Ci hanno messo vent’anni, ma alla fine i Brad sono in tour in Europa. La band messa in piedi nel 1992 da Stone Gossard dei Pearl Jam e da Shawn Smith, cantante dei Satchel, era partita come un semplice side project estemporaneo, tanto che neppure la Sony l’aveva promossa più di tanto, temendo che il loro ottimo debut album oscurasse l’allora astro nascente dei Pearl Jam.
Invece, ritagliandosi scampoli di tempo dai vari impegni dei propri componenti, i Brad sono lentamente e silenziosamente arrivati al quinto disco. “United we stand” è uscito all’inizio della scorsa estate ed è un gran bel disco, decisamente diverso dal classico suono Brad, che indulgeva più a composizioni lente e riflessive. Un disco dal potenziale commerciale notevole, e non solo per i nomi coinvolti. Tanto che questa volta, complice un periodo di pausa delle band principali, Shawn e Stone hanno deciso di portare la loro musica su base regolare anche oltreoceano.
La data milanese non gode di una grande location: i Magazzini Generali sono noti per la loro pessima resa sonora e per la capienza non propriamente da reggia. L’occasione è comunque unica e quando arriviamo sul posto trovo un locale già bello pieno. Pubblico vario, anche se l’età media e qualche capo d’abbigliamento dimostra che i nostalgici del sound di Seattle non sono pochi.
Inizio puntualissimo con i New Killer Shoes, che Gossard e compagni hanno fortemente voluto in giro con loro. La giovanissima band inglese propone un indie rock venato di punk e dal retrogusto sixties che ricorda in qualche modo quello dei The Vaccines, anche se questi ultimi sono meno carichi nei suoni. Nella mezz’ora a loro disposizione dimostrano di saperci fare e di avere dalla loro una manciata di pezzi efficaci e trascinanti. Forse un po’ troppo montati nell’atteggiamento, ci hanno comunque ben impressionato. Una nota di merito da parte del loro staff, che distribuisce tra il pubblico cd promozionali con tre brani.
I cinque Brad salgono sul palco verso le 21 e, con la massima semplicità, attaccano l’acustica “Takin’ it easy”. Non certo il pezzo ideale per aprire uno show ma del resto i gruppi come il loro se ne fregano abbastanza delle logiche di setlist, e fanno bene. Si prosegue con altri due brani lenti, “Good News” e “Nadine”, prima che “Secret Girl” alzi un po’ di più il ritmo. Dal canto suo, la band suona alla grande e la resa sonora, sorprendentemente, è più che buona.
Stone Gossard è esattamente come coi Pearl Jam, aspetto e abbigliamento che tutto sono tranne che quello di un chitarrista rock. Umile e posato oltre la norma, che sia in una grande arena o in un piccolo locale come questo, suona sempre in posizione defilata, quasi come a chiedere scusa della sua presenza. In questo tour però non c’è Mike McCready, per cui tutti gli assoli sono sulle sue spalle. Se la cava egregiamente, anche se evidentemente non è funambolico e folcloristico come il suo collega. Dal canto suo, Shawn Smith ha messo su un bel po’ di chili e la sua voce ogni tanto ne risente. Ciò nonostante, offre una prova più che dignitosa, alternandosi tra il centro del palco e il lato sinistro, quando canta accompagnandosi con la tastiera. Gli sguardi e gli applausi del pubblico sono, comprensibilmente, tutti per loro. Gli altri tre non se la prendono: svolgono con grande efficacia il loro compito e sembrano davvero divertirsi un mondo, soprattutto il bassista Keith Lowe, divertentissimo con i suoi occhiali da intellettuale abbassati sul naso.
La band bada alla sostanza e snocciola un pezzo dietro l’altro senza molti fronzoli. Ci sarebbe un nuovo album da promuovere ma non sembra che a loro importi molto. Da “United we stand” verranno estratti solo quattro pezzi, tra cui spiccano la potente “Waters Deep” e la splendida ballata “The Only Way”, che cantata da Eddie Vedder non avrebbe senza dubbio sfigurato nel repertorio degli ultimi Pearl Jam. Per il resto, spazio ai brani dei primi due album, che sono poi quelli che il pubblico vuole sentire. “20th Century”, con Stone impegnato alle percussioni, “My fingers”, “Sweet Al George”, “Upon my shoulders”, solo per citarne alcuni. In mezzo, “Price of love” risulta l’unico estratto dal recente “Best friends?” mentre Stone si ritaglia uno spazio tutto suo suonando e cantando “Bayleaf”, dal suo disco solista.
Una intensissima versione di “Screen”, impreziosita da un lungo solo di Gossard, chiude il set principale. Torna sul palco il solo Shawn Smith che si siede alla tastiera ed esegue “Wrapped around my memory”, scritta in memoria di Andrew Wood, l’indimenticato cantante dei Mother Love Bone scomparso prematuramente nel 1990, poche settimane prima che la sua band facesse il debutto discografico. I Pearl Jam, volenti o nolenti, si originarono anche da questo lutto e il silenzio attento e commosso in platea dice che il suo ricordo è ancora vivo in tutti quelli che hanno amato l’era d’oro del grunge. È invece un vero e proprio boato quello che accoglie “Crown of thorns”, brano degli stessi Mother Love Bone proposto più volte dal vivo anche dai Pearl Jam. Una versione grezza (Smith non è certo un virtuoso dello strumento) ma dannatamente efficace.
Il resto dei bis vede il ritorno della band al completo per l’esecuzione di altri due pezzi da “Interiors” (“The day brings” e “Lift”), che fanno da preludio ad una scatenata “Jumpin’ Jack Flash”. Sono passate quasi due ore e resta una sola cartuccia pesante da sparare: puntualmente, richiesta più volte a gran voce dai presenti, ecco arrivare “Buttercup”. Lenta, intensa e malinconica, con Shawn Smith che raggiunge forse il suo picco interpretativo. Il pubblico canta in coro il ritornello e poi, terminati gli ultimi accordi, con la stessa semplicità con cui sono entrati in scena, i cinque posano gli strumenti e salutano.
Un concerto bellissimo, quasi mai immediato (il repertorio dei Brad non lo permette) ma coinvolgente e senza cali di tensione. Stone Gossard ha dichiarato che un nuovo disco è già in lavorazione. Il 2014 sarà l’anno del ritorno dei Pearl Jam per cui sarà difficile ascoltarlo a breve. Poco male: la data di questa sera è stato un evento storico e siamo ben contenti di esserci stati.