Era uno dei dischi più attesi di questa prima parte dell’anno, probabilmente. Non è una cosa che accade tutti i giorni, poter vedere due musicisti come Thom Yorke dei Radiohead e Flea dei Red Hot Chili Peppers, lavorare insieme alle stesse canzoni. Così diversi sono i territori in cui normalmente si muovono, che la distanza tra la Terra e Plutone apparirebbe quasi come una passeggiata al confronto. Per la verità, neppure era tanto nuovo, questo progetto. Sei anni fa il singer dei Radiohead aveva realizzato un disco solista, “The Eraser”, che  qualche tempo dopo aveva portato sul palco per qualche sporadica data nei festival. Della band che lo accompagnava, erano stati della partita anche il batterista Joey Waronker (conosciuto ai più per aver collaborato coi R.E.M.) e appunto l’eccentrico bassista, che a quanto pare nutre una segreta passione per la musica elettronica. Era con loro anche il percussionista brasiliano Mauro Refosco, che proprio coi Peppers ha collaborato in occasione dell’ultimo “I’m with you”. 



Che dire dunque? Il gruppo è nato così, quasi per caso, ed è in giro dal 2009. Che fossero legati al progetto solista di Yorke lo si era visto soprattutto dal fatto che il nome con cui hanno deciso di chiamarsi è stato preso proprio da una delle tracce di quel disco. Sembrava che fossero destinati a divertirsi con qualche jam session ogni tanto e invece ecco arrivare il vero e proprio esordio discografico. 



C’era tanta curiosità nell’aria, soprattutto per vedere che cosa avrebbero combinato insieme il folletto di Oxford e il ragazzone australiano che ormai tanto più ragazzo non è. Due personalità enormi ma diversissime, due carriere, anche queste, ampiamente divergenti. In costante evoluzione i Radiohead, sempre alla ricerca di nuove strade con cui mettersi alla prova, piuttosto imbarazzanti i Red Hot, da tempo preoccupati più dai dati di vendita che dalla qualità della loro proposta musicale. 

L’illusione di trovarsi di fronte a qualcosa di nuovo, svanisce però nel giro di mezzo brano. “Amok” appare infatti come un perfetto successore di “The Eraser”. Si poteva anche prevedere, del resto: dietro la consolle c’è Nigel Godrich, che per i Radiohead è sempre stato molto più che un produttore. La sua mano si sente e anche parecchio. Il disco è pieno zeppo di elettronica, utilizzata in maniera non molto diversa da quanto fatto su un disco come “The king of limbs”. Le canzoni, a sentirle bene, appaiono proprio come il prodotto del sodalizio tra Yorke e Godrich. Del resto la personalità del cantante è talmente forte e la sua ugola così inconfondibile, che riuscirebbe a personalizzare anche una canzone di Ligabue (è un caso estremo ma se vi ricordate “The mess we’re in”, il brano di PJ Harvey su cui prestò la sua voce, capirete cosa intendo). 



Sarebbe però sbagliato ridurre questo primo capitolo degli Atoms for Peace al solo lavoro di quei due. Certo, i fan dei Red Hot Chili Peppers non vi troveranno assolutamente nulla di interessante, però è vero che Flea con le sue corde si fa sentire a dovere: suonando in maniera diversissima rispetto alla sua band madre, riesce a dotare i vari brani di basi ritmiche interessanti, sulle quali i loop e le altre diavolerie predisposte da Godrich possono interagire liberamente. 

Altro elemento interessante sono le percussioni di Refosco: il lavoro del brasiliano è superbo e dota le canzoni di una dinamicità e di un groove che contrasta notevolmente con la solita lenta malinconia delle linee vocali di Yorke. Sono cose che operano a livello di arrangiamenti, comunque. “Amok” è assolutamente Radiohead oriented e chi non sopporta la loro musica troverà praticamente impossibile accostarsi a questo lavoro. 

Per parte nostra, il discorso è diverso: siamo senza dubbio di fronte ad un prodotto di altissima qualità, ottimamente scritto e curato in ogni minimo dettaglio ma non è detto che se ne sentisse davvero il bisogno. Lasciato da solo, privo delle geniali invenzioni di Ed O’ Brien e Johnny Greenwood, Thom Yorke ne esce alquanto ridimensionato. E dopo i primi brani davvero accattivanti, la durata eccessiva si fa sentire e non è così facile arrivare fino in fondo. 

Li vedremo dal vivo quest’estate, quando passeranno da noi per due date a Milano e Roma), entrambe nel mese di luglio. Sarà l’occasione per verificare se questi Atoms for Peace sono di più che un semplice passatempo dei loro genitori. Nel frattempo, l’aggettivo “superfluo” rimane il più azzeccato per definire “Amok” in una parola. A ben vedere, l’unico che sembra averci guadagnato davvero è proprio Flea: era da parecchi anni che non suonava su un disco decente…