Che ci fa quella signora un po’ male in arnese, in Piazza San Pietro? Le prime foto che appaiono sui media la mostrano con lo sguardo intensamente rivolto verso una direzione precisa. Intorno a lei guardie svizzere e qualche “man in black”, agenti dei servizi di sicurezza facilmente identificabili per il look e l’atteggiamento. Siamo in Piazza San Pietro, e la signora dai lunghi capelli rossastri con qualche spruzzo di bianco vestita trasandata ha il volto familiare. La foto successiva non lascia dubbi, ma ne apre altri: è Patti Smith, l’icona della musica punk, trasgressiva, ribelle, la ragazza che lanciò la rivoluzione punk di metà anni 70 salvando la vita al rock stesso, che stava morendo di auto compiacimento e noia.
Adesso non è più quella ragazza, ha superato i 60 anni, ma il volto è sempre quello di una vagabonda del punk, persa tra la Bowery e il Greenwich Village. Ha un sorriso di felicità totale, mentre stringe la mano a un signore vestito di bianco che sorride altrettanto felicemente. Rock the Pope: quando il punk incontra la Chiesa. Patti Smith stringe la mano a Papa Francesco. Scioccante per molti versi, questa immagine, ma non così tanto se si conoscono i due protagonisti di questa storica stretta di mano.
In Piazza San Pietro Patti Smith c’era già stata altre volte, per altri papi. Nel 1978, quando Albino Luciani regnò per 33 brevissimi giorni, lei fece in tempo a vederlo e rimase così colpita dal suo sorriso e dal suo saluto che gli dedicò una canzone e una poesia. Da allora, fino a oggi, non c’è concerto in cui Patti Smith non faccia apparire dietro di lei a un certo punto una grande foto di Papa Luciani e reciti quella canzone e quella poesia. Si becca dei gran fischi dal pubblico, specie nella sempre schierata Italia, ma a lei non fa certo paura: ha fronteggiato momenti ben peggiori. Come quando a Bologna, ne 1979, salì sul palco scortata da un servizio d’ordine di Autonomia operaia che in mano teneva delle pistole. Lei non si scompose, anzi, reagì da vera punk, facendo srotolare come autentico atto di provocazione dietro di sé una grande bandiera americana tirandosi addosso i fischi di uno stadio intero.
“I am an american artist and I have no guilt” rispose. Sono un’artista americana e non ho colpe. Quelle, se mai, le avete voi, sembrò dire, che non capite la libertà che passa da un concerto rock. “Sarebbe stato pericoloso issare la bandiera” raccontò in seguito. “Riflettei su quelle parole. Il nostro chitarrista Ivan Kral era un rifugiato politico (fuggito da Praga). Stavamo suonando in una zona amministrata dai comunisti. Avevamo ricevuto minacce di bombe e minacce di morte. Teste calde idealiste che odiavano l’America. Feci chiamare mio fratello. Era lui il custode della bandiera, era lui che la issava e l’ammainava dal palco, la piegava e l’impacchettava. Tutto con il dovuto rispetto. Gli riferii ciò che mi era stato detto. Lui si accese una sigaretta e guardò giù: ‘Scateniamo l’inferno’ disse”. Scatenare l’inferno nei benpensanti di qualunque ideologia è sempre stata la cosa che Patti Smith ha saputo fare meglio.
Sempre in quel 1979 pubblicò un disco che conteneva un brano, Wave dedicato a Papa Giovanni Paolo I. Diceva, in quella canzone: “Ti ho visto alla finestra del tuo balcone e tu te ne stavi in piedi salutando tutti. Volevo ringraziarti perché mi hai fatto sentire bene. Addio, papa”. All’interno del disco c’era scritto: “Per me la musica è una riconciliazione con Dio”. A fianco, una foto di Papa Luciani sorridente. Nel 2010 in occasione di una sua esibizione in piazza San marco a Venezia, la città che fu sede del patriarcato di Albino Luciani, le vengono regalati alcuni oggetti appartenuti al Papa. Lei non trattiene le lacrime. Sono i responsabili della fondazione dedicata allo scomparso pontefice a farle dono di due sue foto e di una medaglia commemorativa.
In piazza San Pietro ci tornò anni dopo. Lo raccontò lei stessa durante un concerto a Milano, qualche anno fa. “La notte prima che Giovanni Paolo II morì, mi trovavo in Piazza San Pietro a Roma. Chiesi alla gente perché fissavano quelle tre finestre con la luce accesa nel palazzo del Papa. Mi dissero che lì c’era lui, il Papa, e che quelle luci si sarebbero spente quando lui fosse morto. Tornai la sera dopo, e quelle luci erano spente. Allora ho scritto questa poesia per Giovanni Paolo”: Three Windows for Jean Paul II, liriche di dolcezza infinita. Quello stesso concerto terminò in una sarabanda devastante di chitarre in feedback, di batteria devastata e con una sua richiesta lanciata ad alta voce al cielo: “Milano, prega con me”.
