Il progressive rock dei gruppi dell’ultima generazione non ha mai goduto di molta considerazione in Italia, paese che, ironia della sorte, nella storia di questo genere ha avuto un ruolo tutt’altro che trascurabile. Incredibile a dirsi, un gigante come Neal Morse non si era mai esibito da noi in veste solista mentre i suoi amici Flower Kings, che pure nella penisola ci sono sempre venuti, non hanno mai radunato più di qualche sparuto gruppo di fan adoranti. 



È dunque con grande sorpresa che il Live Club di Trezzo sull’Adda appare discretamente pieno già un’ora prima dell’inizio. Un pubblico di età media elevata ma decisamente numeroso, segno che l’importanza della serata è stata colta in pieno. 

Aprono i Flower Kings ma la definizione di “gruppo di supporto” è totalmente fuorviante, in quanto entrambi gli act godono della stessa importanza e suoneranno dunque due set esattamente simmetrici. La band svedese si presenta sul palco con il solito abbigliamento eccentrico (Roine Stolt sembra avere chiesto in prestito la giacca a Oscar Giannino) e dà il via alle danze con i 25 minuti di “Numbers”, il brano che apre il loro ultimo “Banks of Eden”. È un pezzo difficile, progressive solo nella durata, perché in realtà non possiede una struttura molto intricata, avendo come elemento di divagazione strumentale solo i lunghi assoli di Stolt. Per il resto, le vocals sono egualmente divise tra lui e l’altro chitarrista Hasse Froberg, con quest’ultimo molto più lanciato nel ruolo di frontman. A seguire, una versione leggermente ridotta del classico “The Truth will set you free”, sul quale finalmente i nostri si scatenano a dovere. “Raising the imperial” vive degli stessi temi del pezzo di apertura, al quale è intimamente collegato. È una sorta di intermezzo, prima che i cinque si rituffino nuovamente nel passato, con “Last minute on earth” e la celebre “In the eyes of the world”, unite in un medley perfettamente riuscito. Purtroppo un’ora e un quarto non è un lasso di tempo sufficiente per una band che ha dalla sua ore e ore di musica dalla qualità sopraffina. Tuttavia, il menu della serata è ricco e non si può fare di più. L’impressione è comunque che ancora una volta i Flower Kings abbiano offerto una prova eccellente, forse solo penalizzata dal fatto che “Banks of Eden” non è un lavoro completamente riuscito. 



Rapido cambio palco, durante il quale si possono notare le diverse dimensioni del drum kit di Mike Portnoy rispetto a quello ben più sobrio di Felix Lehrmann, ma c’è appena il tempo di fumarsi una sigaretta che Neal Morse è già in pista. 

Il compositore e polistrumentista americano ha appena pubblicato “Momentum”, ennesimo tassello di una discografia sempre più copiosa che ha conosciuto ben pochi cali di tensione, soprattutto da quando ha lasciato gli Spock’s Beard per dedicarsi alla carriera solista. 

È proprio la title track dell’ultimo disco il brano con cui apre lo show. L’atmosfera cambia radicalmente: il prog di Morse è ricco di virtuosismi e di parti intricate ma l’approccio melodico è immediato e coinvolgente, assolutamente rock oriented, complice anche una presenza scenica strepitosa. Tutto questo non fa altro che rendere più partecipe il pubblico che canta, salta, batte le mani e dimostra di essere perfettamente “dentro” ogni passaggio delle varie canzoni. 



Anche per Morse set breve ma intensissimo: “Author of confusion” valorizza al massimo l’impatto deflagrante della sua band, un gruppo di amici ormai affiatato che sembra godersela un mondo sul palco e che suona ogni passaggio, anche i più complessi, con una naturalezza sbalorditiva (da questo punto di vista, i complicati intrecci vocali del brano in questione hanno lasciato letteralmente il sottoscritto a bocca aperta).

Lo stesso Morse, passando continuamente dalla chitarra alla tastiera, a momenti in cui si limita a cantare da frontman navigato, riesce a trasmettere un calore e un’immediatezza che non sono del tutto usuali ad uno show di progressive rock. E non dimentichiamoci di Mike Portnoy: l’ex batterista dei Dream Theater è sempre stato un megalomane di professione e non è un segreto che sia stato proprio questo il motivo per cui è stato scaricato. Detto questo, in Italia è una star assoluta e non si può negare che il suo drumming fantasioso e potente, unito alla sua estrosità dietro le pelli, giovi eccome alla riuscita del concerto. 

Straordinario anche il medley dei pezzi di “?” (o “Question Mark”, come lo chiamano familiarmente i fans), dove compare anche un sassofono che tinge per breve tempo di jazz le atmosfere di “The temple  of the living God”. Conclusione affidata alla monumentale suite dell’ultimo disco “A world without end”, con Neal che chiede divertito se c’è ancora spazio nella mente e nel cuore del pubblico per un brano così lungo. La risposta è ovviamente sì e per 35 minuti l’atmosfera si fa rovente, nonostante questa non si possa annoverare tra le composizioni migliori di Morse. 

È già passata un’ora e venti ma non se ne è accorto nessuno. Purtroppo è già ora di bis e dunque sotto con l’annunciato tributo ai Transatlantic. Stasera in effetti, del super gruppo messo su da Morse, Stolte e Portnoy manca solo Pete Trewavas dei Marillion per cui quale occasione migliore se non questo tour, per fare un gradito regalo al pubblico europeo? Si parte con i soli Morse e Stolte sul palco, che eseguono una toccante “Bridge across forever”. Poi arriva Portnoy e Jonas Reingold dei Flower Kings, che copre le parti di basso. Viene suonata la parte iniziale di “All of the above”, a cui si attacca immediatamente una buona porzione di “The whirlwind”, il capolavoro del 2010 che li aveva portati anche a Milano per uno show indimenticabile. Pian piano, tutti i membri delle due band si alternano sul palco senza soluzione di continuità, in modo che la musica dei Transatlantic diviene un ottimo pretesto per una Jam session gioiosa e coinvolgente. Gran finale affidato a “Stranger in your soul” (anche qui, solo un piccolo estratto) con Morse, Stolte, Portnoy e Froberg impegnati dietro i microfoni per i cori del ritornello, a cui ovviamente tutti i presenti si uniscono. 

Tre ore abbondanti di musica, con finale alla mezzanotte di un giorno feriale. Eppure, si capisce che la maggior parte dei presenti sarebbe rimasta volentieri ancora un po’. La magia di questi artisti è impagabile, siamo contenti che finalmente anche l’Italia se ne sia accorta.