni) che creano fin da subito quel carattere pastorale che caratterizza l’intera composizione.



La Lauda si apre su di un cullante tema esposto dall’oboe, al quale subito segue il corno inglese e via via tutti gli altri strumenti a fiato: è una nenia dolce e misteriosa, motivo principale della composizione, che riesce a racchiudere in poche note il mistero che si sta compiendo. Dopo questa breve introduzione strumentale ecco che potente emerge la voce dell’Angelo (soprano) ad annunciare il «gaudio fino» della nascita di Cristo.

Angelo:

Pastor, voie che vegghiate

Sovra la greggia en quista regione;

I vostr’occhi levate,

Ch’io son l’Agnol de l’eternal magione.

Ambasciaria ve fone

Ed a voie vangelizzo gaudio fino,

Ch’è nato el Gesuino

Figliuol de Dio, per voie salvar mandato.

Al canto dell’annuncio dell’Angelo (che ha i suoi due vertici nelle parole «i vostr’occhi levate» e «per voie salvar mandato») segue l’intervento dell’intero coro angelico, che descrive ai pastori ancora attoniti i segni dai quali potranno riconoscere che quell’annuncio è vero; un canto corale sommesso che man mano si anima fino all’ultimo verso, ripetuto due volte.

Coro degli Angeli:

E de ciò ve dò en segno

Ch’en vile stalla è nato el poverello,

E non se fa desdegno

Giacere in mezzo al buove e l’asenello.

La mamma en vil pacello

L’ha rinchinato sovra el mangiadoio.

De fieno è ‘l covertoio,

Ed è discieso così humiliato.

 

La prima parte della composizione si conclude con la ripetizione dell’annuncio dell’Angelo, che si intreccia al coro di tutta la schiera angelica. Un breve raccordo strumentale ci porta all’intervento dei pastori: prima sentiamo la voce di un solista con un canto sommesso, timoroso, eppure di grande intensità.

 

Pastore:

Segnor, tu sei desceso

De cielo en terra sico l’Agnol parla,

E haine el cuore acceso

A retrovarte in così vile stalla;

Lasciane ritrovalla

Che te vediam vestito en carne humana.

 

Successivamente la musica comincia ad animarsi: i pastori, finalmente giunti davanti al bambino, a Maria e a Giuseppe, hanno la conferma che quanto annunciato dagli Angeli è vero.

 

Pastori:

Ecco quilla stallecta:

Vedemce lo fantino povero stare.

La Vergin benedecta

Non ha paceglie nè fascia per fasciare;

Joseppe non la pò ‘itare

Ch’è desvenuto per la gran vecchiezza,

A povertà s’avvezza

Quil ch’è Signor senza niun par trovato.

 

Dopo i pastori è il momento di Maria: è un canto malinconico il suo, sostenuto dalla voce lamentosa del corno inglese; la musica sottolinea il tema della povertà in cui si è venuto a trovare il figlio di Dio, e la fragilità, quasi l’impotenza della Madre davanti al suo «figliuol tenerello».

 

Maria:

O car dolce mio figlio,

Da me se’ nato mo’ sì poverello!

Josepe el vechiarello

Quil ch’è tuo bailo, qui s’è adormentato.

 

Ma gradualmente, dalla contemplazione del suo stesso Figlio, che è lì tra le sue braccia, ecco che anche il timore, la preoccupazione, lasciano il posto al «gaudio eterno» (la musica si apre) che dona la Sua presenza, che investe Maria e poi tutti gli altri personaggi.

 

Maria:

Figliuol, gaudio perfecto,

Ched i sentie a la tua nativitate!

Strengendomet’al pecto,

Non me curava de nulla povertade,

Tanta suavitade

Tu sì me daie de quii gaudio eterno,

O figliuol tenerello.

 

Coro:

O fonte d’aolimento,

Co’ tanta povertà te se’ inchinato.

