Per uno come Steve Harris, ossessivamente concentrato su ogni aspetto dell’attività dei suoi Iron Maiden, la pubblicazione di un disco solista appariva come un’eventualità alquanto improbabile a realizzarsi. Proprio per questo, quando “British Lion” è uscito, verso la fine dello scorso anno, furono in molti ad essere sorpresi. Adesso che il bassista è libero da impegni con la sua band principale (rivedremo i Maiden a giugno, quando passeranno anche dall’Italia per il tour celebrativo di “Seventh son of a Seventh son”), si è persino concesso il lusso di girare un paio di mesi per i palchi europei, a promuovere questa sua ultima fatica.
L’occasione era di per sè ghiotta. I Maiden suonano nelle grandi arene e negli stadi da tempo immemorabile per cui vedere uno dei grandi nomi del metal mondiale esibirsi in un piccolo club da poche migliaia di persone non è una cosa che si veda tutti i giorni. Ciononostante, il Live Club di Trezzo sull’Adda, l’ottima location scelta per l’evento, risulta tutt’altro che stracolmo. Sarà stato il giorno infrasettimanale, o il biglietto d’ingresso non proprio economico o forse, molto più probabilmente, il fatto che “British Lion” sia tutto tranne che un ottimo disco.
Quando Steve sale sul palco assieme alla sia band, bastano un paio di pezzi per fugare ogni dubbio: “British Lion” è decisamente brutto, sia in studio che dal vivo. Certo, è apprezzabile il fatto che Harris abbia voluto per una volta discostarsi dal tipico trademark maideniano, per andare ad esplorare lidi molto più vicini all’hard rock di band da lui amate in gioventù come Thin Lizzy o UFO. È ancora più apprezzabile che abbia voluto suonare e incidere queste canzoni assieme a dei perfetti sconosciuti, gente con cui suona da una vita e che ora si è voluto portare in tour. Passi tutto questo, ma il problema è che il livello qualitativo dei brani è quantomeno imbarazzante. Sporadiche intuizioni melodiche, qualche linea vocale interessante, qualche passaggio ritmico particolarmente azzeccato, sono solo gocce all’interno di un mare di eccessiva pochezza. Neppure il martellante e ossessivo riffing di Harris (sempre superlativo sul suo strumento, anche se sono anni che suona sempre allo stesso modo) può contribuire a risollevare la sorte di canzoni che piatte sono e piatte rimarranno.
Lo show in sè sarebbe anche coinvolgente: la band ci dà dentro con impegno, fa di tutto per coinvolgere un pubblico scarso ma comunque molto partecipe e poi la presenza scenica di Steve è straordinaria e poterlo vedere a pochi metri di distanza ne accresce ancora di più il valore. Purtroppo i compagni d’avventura del bassista rivelano tutti i loro limiti: anonimi i due chitarristi Grahame Leslie e David Hawkins, poco fantasioso il batterista Simon Dawson, assolutamente improponibile il cantante Richard Taylor: buona presenza scenica la sua, ma voce davvero poco incisiva che, oltretutto, infila anche qualche stecca non da poco.
Nei circa 75 minuti del concerto, vengono suonate tutte le tracce di “British Lion” (ad eccezione della conclusiva “The lesson”) e quattro pezzi ancora inediti i quali, tranne forse l’anthemica “the burning”, denunciano tutti i limiti di cui si è detto. Nei bis, prima della conclusiva “Eyes of the young”, che con il suo feeling Aor e il ritornello molto azzeccato è forse il pezzo migliore del disco, viene proposto anche il classico degli UFO “Let it roll”. Niente pezzi dei Maiden, invece. Giusto così, dopotutto la band è ancora viva e vegeta e non ha certo bisogno di momenti di revival.
A giudicare dalla partecipazione del pubblico e dal modo in cui ha lasciato il locale al termine dello show, nessuno è rimasto deluso. Dal canto nostro, è bello constatare come un musicista affermato come Steve Harris decida di suonare in piccoli locali assieme ai suoi amici, proponendo composizioni di tutt’altro genere rispetto a quelle a cui ci aveva abituato. Ciò non toglie però, che la resa complessiva dell’esperimento non sia stata delle migliori. Ci si consolerà l’8 giugno, quando gli Iron Maiden saranno a Milano per rievocare i fasti di una delle loro tournée più belle di sempre. Forse quello sarà davvero revival, ma sulla qualità sarà davvero difficile discutere.