“Bob Dylan è venuto qua ieri ha visitare la sua mostra”. A raccontarlo alla presentazione per la stampa di “Bob Dylan New Orleans Series” è il curatore della mostra stessa, Francesco Bonami. La mostra si tiene, con ingresso gratuito dal 5 febbraio al 10 marzo al Palazzo Reale di Milano. E’ la prima volta che i quadri del famoso cantautore americano arrivano in Italia, dopo che collezioni differenti sono state presentate in diverse capitali europee come Londra e naturalmente a New York. Un aspetto poco noto questo dell’autore di canzoni immortali, che però lo ha sempre interessato: suoi schizzi a matita infatti si conoscono sin dai primi anni 60, poi ci fu il famoso auto ritratto apparso sulla copertina del disco omonimo, “Self Portrait” del 1970, e una serie di sue illustrazioni che corredavano la prima edizione ufficiale dei testi delle sue canzoni. Altre copertine o retro copertine avrebbero avuto l’onore negli anni di mostrare suoi disegni (quella di “Planet Waves” e il retro di “Empire Burlesque” ad esempio). Negli ultimi anni però Dylan si è messo a fare sul serio, inaugurando mostre di suoi dipinti veri e propri, olio su tela, che hanno diviso la critica e i fan, ma di cui a lui, delle reazioni, come sempre anche per quanto riguarda dischi e concerti, importa poco o nulla. Lo ha confermato lo stesso Bonami quando ha raccontato di quanto Dylan fosse felice che l’ingresso alla mostra fosse gratuito perché a lui interessa che quanta più gente possa vedere i suoi quadri, ma anche perché gli interessa l’opinione di quella che il curatore ha definito “gente comune”: “In sostanza mi ha fatto capire che dei professionisti del settore, i critici d’arte, non gliene frega nulla” ha commentato sorridendo. 



Soprattutto, ha detto ancora Bonami, Dylan è rimasto molto ammirato e contento del contesto in cui sono esposti i suoi quadri, alcune stanze degli appartamenti del bel Palazzo Reale di Milano, proprio di fronte al Duomo. D’altro canto qualcuno ricorderà che aprendo un concerto a Torino nel 1998, Dylan si espresse così: “E’ bello essere di nuovo nel più meraviglioso paese del mondo”. 



La mostra di Milano presenta in tutto ventidue dipinti a olio, dedicati alla città di New Orleans. Non sono ritratti dal vero perché Dylan si è ispirato prendendo spunto da vecchie fotografie degli anni 40 per la maggior parte, dunque riproducendole sotto forma di dipinto. Rispetto ai soggetti delle sue precedenti mostre nelle quali i quadri riprendevano oggetti di uso comune come sedie e tavoli o il panorama visto da una stanza d’albergo con qualche eccezione fatta di ritratti di personaggi misteriosi, qui dei ventidue quadri diciannove ritraggono esclusivamente figure umane. Alla fine della mostra ci sono tre quadri che riprendono dei cortili interni tipicamente di New Orleans, quadri che Dylan ha voluto fossero presenti nella mostra perché lui tiene particolarmente a dipingere e rendere pubblici interni di abitazioni o loro esterni, i luoghi in cui lui ama passeggiare da solo in tarda notte o al mattino presto quando si trova in qualche città per i suoi concerti.



Realismo è infatti la parola che definisce l’arte pittorica di Dylan, esattamente come le sue canzoni, da sempre specchio di un realismo totale. Nessuna interpretazione personale di ciò che vede, ma riproduzione con passione della realtà che gli si presenta davanti. 

In questo senso la mostra milanese appare di particolare interesse  perché è possibile ammirare un maggior sviluppo della capacità pittorica del musicista americano. I quadri infatti sono stati dipinti in un arco di tempo piuttosto lungo, tra il 2008 e il 2011, segno di una particolare cura nel lavoro che in precedenza appariva invece abbastanza sbrigativo e improvvisato. Sono dipinti molto dark, con le tinte del nero in prevalenza, dove si vedono personaggi della città in locali notturni, seduti ad aspettare un treno, oppure in chiesa durante un tipico coro gospel di neri. C’è molta tensione  nei ritratti raffigurati, quasi un senso di violenza imminente, di paura e di disagio. Ci sono alcuni dipinti sessualmente espliciti, scene di sesso, o personaggi inquietanti come un nero vestito come una sorta di predicatore che si porta dietro un bambino. Potrebbe essere “the man in the long black coat” cantato nell’omonima canzone non a caso ambientata a New Orleans.

Una mostra certamente da vedere, che interesserà ai fan di Bob Dylan ma non solo. La mostra nella sua sequenza fino ai tre cortili interni dove invece si assiste a una esplosione serena di colori vivi, è come un film, con una storia a cui ogni visitatore potrà dare la narrazione e il finale che preferisce. Dylan ne è stato testimone, non interprete, come le sue canzoni.”Bisogna credere in quello che si fa” dice “e dedicarsi a quello. E’ facile rimanere intrappolati in quello che la gente pensa che dovrei fare. Ma restare convinti di questo ha un suo prezzo”. Da parte sua, Bonami identifica così la mostra, azzeccandone il significato profondo: “Le tele di Dylan sembrano vivere simultaneamente. Tutte le scene potrebbero provenire dallo stesso luogo e accadere nello stesso momento a New Orleans. La linearità dei dipinti è solo una illusione e nei dipinti di Dylan come nei testi delle sue canzoni, ritroviamo la sua capacità di storyteller con l’impressione che tutti gli elementi appartengano a una sola, grande storia”.

(Gli orari della mostra: il lunedì dalle 14 e 30 alle 19 e 30; martedì, mercoledì, venerdì e domenica dalle 9 e 30 alle 19 e 30; giovedì e sabato dalle 9 e 30 alle 22 e 30).