 

Segue un dialogo tra Maria e i pastori, inframmezzato da un sommesso accenno di lode da parte degli angeli:

 

Maria:

Figliuol, t’ho partorito!

En tanta povertà te veggio nato!

Tu se’ Edio enfinito,

Che per l’humana gente s’è encarnato.

Non ho dua sie fasciato:

Volete fasciare con quisto mio pancello,

O figliuolo poverello,

Co l’ha promesso el pate tuo biato.

 

Pastori:

Toglie nostre manteglie

E non te fare schifa, o madre santa,

Vestir de povereglie

Chè stanno en selva colla greggia tanta.

El tuo figliuol ammanta

Che non alita el fieno sua carna pura.

 

Coro degli Angeli:

Laude gloria ed onore

A te, sire del cielo onnepotente.

 

La contemplazione dei pastori del Bambino diventa poi accorata invocazione (un bellissimo momento corale) affinché tutti gli uomini possano essere illuminati, come loro, dal dono della Sua presenza:

 

Pastori:

Segnor, puoie ch’hai degnato

De nascere oggi sì poveramente,

Da lume a tutta gente

Che null’uomo sia de tal dono engrato.

 

Segue un momento solo strumentale, quasi eco sonora dell’adorazione, e infine l’ultima parte del dialogo tra i pastori e Maria, in cui Respighi sottolinea in particolar modo l’umana concitazione dei pastori che chiedono a Maria di poter toccare Gesù, seguita dalla risposta rassicurante di Maria.

 

Pastori:

Contenti n’anderamo

S’un poco noie ‘l podessemo toccare;

E però te ne pregamo

Quanto noie siam pastor de poco affare.

 

Maria:

Vogliove consolare

Perché tornate lieti a vostra gregge

Quel ch’è fatto legge

Acciò che ‘l servo sia recomparato.

 

Sulle parole di Maria si apre, infine, senza soluzione di continuità, il canto di gloria. Per un momento l’atmosfera pastorale fin qui dominante lascia il posto a un canto di esultanza nel quale Respighi infonde dentro una sonorità più moderna (ai fiati si aggiungono il pianoforte e il triangolo) un solenne contrappunto dal sapore barocco.

 

Coro:

Laude, gloria e onore

A te, Sire del cielo onnipotente!

Gloria in excelsis Deo

E ‘n terra pace a chi ha el buon volere.

 

Segue un episodio più disteso:

 

Al mondo tanto reo

Tu se’ donato non per tuo dovere,

Ma sol per tuo piacere.

Noi te laudiam, Signore,

Glorificando la tua maestade.

 

E quindi la coda della Lauda. Ormai non c’è più nulla da aggiungere: Maria, quasi come una preghiera, canta come il suo cuore, ormai «distemperato», senta un «gaudio nuovo» che tutto rinnova; quasi a dire che questo gaudio è inesprimibile, Respighi estaticamente immobilizza il canto di Maria su di una sola nota. Solo l’angelo ancora innalza la sua voce, ribadendo l’annuncio iniziale («è nato el Salvatore), mentre ai pastori non resta che darne conferma. Intanto è riapparsa la melodia dei fiati sentita all’inizio, che avvolge ogni cosa e ogni cosa  ricomprende nella sua misteriosa tenerezza.

 

Maria:

Tenuta so a Dio patre

Rendere onore e gloria in sempiterno

Pensando ch’io son matre

Del suo figliuolo, el quale è Dio eterno.

E tanto è ‘l gaudio superno

Basciando ed abbracciando sì car figlio

Bello sovra onne giglio,

Ch’a me el cuore è si destemperato.

Io sento un gaudio nuovo

E tutta renovata io so en fervore.

 

Angelo:

Or ecco ched è nato el Salvatore!

 

Coro:

Amen.

 

[link per l’ascolto: https://www.youtube.com/watch?v=sNopqAYGq-c]

(Gianni Salis) 


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