4 dicembre 1993: muore a Los Angels Frank Vincent Zappa, per tanti ‘Zio Frank’. Vent’anni e 14 giorni dopo a Milano si è celebrata la musica di questo compositore dedito al rock.
Non ci è stata rivelata la secret word della serata (sospettiamo fosse “dumas”). Ma soprattutto: “Perché Milano celebra Zappa il 18 dicembre e non il 4?” come si è chiesto il gran cerimoniere della serata. Rimarrà uno dei grandi enigmi della storia.
‘The grand Wazoo’ si muoveva a suo agio tanto tra le partiture di musica classica contemporanea quanto tra le armonie vocali del doo-wop, il blues e tutto ciò che è arrivato a portata delle sue orecchie. Riusciva ad assorbire qualsiasi cosa e rimasticarla nel suo stile dadaista e trash (quando non esisteva ancora il trash) come elemento unificante di tutto il materiale sonoro. Senza scissioni di personalità si è dunque svolta una serata che prevedeva la presentazione del libro “Frank e il resto del mondo” (uscito incredibilmente proprio il 4 dicembre) di Alessandra Izzo, amica di Zappa che ha introdotto con un dialogo con l’uditorio all’universo del nostro.
Il libro è una serie di piccole interviste a varie persone che hanno conosciuto il musicista di persona. Una galleria di personaggi variopinti che già di per se incuriosisce e rende l’idea della personalità dell’uomo e del compositore. Bella ad esempio la storia di Ferdinando Boero, un professore studioso di meduse che volle fortissimamente conoscere Zappa e per strappargli un appuntamento gli offrì tramite una lettera di dare a una nuova medusa il suo nome (Phialella Zappai). Suscitò la curiosità (e l’ego) del nostro che l’ospitò per un mese in casa sua. Nacque una forte amicizia, basata su discussioni di economia, religione, politica, filosofia. Per “Lonesome cowboy Nando”, Zappa era un filosofo della continuità concettuale, analogamente agli studiosi di ecologia e dell’evoluzione, che si confrontano quotidianamente con il principio di indeterminazione di Heisenberg. Produceva suoni, ma in realtà era un filosofo. Un saggio che offre alcuni spunti di riflessione. Treves racconta che nel 1990 il sindaco di Milano (Pilliteri) gli rifiutò la scala per una opera rock.
Partecipavano alla presentazione e al dibattito annesso anche Claudio Trotta, Ezio Guaitamacchi, Fabio Treves, raccontando in un’atmosfera molto informale aneddoti di vita vissuta con il musicista americano e rispondendo alle domande dei convenuti. Tra i vari argomenti trattati, il rapporto di Zappa con la world music, confrontandolo ad esempio a un Peter Gabriel. A differenza dell’opinione della scrittrice, riteniamo che l’approccio tra i due sia comunque fondamentalmente diverso. Per Zappa non esisteva una world music, esisteva solo la musica (un “unico” appunto) e il solo criterio decisionale, soggettivo, fosse che in quello che ascoltava in quel momento ci fosse qualcosa di interessante. La sua sbalorditiva, profonda conoscenza della musica (frutto anche del passare anche 18 ore al giorno a scrivere e provare musica, per tutta la sua vita) gli permetteva di trovare in quello che ascoltava nessi tra le varie le forme musicali come pochi altri. Anche quando si trattava (vedi gruppi come Huun Huur Tu o vari bluesman) di musica impossibile da trascrivere, ovvero apparentemente lontana dal suo modo di procedere, in quanto fondamentalmente un compositore occidentale. Questo dà la misura della sua genialità. Significativo un episodio riportato nella biografia di Barry Miles: negli ultimi mesi della sua vita, i Chieftains stavano incidendo nello studio di Zappa, ma non riuscivano a completare la registrazione di “Tennessee Waltz”. Frank si stava recando all’ospedale per le cure e si fermò qualche minuto per ascoltarli. Diede alcuni suggerimenti a Paddy Moloney (!) e la situazione si sbloccò. In pratica spiegò ai Chieftains come suonare da Chieftains (e stiamo parlando di musicisti che della musica irlandese ti sanno dire anche da quale sasso dell’Irlanda proviene quella nota di quella certa canzone). Al suo funerale volle che venisse suonata proprio la loro canzone ‘The Green Fields of America’
Alle 20,30 l’orchestra ‘laVerdi’, diretta dal maestro Danilo Grassi, presentata in veste dimessa, come un sacrestano che dà informazioni ai turisti nella chiesa, da Elio (Delle Storie Tese: potrebbe essere un cognome d’arte). Il programma prevedeva musiche per orchestra di Zappa o di autori a lui cari come Edgard Varese che è stato il suo modello compositivo (simpatici gli aneddoti riportati a proposito nella biografia) e Igor Stravinsky. Di Zappa sono state eseguite Dupree’s Paradise e Perfect Stranger (dall’album omonimo) e una parte dell’album Yellow Shark (“Outrage at Valdez”, “Dog/Meat”, “Get Whitey”, “Be-pop tango”). A terminare il programma il sentito omaggio a Venezia, “Questi cazzi di piccione” (esecuzione doverosamente umoristica con tanto di pistole giocattolo) e “G-Spot Tornado” (che detiene un record inviso al “sacrestano”: unico pezzo strumentale ad avere avuto il bollino “Parental Advisor”).
