Torna in Italia la band folk rock londinese dei Mumford and Sons. In tutto si esibiranno tre volte nella penisola: il 14 marzo all’Alcatraz di Milano, il 15 al Nelson Mandela Forum di Firenze e per ultimo il 16 all’Atlantico di Roma. Sono tre incredibili occasioni per gli italiani. I Mumford & Sons erano già venuti in Italia l’estate scorsa con due concerti nelle città di Verona e Ancona, suonando canzoni del loro primo album “Sigh no more” ( è ancora vivo il ricordo di chi c’era e ha ascoltato “Sister” suonata in acustico nel live di Verona), così come erano già venuti una prima volta a Milano, quando ancora non erano diventati uno dei gruppi più di successo al mondo.



In questo lungo tour del 2013 i Mumford and Sons potranno suonare live le canzoni di “Babel”, il secondo album, uscito il 24 settembre 2012 in Italia e vincitore del premio dei Grammy Awards 2013 come miglior album. “Non necessariamente un album che ha una trama, ma qualcosa che si possa ascoltare da cima a fondo e  che abbia senso. Penso che sia quello che abbiamo cercato di fare, e quello che abbiamo fatto ”  spiega Marcus Mumford, il cantante della band. In effetti l’album risulta un vero e proprio percorso che tratta di temi ricorrenti e non banali, trattati con semplicità e trasparenza, espressi attraverso vera e propria poesia. Il disco si apre con “Babel” (che dà il titolo al cd) e “Whispers in the dark”, nella quale notiamo un io debole, mascalzone ma non impostore (“I’m a cad but I’m not a fraud” ), desideroso di cambiare. Recita così parte dell’ultima strofa della prima canzone dell’album: “Avrei dovuto sapere fin dal principio che ero un debole.Tu ergerai le tue mura e io interpreterò la mia maledetta parte. Per demolirli. Beh, li demolirò”. In entrambe le canzoni vi è la presenza della grazia e della possibilità di scelta“Conosco la mia debolezza, conosco la mia voce, credo nella grazia e nella scelta” (Babel).



Nell’album si trovano attesa e perdono, come ci testimonia la canzone “I will wait”. Ma l’attesa, l’amore e il perdono, temi che ricorrono (almeno il secondo) spessissimo nel panorama musicale, sono trattati con intelligenza e profondità. Ad esempio in “Not with haste” nell’ultima strofa viene cantato “and I will love with urgency but not with haste” (Amerò con urgenza ma senza fretta). Ancora in “Lover’s eyes”: “I’ll walk slow, take my hand help me on my way” (camminerò lentamente, prendi la mia mano e aiutami nel cammino). Nella bellissima “Ghosts that we knew” : “so give me hope in the darkness that I will see the light” (dammi speranza nell’oscurità e io vedrò la luce). Nei testi di queste canzoni c’è sempre una promessa di verità, bellezza e luce, raggiungibili attraverso un’attesa urgente che provoca un grido profondo che crepa le mura della cupidigia, dell’orgoglio e della falsità. 



L’album dei Mumford and Sons vuole essere un lavoro preso sul serio dai membri del gruppo che hanno visto in pochissimo tempo un successo mondiale improvviso e che hanno l’intento di rimanere semplici e fedeli al luogo dove hanno potuto  trovare l’amore: “A constant reminder of where I can find her” (un costante promemoria del posto in cui posso trovare l’amore) recita “Reminder”. Desiderano rimanere con “i piedi per terra, avere gli occhi per servire e le mani per imparare”, come cantano nella canzone “Below My Feet”. 

Noi come loro, abbiamo bisogno di mantenerci semplici, di aspettare con urgenza ma senza fretta e di ricordarci continuamente il luogo dove abbiamo sperimentato l’amore. E’ questa la grandezza e ciò che rende i Mumford estremamente semplici, umani.

 

(Andrea Dondi)