Il Teatro alla Scala interrompe una stagione interamente imperniata su opere di Verdi e Wagner (della cui nascita si celebrano i rispettivi bicentenari) per presentare l’opera di un compositore contemporaneo, il russo (ma dal 1990 residente principalmente in Occidente) Alexander Raskatov, noto principalmente per la cameristica e la musica sacra (specialmente lo Stabat Mater del 1988). Il lavoro di Rastakov, coprodotto con Amsterdam e Londra, è tratto, fedelmente, dal thriller di fantascienza del 1925 Cuore di cane, di Michail Bulgakov: uno scienziato trapianta il cuore di un cane moribondo nel cadavere di un uomo appena morto; nasce un nuovo soggetto dalle fattezze umane che ne combina di tutti i colori sino a quando il chirurgo fa l’operazione all’incontrario, ma viene accusato di assassinio (finendo davvero male). Nella Russia degli anni immediatamente successivi alla rivoluzione sovietica, numerosi intellettuali pensarono che, finita l’oppressione zarista, si fosse aperta una stagione libertaria: Šostakovic portava il grande jazz sulla Neva, il cinema russo fioriva e per alcuni anni anche la satira era consentita, ma il Cane di Bulgakov abbaiava e mordeva troppo. In Russia, il romanzo venne pubblicato solo nel 1987, ma ne circolavano versioni clandestine ed era arrivato in Occidente, dove ne vennero fatte versioni cinematografiche, una pure in Italia nel 1976 con la regia di Lattuada.
La musica di Raskatov corrisponde alla simmetria a specchio del romanzo e del libretto (il cane dapprima trasformato in creatura quasi umana, quindi ricondotto alla condizione animale). Per la dimensione grottesca e surreale del soggetto, la partitura assume per lo più tono e ritmo da opera comica – quali Il naso (1930) di Šostakovic, recentemente applaudito a Roma, e, soprattutto, Vita con un idiota (1992) di Schnittke.
Rastakov impiega una ricca molteplicità stilistica, con disinvolto virtuosismo. In breve, uno stile eclettico in cui introduce canzoni della rivoluzione russa, sonorità e strumenti etnici (diversi tipi di balalajka e domra), melodie della chiesa ortodossa, citazioni e allusioni colte (Wagner e Cajkovskij, Bach e ovviamente esponenti della grande scuola russa come Musorgskij, Šostakovic e Schnittke) a volte come omaggio e a volte come distorsioni ironiche. In un contesto di black comedy fantascientifica, domina il “chiacchierar parlando” sostenuto dall’orchestra, nel cui quadro si schiudono episodi solistici, d’insieme e corali.
Vari stili operistici di riferimento vengono mescolati, mantenendo, però, confini molto precisi in modo che ciascuno venga riconosciuto. Ad esempio,il ruolo del cane Šarik è sdoppiato in una voce bella e gradevole (controtenore) e in una voce brutta e sgradevole (soprano drammatico), che produce un’ampia serie di effetti urlando e sussurrando in un megafono (strumento tipico della propaganda sovietica). All’alterazione della voce umana, così privata di identità sessuale, del cane fa riscontro la parte di Šarikov, ossia l’uomo creato artificialmente con il cuore di cae (tenore buffo di coloratura), molto virtuosistica.
Il lavoro arriva alla Scala dopo essere stato già rappresentato al Muziektheater di Amsterdam che lo ha commissionato ed alla English National Opera (ENO) di Londra. A Milano si seguirà la versione originale in russo (come a Amsterdam) mentre all’ENO è stato cantato in inglese (come avviene a tutte le opere là messe in scena).