La partitura per le composizioni di Yellow Shark sono sembrate rispetto alla versione originale con troppi musicisti; in particolare i violini di seconda file, sacrificati in certi momenti e in altri troppo presenti. Si poteva inserire nel programma una composizione tipo “The Girl in the Magnesium Dress” (vicina agli impasti varesiani) e la caustica “Food Gathering in Post-Industrial America, 1992”. Grandi apprezzamenti, meritati, per “Dog/Meat”, “Get Whitey”, “Be-pop tango”, composizioni originali e solide, che sembrano dare ragione al giudizio di quella parte della critica musicale (ad esempio Scaruffi) riconosce in Zappa un autentico compositore del ‘900, che fonde tutti i generi del secolo passato e probabilmente per questo rimarrà nella storia della musica. Alcuni critici (quello che avrebbe forse fatto Zappa se mai avesse perduto l’ispirazione, sbeffeggiando la categoria) fanno rientrare il suo repertorio nella definizione di musica totale. In serate come queste, diventa evidente come Zappa si sia approcciato al suo lavoro come appunto un compositore e questo fa si che le sue composizioni funzioni in contesti anche molto diversi tra loro (dal piccolo gruppo alla grande orchestra) senza bisogno di aggiustare granché. Inoltre quasi tutti i suoi lavori stanno dimostrando di non risentire del passare del tempo.
A seguire, la serata è proseguita con il concerto degli “Ossi Duri”: il ventennale gruppo torinese (fondato guarda caso l’anno della scomparsa di Zappa), ha per un’ora e mezza spaziato dagli anni ’70 fino all’ultimo periodo. Gli arrangiamenti erano quelli degli anni ’80, eseguiti in maniera impeccabile e con l’adeguato spirito richiesto dal tipo di musica. Notevoli le parti vocali, degni della “best band”, tutti ottimi gli strumenti (basso, batteria, due tastiere, chitarra e xilofono). Raggiunti da Elio , decisamente a suo agio con la musica zappiana, il livello della serata si è alzato ulteriormente (d’altronde già collaborano da anni). L’esecuzione di “City of tiny light” non ha aveva niente da invidiare a quella “ufficiale”. Il gran clou si è avuto nella jam con l’ u.m.i.a.a.s.c.f.z Fabio Treves (l’Unico-Musicista-Italiano-Ad-Aver-Suonato-Con-Frank-Zappa), emozionato puma di Lambrate, che ha con gran classe giocato con la sottile linea blues presente fin dalle origine della musica del genio di Baltimora (il blues è anche all’origine del gran rapporto di amore e odio con il Captain Beefheart). Chicche della serata, le “coraggiose” (” e se non piacciono?” “chi se ne frega, tanto hanno già pagato!”) traduzioni in italiano di alcune canzoni, con “perché mi fa male quando faccio la pipì? (ovverro “Why Does It Hurt When I Pee?”) e “Dice, dice, sempre sì” (Easy Meat)” decisamente riuscite. Il competente ed esigente pubblico ha decisamente apprezzato l’esibizione dei 5 + 2 , con applausi, ovazioni e chiedendo con forza i bis.
Il concerto era accompagnato dalla proiezione su due schermi laterali delle partecipazioni al Saturday Night Show quando suonava per lo show, i famosi duetti con John Belushi chitarrista giapponese scatenato, la parodia di un simil-Grucho Marx costretto a resistere alle ossessive offerte di droghe dell’immancabile John Belushi (“tu sei un freak e non usi droghe?????” in effetti Zappa non assumeva droghe, perché lui era really absolutely free), il concerto di Barcellona del 1988.
Post concerti la nottata è proseguita con la proiezione di filmati, molti rari. Una serata quasi a 360° gradi, che sicuramente ha soddisfatto i numerosi fans accorsi (di tutte l’età). Insomma una non stop degna dei salad party che si tenevano presso la casa di FZ.
Milano ci ha dato la possibilità di ascoltare dal vivo la musica dello zio Frank e la speranza che rimane è di non dover aspettare un altro decennio prima che si riverifichi l’evento.
(Stefano Baraga e Pietroluca Mancuso)