“Beh, una differenza tra noi e gli Smiths c’è di sicuro: noi non siamo vegetariani!” Sono in macchina assieme a Jesper Bonde e a Caspar Bock Sorensen, rispettivamente chitarrista e bassista dei Northern Portrait. Hanno appena finito di raccontare una storiella divertente sul fatto che Morrissey, a quanto pare, addirittura si rifiuti di mangiare sopra un piatto che abbia in precedenza ospitato della carne. Io avevo appena detto loro che li ho scoperti proprio grazie alla mia enorme passione per la band di Manchester ma Caspar, scherzosamente ma neanche troppo, mi riprende: “Sai, a Stefan (il cantante) non piace molto che ci continuino ad accostare agli Smiths”.
Eppure è davvero molto difficile non farlo. “Criminal Art Lovers”, l’album di debutto di questi ragazzi danesi, uscito nel 2010 per la Matinée Records”, grida ad ogni nota il suo rapporto di figliolanza con “la band più importante d’Inghilterra dopo i Beatles”. Eppure dopotutto hanno ragione loro perché non si tratta di semplici imitatori: saranno anche derivativi, ma le canzoni le hanno, eccome! Dei Northern Portrait parlano in pochi eppure è davvero difficile trovare un disco d’esordio più vincente del loro. Pop rock di pregevolissima fattura, suoni puliti e cristallini, riff di chitarra e melodie vocali che fanno breccia al primo colpo. Il mese scorso è uscito “Pretty Decent Swimmers”, un ep di quattro pezzi stampato unicamente in vinile (ma ovviamente disponibile anche online) che costituisce la prima pubblicazione da quel memorabile debut.
Poi, il grande regalo ai fan italiani con ben tre date nel nostro paese. Personalmente, non potevo farmi scappare l’occasione di parlare con loro.
E così, a casa di uno degli organizzatori di queste serate, una volta che ci siamo tutti comodamente seduti sul divano, si inizia a parlare di come potrebbe essere definita una band come la loro: “Direi semplicemente che siamo danesi e che suoniamo un pop essenzialmente chitarristico – dice Stefan Larsen, il cantante e principale compositore – ci ispiriamo a gruppi come Echo and the Bunnymen, A-Ha, Chris Isaac, e gruppi della scena British degli anni ’90, come ad esempio gli Suede. Ah, e poi ovviamente i Beatles.”
Quando faccio loro notare che forse c’è un nome che manca all’appello, rispondono candidamente: “Mah, per come la vediamo noi, è come se tu facessi musica classica e la gente ti paragonasse a Mozart soltanto perché è l’unico nome che conoscono. Gli Smiths sono stati l’unico gruppo ad avere un certo tipo di successo tra quelli a cui ci ispiriamo, per cui è normale che la gente ci paragoni a loro. Certo, ci sono degli elementi simili. Però è anche vero che noi abbiamo degli elementi che loro non hanno e viceversa, un qualcosa che si è accentuato col nuovo ep. E poi, quand’è che si sono sciolti? Nel 1988 o giù di lì, vero? Sono passati qualcosa come venticinque anni! Non è che il loro sound sia protetto da un qualche tipo di copyright oppure che tutti suonino come loro! In definitiva, se ci paragonano a loro non c’è niente di male: sono una grande band, una band che tutti noi amiamo molto, non può che farci piacere.”
“Ma se ci pensi – aggiunge Caspar – è un po’ un luogo comune: se qualcuno si mette a fare musica coi sintetizzatori gli dicono che copia gli anni ’80, se invece ci mette solo le chitarre gli dicono che imita gli anni ’60. Noi scriviamo canzoni in up tempo, basate sulle chitarre e la gente dice che assomigliamo agli Smiths. Ma magari queste cose tra 40 anni non si diranno più!”
Parlando del nuovo “Pretty decent swimmers” le idee sono abbastanza chiare: “Abbiamo cercato di raccogliere 4 canzoni diverse, cercando di introdurre elementi mai usati prima, provare un sound diverso, soluzioni diverse di arrangiamenti. Una cosa che abbiamo introdotto, in particolare, è qualche elemento in più che si ripetesse all’interno della canzone: non parlo di semplice alternanza di strofa e ritornello però qualcosa di simile. In queste nuove canzoni i ritornelli sono ben riconoscibili. Sono canzoni più dirette rispetto a quelle fatte in precedenza.”
La domanda è d’obbligo: perché pubblicare solo quattro canzoni e non un disco intero? Dopo quasi tre anni di distanza, c’era parecchia fame arretrata… “Beh, la cosa è semplice: oggigiorno fare un album non è più una cosa così scontata. La gente preferisce ascoltare un pezzo qua e un pezzo là da Spotify o Youtube. Quando un gruppo pubblica un album, mette dieci o undici canzoni solo perché si usa fare così, e poi viene fuori che la maggior parte sono dei semplici filler. Certo, un album è una bella cosa perché c’è un concept dietro, c’è una confezione… se penso a “Sgt. Pepper” è evidente che hanno fatto bene a farne un LP! Però se la cosa importante è fare uscire canzoni buone, canzoni di cui essere veramente convinti, allora perché non pubblicarne solo quattro? O addirittura due, se si preferisce… Dopotutto negli anni ’50 e ’60 erano i singoli ad andare per la maggiore…” In effetti, a pensarci bene, è curioso questo ritorno alle origini per cui, mentre gli mp3 sostituiscono i cd, si viene a creare uno scenario che è paradossalmente simile a quello degli anni ’60, quando erano i 45 giri ad essere i più venduti. E mi viene anche in mente che la più straordinaria macchina da singoli mai prodotta dal mercato discografico furono proprio gli Smiths. Ma questo, ovviamente, mi sono ben guardato dal dirglielo!