La dimensione della preghiera è sempre stata la cifra artistica di Patti Smith. D’altro canto il suo viaggio era cominciato in una chiesa, seppur sconsacrata, tanti anni prima, St. Mark’s Church, downtown NYC quando era una giovane poetessa affamata, di vita e di tutto. La sua visione, musicale e poetica, è sempre stata intrisa di una religiosità estrema, profondissima: “La crocefissione di Cristo, la sua trasfigurazione, è un atto che si può a malapena comprendere in questa epoca intrisa di scienza” disse una volta. La sua vita è stata colpita da una serie di lutti impressionanti che l’hanno portata a radicalizzare sempre più questa sua mistica: la morte del marito e del fratello nel giro di pochi mesi di distanza l’uno dall’altro. Quella di amici come Andy Warhol e infine anche quella del suo primo compagno, il fotografo Robert Mapplethorpe, con cui condivise i sogni e le prime esperienze, giovanissimi artisti in cerca di gloria per le strade di New York, morto dopo dolorosa malattia per aids. Nessuna di queste morti ha fermato il suo slancio, anzi l’ha portata a celebrare i morti, come disse lei, attraverso la vita.
Nel luglio del 2007, ospite della città di Savona per un concerto, saputo che poco distante c’era un santuario mariano, chiese che ce la accompagnassero. Il 18 marzo 1536 a un anziano pastore di nome Antonio Botta, era apparsa la Madonna. Ce la portano, e lei si inginocchia nella cripta dove ci fu l’apparizione. Bacia il pavimento, si raccoglie in preghiera, fa mille domande su quel luogo sacro. Alla sera, durante il concerto, più volte giunge le mani in preghiera e ringrazia “Antonio, per essere stato tramite tra la Vergine e noi”. Se una volta Patti Smith era il nostro Rimbaud del rock’n’roll, adesso era diventata San Giovanni della Croce, la mistica della compassione.
Tutto questo lungo viaggio doveva per forza riportarla in piazza San Pietro ancora una volta. Con un Papa di nome Francesco, lei non poteva mancare l’appuntamento. Nel suo ultimo, bellissimo disco, ci sono anche dei versi recitati proprio di San Francesco: “Oh, Signore, fa’ di me lo strumento della Tua Pace; Là, dove è l’odio che io porti l’amore. Là, dove è l’offesa che io porti il Perdono. Là, dove è la discordia che io porti l’unione. Là, dove è il dubbio che io porti la Fede. Là, dove è l’errore che io porti la Verità. Là, dove è la disperazione che io porti la speranza. Là, dove è la tristezza, che io porti la Gioia. Là, dove sono le tenebre che io porti la Luce”.
E’ lei stessa a spiegare perché non poteva mancare a questo appuntamento: “Dopo la notizia che papa Benedetto XVI si era dimesso ho pregato perché il suo successore scegliesse il nome Francesco. E così quando, dopo la fumata bianca, attraverso la tv ho saputo che il nuovo papa si chiamava Francesco sono stata felice. Trovo che sia una personalità molto interessante, mi piace molto. Certo è presto per giudicare, io non sono cattolica e quindi vedo le cose senza il peso dei dogmi, ma trovo bello e coraggioso aver scelto un nome che rappresenta l’umiltà, la rinuncia al materialismo, l’attenzione per la natura”.
Il lungo viaggio di Patti Smith potrebbe essere concluso, nella stretta di mano del Papa argentino che le sorride gioioso. Chissà se ha capito chi era quella signora un po’ trasandata che gli sorrideva con calore. Non importa: c’è comunque qualcosa di simbolico in quella immagine che li vede sorridersi a vicenda, è come se Papa Francesco fosse stato lì ad aspettarla. Ma ovviamente il viaggio della vita ha un compimento soltanto. Come scrisse nel libro dedicato al suo amico Robert Mapplethorpe: “Finalmente al cospetto del mare, dove Dio è tutto, riuscii a calmarmi. Perché non so scrivere qualcosa che possa risvegliare i morti? Questa ricerca è ciò che brucia più nel profondo”. L’importante è che questo bruciare, questa ferita, rimangano sempre ben accesi. Per tutte le strade, da New York fino a San Pietro.