Sanremo 2013 le canzoni della categoria Giovani commentate – Nella macchina infernale di Sanremo ci sono giovani e giovani, alcuni già battezzati di serie A – quelli con recenti e importanti trascorsi nelle uptown del music business nostrano come X Factor e Amici – altri se non di serie B come minimo confinati in una sorta di recinto dello star system dove si lotta senza quartiere per sfuggire alle trappole dell’oblio disseminate in uno spazio simile alla tavoletta del naufrago. Quelli che magari hanno partecipato alle prime edizioni di quei talent senza esplodere, le vittime sacrificali di un dentro o fuori immediato e forse senza ritorno.
E allora giù con il pancia a terra a colpi di curriculum che esibiscono studi musicali che sanno di autoreferenzialità, lunezie, musiculture e collaborazioni ora profonde e consistenti ora limitate a fugaci incroci di note. Materiale dunque – come purtroppo spesso e volentieri – di seconda o terza scelta? Sì e no, certo non mancano fenomeni residuali e senza storia già in partenza soprattutto in certe quote azzurre indegne di essere accostate alla parola musica ma – novità inaspettata – emergono ben due proposte di livello non disprezzabile (merce rara da tempo tra le nuove leve sanremesi) insieme ad un altro paio di spunti non del tutto indegni.
Risultato dunque niente male se paragonato a quella mezza cosa decente emersa dalla sbiadita competizione tra le nuove leve della scorsa annata festivaliera. Se non altro si è passati dalle eccedenze di magazzino in stato di avaria irreversibile a qualche discreto saldo di inizio stagione. Nulla di epifanico ma sinceramente mi aspettavo qualcosa di immensamente più disastroso.
Ecco le otto nuove proposte.
Andrea Nardinocchi – Storia impossibile
Risaputa filastrocca in salsa tecnologica, schegge di cantautorato bolognese e pseudo-alternativo ipervitaminizzato. Di cose così se ne sono sentite a centinaia in questi anni di codificazione sempre più svenevole e smidollata dell’indie di casa nostra. In piena sintonia con il tutto un testo che indugia raccapricciante nel più trito dei tiramolla relazionali. Voto 4
Antonio Maggio – Mi servirebbe sapere
Motivo orecchiabile e ironico di grana grossa, tipica verve da tormentone a scadenza rapida per un’altra voce perfettamente inserita nel ricorrente stereotipo del vocalista italiano tutto impennate e falsetti da colica galoppante. Ammazzatempo ultra-radiofonico divertente se assunto un paio di volte e non di più. Voto 4 ½.
Blastema – Dietro l’intima ragione
Anche qui il punto dolente è in un’opzione vocale che ricalca strade battutissime dell’alternative italiano in salsa esistenzialista debitrice di Thom Yorke e compagnia cantante. Per fortuna l’assetto musicale disegnato dalla band restituisce atmosfere cariche e tese tra frustate ritmiche e diminuendo con vaghi richiami a prog d’autore. Gli unici degni di vantare una certa geografia sonora insieme a Ilaria Porceddu. Voto 7 –
Ilaria Porceddu – In equilibrio
Liriche che mescolano italiano e sardo, musica che pennella una sorta di melò fiabesco sospeso tra valzerino e circobanda felliniano per una vocalità ora soffusa ora impetuosa e non sempre bilanciata nelle esplosioni, da rimandare ad un ascolto attento nella resa dal vivo. Poter parlare di una donna che canta veramente da donna (meditate cari uomini invertebrati) è già notizia di rilievo e non fa che confermare una tendenza in atto da tempo a livello italiano. Voto 7 ½
Il Cile – Le parole non servono più
Qui siamo in pieno trip sul treno del cantautorato alternativo posticcio infestato di sofferenza da sms. Ballata pseudo-rock venata di rigurgiti sentimentali e larghi sonori a presa adolescenziale. In questo senso il titolo è tutto un programma. Voto 4
Irene Ghiotto – Baciami?
Vicentina dotata di un canto semplice e vivo che ricorda quello di Lou Colombo, si presenta con una pop song sbarazzina che ha almeno il pregio di far piazza pulita della sempre incombente miriade di luoghi comuni sull’amore, servendo il tutto con un piglio tra il giocoso e il punk. Voto 6 ½
Paolo Simoni – Le parole
Emiliano delle valli di Comacchio, paga una derivatività quasi servile alle declinazioni vocali squarciate di Carboni e di certo Dalla, su una musica che cerca di ridisegnare itinerari noti senza trovar modo di scorrere e di colpire nel profondo. Testo peraltro piuttosto interessante nello smascherare con sincero coinvolgimento l’intima dipendenza dal linguaggio e dalle sue forme e convenzioni talvolta irrinunciabili. Voto 6 –
Renzo Rubino – Il postino
Il terreno è quello della canzone sardonica densa di raffinatezze, arrangiamenti orchestrali, echi e voci d’epoca. Alla fine suona come un ricalco di numerose espressioni d’autore per quanto piacevolmente pittoresco. Voto 6.