Se c’è una cosa che è invece cambiata radicalmente, è la direzione del mercato musicale. E’ sempre Caspar a prodursi in un’interessante riflessione: “Noi siamo una band pop ed il pop ha sempre avuto a che fare con il comporre canzoni che avessero delle belle melodie, che potessero farti arrivare in classifica. Adesso invece la musica da classifica è tutt’altra cosa: c’è molto rap, c’è il drum ‘n bass, tutte cose che non c’entrano con la melodia. Il cosiddetto “classic pop” dunque è diventato “indie” ma semplicemente perché ciò che ora è considerato “mainstream” non ha più niente a che vedere col pop! Una canzone come “Happy Nice Day” avrebbe tutto il potenziale per andare in classifica”.
E come dargli torto? Alla fine però, sono forse solo i fans ad essere arrabbiati per questi cambiamenti di trend. Loro sono lì che mangiano patatine e bevono Coca Cola, non sembrano proprio farne un dramma: “Forse è solo una questione di gusti: alla gente probabilmente piacciono davvero Lady Gaga e Justin Bieber. E per quanto riguarda noi, non vogliamo certo immaginarci a quarant’anni, a fare musica che richiami esplicitamente gli anni ’80 e a continuare a lamentarci del presente. Ci piace vivere in quest’epoca, anche dal punto di vista musicale. Non vogliamo fare i nostalgici!”
Dire che sono ragazzi alla mano è dire poco. Sono arrivati in treno da Padova, dove hanno suonato la sera prima, viaggiano da soli con i loro strumenti e la mattina dopo il concerto milanese prenderanno un volo per la Danimarca, giusto in tempo per iniziare una nuova settimana lavorativa. “Facciamo questi piccoli tour qua e là, sfruttando soprattutto i weekend. Abbiamo tutti dei lavori normali e non possiamo assentarci a lungo. Giriamo abbastanza, nel 2009 siamo stati anche in California… È strano perché in Danimarca non suoniamo mai! Non c’è molto interesse per il nostro genere però è anche vero che potremmo tranquillamente organizzare una data al mese in qualche locale di Copenhagen. A quel punto però diventerebbe una routine. Invece noi vogliamo coltivarci per bene i nostri fans, andare nei posti dove davvero la nostra musica è apprezzata, fare in modo che ogni data che facciamo sia un’occasione speciale.”
Che sono sinceri lo capisci quando gli organizzatori chiedono loro come sia andato il concerto di Padova e loro rispondono: “Benissimo, ci saranno state una sessantina di persone, tutte molto contente. È emozionante suonare davanti a gente che canta le parole delle tue canzoni!” E quando vengono a sapere che quella sera a Milano, di persone ne sono previste di più, il loro entusiasmo è quello di bambini davanti a una torta di compleanno.
“Per noi suonare dal vivo è come una vacanza. È un privilegio avere la possibilità di fare una cosa così, dobbiamo esserne grati!”
Alla fine, l’Ohibò, locale prescelto per l’evento, si rivelerà bello pieno: sono poco più di un centinaio di persone ma è di più di quanto ci si attendesse. Il piatto è ricco perché ad aprire ci sono i canadesi Holiday Crowd, altra band di grande qualità all’interno della scena indie pop. Suonano per circa 45 minuti, proponendo tutti i brani del loro ep di esordio “Over the bluffs”, più qualche brano non ancora pubblicato. Anche loro fortissimi debitori al sound degli Smiths, hanno però un risvolto più cupo e riflessivo, che non gli ha impedito di sfornare singoli dal grande potenziale: pezzi come “Painted like a forest” o “Never speak of it again” scatenano infatti a dovere l’entusiasmo del pubblico.
È già mezzanotte quando Stefan e compagni arrivano sul palco. L’attacco è suadente con “My New favourite moment”, poi subito via con “Bon Voyage”, tratta dall’ultimo ep. La resa acustica del locale non è affatto delle migliori ma i quattro ci danno dentro alla grande e alla fine suonano talmente bene e i pezzi sono così belli, che tale circostanza non penalizza poi molto. Scaletta breve (poco meno di un’ora, per loro) ma intensa e ben assortita: a fare la parte del leone sono ovviamente i brani di “Pretty decent swimmers” (eseguito per intero) e quelli di “Criminal art Lovers”. Pezzi come la title track, “What happens next”, “When goodness falls”, i singoli “Crazy” e “Life returns to normal” sono delle bordate di energia irresistibili ed è una delizia ascoltare come le chitarre di Stefan e Jesper si intrecciano tra loro, a creare quel jingle jangle di ascendenza “marriana” che è un po’ il marchio di fabbrica del loro sound (almeno del primo disco). Lo stesso Stefan se la cava più che egregiamente dietro il microfono. Parla molto poco, ma i suoi sguardi e i suoi sorrisi dicono che se la sta godendo un mondo. C’è spazio anche per “The fallen aristocracy”, dall’omonimo ep di esordio, poi finale tutto da ballare con “I give you two seconds to entertain me” (e loro ci hanno messo davvero meno di due secondi per conquistarci tutti) e “Happy nice day”, il brano che apre il nuovo ep. Questa la cantano in molti, a conferma che non tutti erano qui per pura curiosità.
Uscendo, un solo pensiero rimbalza nella testa: non fossero cambiati i tempi, questi oggi riempirebbero San Siro. Ma dopotutto cosa importa? Noi ci siamo divertiti, loro si sono divertiti. I Northern Portrait sono una grande band, questo nessuna logica commerciale potrà cancellarlo.
Un sentito e doveroso ringraziamento a Luca Pasi, Marco Masoli e Stefano Bartolotta di Onda Rock per la disponibilità e la collaborazione.