Enzo Jannacci era davvero un artista dalle mille sfaccettature. C’è chi lo ricorda come una specie di macchietta umoristica (Faceva il palo, Vengo anch’io, Mexico e nuvole) anche se dentro a quell’umorismo c’era sempre una vena di amarezza e di disagio, chi come cantore di una Milano popolare che non esiste più, un po’ come il suo amico Gaber (El portava i scarp de tennis, L’Armando, Vincenzina e la fabbrica), chi cantautore di classe raffinata (La fine della storia, Quando un musicista ride). Enzo Jannacci era tutto questo, innamorato della canzone come veicolo per raccontare il mondo e le persone, vere, reali, incontrate magari su un tram o la cui storia aveva letto sui giornali. Da musicista di classe, laureato al conservatorio, sapeva creare situazioni musicali di spessore come pochi in Italia. Ma c’è anche un’altra vena di Jannacci che in pochi ricordano, quella del rock’n’roll. Nel maggio 1957 partecipa come pianista di Adriano Celentano al primo festival rock’n’roll italiano. Con l’amico Giorgio Gaber che conosceva dai tempi del liceo forma addirittura un duo rock e con lui incide i suoi primi 45 giri: si chiamano I due corsari e si divertono un sacco con brani come Non occupatemi il telefono. Tale è la passione dei due per quelle musiche americane che all’inizio degli anni ottanta i due si rimettono insieme per una versione italiana dei Blues Brothers, gli Ja-Ga Brothers. Incidono infatti nuove versioni dei brani che pubblicarono come I Due Corsari e sul palco appaiono con le facce pitturate di blu e vestiti da Blues Brothers. Tornando ai suoi successi la lista è lunghissima, pensiamo soltanto a Quelli che… il calcio diventata sigla dell’omonima trasmissione incisa nel 1998 oppure a Ci vuole orecchio del 1980, per rimanere ai brani dell’ultimo periodo. Tornando indietro nel tempo oltre i brani già citati ricordiamo Ma mi, dolcissima dedica a Milano, la satira sociale di Ho visto un re scritta con Dario Fo del 1968, l’intensa Ragazzo padre del 1972. La lista è infinita ed è questo il bello, andare a riscoprire una carriera straordinaria, unica in Italia. A noi piace ricordare anche Ti sé no, inclusa nel film Romanzo popolare, in dialetto milanese, poesia metropolitana dedicata al coraggio di una famiglia povera.



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