La sfilata dei musicisti che scende le scale dai camerini per arrivare al palco dei Lime Light di Milano sembra non finire mai: cinque, sette, otto, ma quanti sono? Alla fine oltre al cantante se ne conteranno undici: tre archi, tre fiati, basso, batteria, chitarra, tastiere, violino solista. E lui, Glen Hansard, il più straordinario performer dell’ultima generazione. Va in scena la nuova Caledonia Soul Orchestra, quella di cui detiene il copyright originale il Van Morrison della prima metà degli anni settanta, quello più appassionante e trascinante di sempre. Glen Hansard ne è l’erede, ma non solo. Irish soul certamente, ma anche rock, funk, folk, canzone d’autore. Un caleidoscopio di suoni e immagini che questo cantautore, nato come busker di strada, assunto alla celebrità grazie a un film meraviglioso, Once, ma già conosciuto in un altro film altrettanto bello, The Commitments, sa mettere in scena come nessun altro. 



La filosofia è la stessa di un Bruce Springsteen: suonare concedendosi senza riserve al suo pubblico, anche per tre ore buone come fatto a Milano. E’ così che a un certo punto, lasciati dietro di sé i microfoni e le amplificazioni, si mette a suonare in piedi in mezzo al pubblico, ed è così che a fine serata guida la sua orchestra in mezzo al pubblico, scendendo dal palco e piazzandosi a suonare in mezzo alla sala. E’ come essere a Grafton Street, Dublino, dove Glen Hansard ha cominciato la sua carriera come busker, cantante da strada. Se andate a Dublino la vigilia di Natale ce lo troverete ancora a cantare insieme ad amici come Bono o Sinéad O’Connor. E’ questa attitudine tutta irlandese, di condividere la bellezza, che fa di questa gente, gente speciale: un popolo, oggi che i popoli sono stati uccisi nel nichilismo e nella solitudine del potere. Ma c’è ancora chi resiste: una comunione vissuta nella bellezza della musica. 



Una forza coinvolgente come pochi oggi, un chiacchierone tipicamente irish che presenta ogni canzone con lunghi monologhi facendoti sentire dentro all’intimità di un pub a Cork o a Galway. Come quando racconta di lui e alcuni amici che ubriachi di notte sono andati a schiantarsi in barca contro un faro, oppure della tragedia dei talent show, X Factor ad esempio, dove i ragazzini vengono venduti a un pubblico morboso: la celebrità ottenuta attraverso l’arte ha un senso, dice, ma la celebrità per la celebrità cosa vale? “Fucking ignorants”, dedicato a chi conduce questi show. 



Glen Hansard è artista dai mille volti: leader del gruppo rock The Frames, leader insieme alla sua ex fidanzata Marketa Irglova degli Swell Season e solista di lusso come questa sera, dove tutte le sue anime risplendono. Infatti sul palco ci sono metà dei Frames dei quali eseguirà alcune canzoni, ad esempio Santa Maria o la straordinaria Fitzcarraldo con crescendo cacofonico che sembrano i Wilco. E’ proprio in brani come questi che violini e fiati creano un accompagnamento sontuoso, epico, lirico e trascinante. Ma sono tutti i musicisti sul palco, soprattutto quella forza della natura che è il batterista, a produrre una sinergia di suoni raramente vista. Più che una band, un gruppo di amici che si intende con gli sguardi e che si lancia sorrisi compiaciuti: di piacere, di intimità, di comunione. 

La serata comincia con alcuni brani del suo nuovo recente disco solista, Become, poi Maybe Tonight e Wolves. L’apotesi arriva presto con Love don’t leale me waiting dove attacca in medley il classico dell’R&B Respect infilandoci anche una citazione di Thank You (Falettinme Be Mice Elf Agin) di Sly and the Family Stone. Il sound è orgiastico, tra fiati incalzanti e violini declamanti, la band tira come un treno e se fossimo in un club di Harlem non ci sarebbe niente da ridire. 

C’è spazio anche per estratti dalla colonna sonora di Once (straordinaria come sempre la resa vocale inLeave), il film che con Falling Slowly ha vinto un Oscar quale miglior canzone da film. E se non c’è più Marketa a duellare con lui proprio in quel brano, stasera c’è Lisa Hannigan, deliziosa voce irish che ha aperto il concerto con alcune sue composizioni. Say it to me now e Gold, ancora da Once, vengono eseguite in mezzo al pubblico delle prime fila senza amplificazione, da autentico busker, mentre This Gift è una esplosione rock fragorosa che sembra non finire mai. 
A un certo punto fa salire sul palco anche un ragazzino che lo aveva sfidato a eseguire un pezzo dei Nirvana (era il compleanno dello scomparso Kurt Cobain): Hansard accetta la sfida, gli lascia il microfono e guida la band in una divertente e furoreggiante Breed. Da grande amico di Eddie Vedder quale è, non può esimersi dall’eseguire Wishlist del Pearl Jam: è una richiesta, e deve leggerne il testo a fatica da un foglio e mostrare al bassista gli accordi. Ma non c’è problema: è questo senso dell’improvvisazione e del divertimento per il divertimento, senza nessun ego da rock star a cui siamo abituati normalmente, a fare di Glen Hansard un bene da conservare come patrimonio dell’umanità.

Si finisce sulle note confortanti di Passing Through, vecchio brano di Leonard Cohen, cantato ancora senza amplificazione con tutti i musicisti sul bordo palco e poi giù in mezzo al pubblico con le note che diventano When the saints go marchin’ in. Siamo a New Orleans adesso, ma in fondo Dublino, Harlem, Milano che differenza fa? Con Glen Hansard tutto il mondo della musica è racchiuso nel suo bel sorriso irlandese che è un inno alla vita. Il ragazzino che in The Commitments sognava di diventare il chitarrista di una R&B band ha coronato il suo sogno e anche di più. La celebrità senza arte in fondo a cosa serve? Fucking ignorants, a nulla. 

C’è una canzone di Glen Hansard che si intitola Song of Good Hope, la canzone della buona speranza. Ecco. Qua dentro, stasera, stiamo ricordando un altro tipo di celebrità, quello per la bellezza e la gioia di essere vivi, e ci vengono date tonnellate di “buona speranza”. Saremo rimasti in pochi, ma ci divertiamo un sacco.